Le cose che butto via quando riscrivo un capitolo


Una delle domande che mi sento fare più spesso è:
“Quanto cambi rispetto alla prima stesura?”
La risposta breve?
Tantissimo. A volte tutto.

Perché ogni volta che rileggo un capitolo, mi accorgo che qualcosa — una scena, un personaggio, un dialogo — non serve più alla storia. O peggio: la rallenta.

E allora butto via.
Senza pietà. Ma con un certo rispetto.


Cose che taglio senza rimpianti:

  • Scene bellissime… ma inutili.
    Quelle che “suonano bene”, ma non portano avanti nulla. Né la trama, né l’atmosfera, né l’anima del libro.
    Le lascio andare. Se mi servivano solo per dimostrare che “so scrivere”, allora non mi servivano affatto.
  • Personaggi che non sanno chi sono.
    A volte nascono per dire una cosa, poi non parlano più. O dicono troppo. O non aggiungono nulla.
    Meglio eliminarli che tenerli come comparse confuse.
  • Finali alternativi.
    Sì, ne scrivo spesso più di uno.
    Ma alla fine ne tengo solo uno. Quello giusto per la storia, non quello più comodo, né quello più clamoroso.

Cancellare è un atto d’amore

Scrivere non è solo aggiungere.
Scrivere è anche togliere. Togliere il superfluo. Il debole. Il finto.
Tagliare vuol dire avere il coraggio di fare spazio a quello che conta davvero.

Ci sono scene che ho riscritto sei o sette volte.
Una in particolare — un dialogo tra Blackwood e il suo antagonista — ha cambiato forma talmente tante volte che potrei pubblicare un libro solo con le versioni scartate.

Eppure… solo nell’ultima ha funzionato.


Dietro ogni libro pubblicato c’è un libro mai nato

Un libro fatto di pagine cancellate, finali alternativi, personaggi sacrificati, idee accantonate.
Ma è proprio quel libro invisibile che dà forza a quello che resta.

Perché ciò che leggi non è mai tutto ciò che è stato scritto.
È solo ciò che — alla fine — è sopravvissuto.


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