C’è una domanda che mi fanno spesso, a volte con curiosità genuina, altre con un mezzo sorriso ironico:
“Ma nei tuoi libri c’è sempre qualcosa di oscuro. Dove metti il limite?”
La risposta è semplice: il limite c’è, eccome.
Ma non è dove pensano loro.
Il vero limite — quello invalicabile — non riguarda quanto orrore posso raccontare. Riguarda cosa scelgo di non raccontare. E perché.
Cosa non troverete mai nei miei libri:
- L’orrore gratuito.
Ogni scena disturbante ha un motivo narrativo o simbolico. Non scrivo per scioccare. Scrivo per scavare. Se qualcosa deve far male, lo deve fare per un senso profondo, non per intrattenere a buon mercato. - Il dolore di bambini e animali descritto con morbosità.
Ci sono accenni, simboli, minacce. Ma non troverete mai una descrizione compiaciuta o voyeuristica. Per me il rispetto per la vulnerabilità non è negoziabile. - Il bene assoluto.
Non mi interessano i personaggi perfetti. I miei eroi sono fragili, sbagliati, e a volte inciampano nel fango. Ma non tradiscono mai ciò che li muove. Preferisco un uomo che cade cento volte a uno che non si sporca mai. - Il lieto fine imposto.
Se una storia deve finire male, finirà male. Non sono uno scrittore che accarezza.
Ma se finirà bene, sarà un bene sofferto, conquistato, insanguinato. Mai comodo. Mai facile. - La spiegazione di tutto.
In ogni mio libro resterà qualcosa di non detto. Un’ombra che si ritrae, una domanda lasciata aperta, un dettaglio che non torna. Perché così funziona la realtà. E anche la paura.
Scrivere è un atto di verità, non di compiacenza.
E io non riesco a scrivere nulla che non sia, in qualche modo, necessario.
Magari non piacerà a tutti.
Ma questo è il patto che offro al lettore: ti porto dove sono stato. Ma non ti dirò dove finisce il sentiero.
IL CARNEFICE DEL SILENZIO
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