Il tempo nel Carnefice – Quando il passato non è passato


C’è qualcosa di guasto nel tempo, dentro l’Archivio Blackwood.
Le lancette si muovono, è vero, ma non sempre nella direzione che crediamo. I corridoi si polverizzano, le stanze cambiano forma, ma alcune memorie… non si lasciano bruciare.

In Il Carnefice del Silenzio, il tempo non è solo un contesto. È un avversario. Un alleato sleale. Un prigioniero che ogni tanto riesce a evadere.

Il passato non dorme

Le indagini che Blackwood conduce nel terzo volume si intrecciano in modo quasi patologico con ciò che è già avvenuto. Ogni luogo visitato –  l’archivio ecclesiastico, le stanze murate – è impregnato di “già accaduto”. Come se i muri non avessero mai smesso di raccontare.

Il passato emerge attraverso:

  • Oggetti che tornano (maschere, lettere, simboli già visti)
  • Persone che sembrano invecchiate senza mai cambiare
  • Silenzi che durano da dieci anni, ma non si sono mai interrotti davvero

Non si tratta solo di nostalgia o trauma. È qualcosa di più inquietante.
È come se il tempo stesso si fosse spezzato e qualcosa fosse rimasto incastrato tra le fessure.


I varchi temporali dell’indagine

Il romanzo gioca con l’idea che ogni caso irrisolto sia una porta lasciata socchiusa nel tempo.
Non solo giustizia sospesa, ma dolore congelato.

Ciò che accade nel presente ha spesso bisogno di essere letto con le lenti del passato.
È qui che Blackwood eccelle: non è solo un detective, è un lettore di rovine.
Sa che:

“Nessun caso si chiude davvero. Solo alcuni nomi smettono di essere pronunciati.”

E quando i nomi vengono sussurrati di nuovo… il tempo riprende a scorrere.


Quando il futuro imita l’orrore

C’è infine un’altra dimensione temporale nel Carnefice: il futuro che imita l’orrore passato.
Una specie di maledizione ciclica.
Ciò che è stato non si limita a tornare. Si evolve.
Assume nuove forme, più subdole, più insidiose.

È il caso di certi riti dimenticati, di culti che sembravano estinti, di presenze che trovano nuovi corpi da abitare.
E così, il futuro smette di essere una via di fuga.
Diventa una seconda condanna.


L’unico modo per vincere il tempo?

Non voltarsi mai.


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