Dietro Il Carnefice del Silenzio: Ricerche storiche, riti dimenticati e luoghi reali della Londra del 1800

Scrivere Il Carnefice del Silenzio ha significato, per me, intraprendere un viaggio oscuro tra le pieghe più remote della Londra ottocentesca. Non bastava immaginare una storia gotica e disturbante: era necessario darle radici profonde, collocarla in una realtà che esiste, o che è esistita. Questo articolo è un piccolo sguardo sul lavoro di ricerca che ha preceduto la stesura del nuovo capitolo dell’Archivio Blackwood.

Riti oscuri e culti reali dell’epoca vittoriana

Una parte fondamentale della trama de Il Carnefice del Silenzio ruota attorno a riti dimenticati, simboli occulti e culti che operavano tra le crepe della società londinese. Durante la mia ricerca ho consultato:

Documenti storici dell’epoca vittoriana riguardanti il culto dell’Angelo del Silenzio, una figura realmente citata in alcuni pamphlet religiosi apocrifi del 1840–50;

Tracce di riti funebri deviati, usati in alcune sette spiritualiste nate nel periodo post-romantico, in cui il silenzio assoluto durante la veglia funebre era considerato il passaggio per “non svegliare l’Altro”;

Il legame tra cuciture rituali (come quelle su labbra e occhi) e la simbologia dell’obbedienza nel folklore scozzese e gaelico, poi ripreso nel libro.

Limehouse, il quartiere delle ombre

Per ambientare scene chiave del romanzo, ho studiato Limehouse (ed altri quartieri), quartiere fluviale nel cuore dell’East End londinese. A cavallo tra realtà e leggenda, Limehouse è:

Un luogo di marginalità sociale e spirituale nel 1800, noto per i suoi oppiacei e le società clandestine;

Sede di case murate, magazzini abbandonati, cripte sconsacrate e cunicoli sommersi che alimentano l’immaginario del romanzo;

Un crocevia tra oriente e occidente: è qui che si creavano leggende su “riti importati” e sulla contaminazione del Male antico con quello urbano.

Le fonti segrete dell’Archivio Blackwood

Ogni elemento inserito nella trama – dai manoscritti cuciti con filo rosso, agli specchi rituali, fino al concetto di “voce vietata” – nasce da una commistione tra:

Rituali documentati in fonti rare (es. Il Libro del Silenzio, anonimo, 1857);

Racconti folkloristici di origine scozzese e irlandese, in particolare quelli su “chi parla nel sogno”;

Riflessioni psicologiche sul trauma e la repressione, per dare profondità umana ai personaggi.

Narrativa sì, ma con radici nel reale

Ogni parte de Il Carnefice del Silenzio è frutto di finzione. Ma le sue radici affondano in archivi veri, in libri dimenticati e in mappe annerite dal tempo. Questa è la mia missione: trasformare la realtà in incubo, e l’incubo in una pagina che non si dimentica.

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