“Perché in alcune bare mettevano un martello?”
Ci sono dettagli che la storia ha sepolto per pudore.
Uno di questi è l’ossessione vittoriana per la morte apparente.
Nella Londra di fine Ottocento, il timore di essere sepolti vivi non era un’invenzione gotica. Era una paranoia diffusa, alimentata da una medicina incerta, da diagnosi affrettate e da un’abitudine sinistra: sigillare tutto in fretta. Le epidemie, il freddo, la povertà: ogni cadavere era un rischio. Meglio interrare subito. Meglio non aspettare che si svegliasse.
Le bare di sicurezza
Tra le classi agiate si diffuse una moda macabra: le “coffin alarms”, bare con sistemi d’allarme meccanici.
Un filo, collegato a un campanello o a una campana, partiva dalla mano del defunto e arrivava alla superficie.
Se il morto si fosse svegliato… avrebbe potuto suonare.
Nel cimitero di Kensal Green ci sono ancora tracce di questi dispositivi. Alcuni giornali dell’epoca parlano anche di bare con martelli, leve, o fialette di acido per uccidersi “in caso di risveglio”.
Il timore non era irrazionale. Documenti medici riportano casi di esumazioni con graffi sui coperchi interni, dita spezzate, crani lesionati per il panico e l’angoscia.
Riti, superstizioni e silenzi
La borghesia londinese organizzava funerali lunghi, carichi di simboli:
– Candele legate in numero dispari,
– Specchi coperti con teli neri,
– Campane silenziate,
– Finestre aperte solo per far uscire l’anima.
Nelle case più povere invece bastava un telo, una bara presa a noleggio, e una monetina sul petto per pagare l’aldilà.
Ma in ogni caso, lo spettro era sempre lo stesso:
“E se non fosse davvero morto?”
La morte, nella Londra vittoriana, non era mai un confine netto. Era una zona grigia.
Silenziosa.
In attesa.
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