Tra Ombra e Follia: L’Alienista, la psichiatria nell’Ottocento e l’universo Blackwood

Nel panorama delle serie TV storiche a tinte oscure, “L’Alienista” si è imposto come un piccolo gioiello narrativo capace di fondere investigazione, psicologia e degrado urbano nella New York del XIX secolo. Tratta dai romanzi di Caleb Carr, la serie ci presenta il dottor Laszlo Kreizler, uno psichiatra ante litteram — anzi, un alienista, come venivano chiamati allora i medici che si occupavano di chi era “alienato dalla propria ragione”.

Con un’estetica cupa e decadente, ambientazioni gotiche e un forte impianto psicologico, “L’Alienista” dialoga perfettamente con l’universo narrativo dell’Archivio Blackwood, dove i confini tra male umano e male sovrannaturale si sfumano pericolosamente. Così come Kreizler scava nella mente dei mostri che camminano tra gli uomini, anche l’ispettore Edgar Blackwood si trova a confrontarsi con oscure verità, in bilico tra razionalità e orrore.

La psichiatria nel 1800: scienza o stregoneria borghese?

Nel XIX secolo, la nascente disciplina che oggi chiamiamo psichiatria era ancora un territorio incerto, spesso mescolato con l’occultismo, la frenologia, la teosofia e le prime teorie neurologiche. Il termine alienista nasce proprio in questo periodo, derivando dal concetto che i malati mentali fossero “alienati dalla loro natura”.

Gli alienisti erano medici, filosofi e a volte mistici. Si muovevano in istituzioni manicomiali opprimenti, tra camicie di forza, elettroshock sperimentali, ipnosi e studi sull’anatomia cerebrale. Le diagnosi erano primitive e spesso arbitrarie, ma cominciava a farsi strada l’idea che la mente potesse essere curata — o perlomeno compresa.

In Inghilterra, pionieri come John Conolly o Henry Maudsley gettarono le basi della psichiatria moderna, spesso in conflitto con la rigida morale vittoriana. Ma i manicomi dell’epoca erano anche luoghi di tortura “legalizzata”, e molti pazienti venivano internati per comportamenti ritenuti socialmente inappropriati più che per reali patologie.

Dall’Alienista a Blackwood: la follia come chiave narrativa

Nel mio ciclo narrativo gotico, in particolare in Il Vangelo delle Ombre, la psiche umana assume un ruolo centrale. I personaggi non affrontano soltanto mostri e culti oscuri, ma anche il trauma, l’allucinazione, il disturbo post-traumatico, la depressione, la possessione. In un’epoca in cui la psichiatria era una scienza incerta, la follia diventa spesso scusa o prova dell’intervento soprannaturale.

Edgar Blackwood non è un investigatore convenzionale. È tormentato, lucido e insieme sull’orlo dell’abisso. Proprio come l’Alienista, egli osserva i dettagli che sfuggono agli altri. Ma a differenza di Kreizler, Blackwood si muove in un mondo in cui il Male non si nasconde solo nella mente… ma spesso la possiede.

La Londra che racconto nei miei romanzi è sorella della New York di “L’Alienista”: entrambe città oppresse dalla nebbia, dalle grida soffocate e dalle verità non dette. In esse, la scienza medica è ancora giovane, fragile. E proprio per questo vulnerabile alle ombre.

Quando il Male veste il camice

“L’Alienista” ci ricorda che la nascita della psichiatria fu anche una lotta culturale: tra scienza e superstizione, tra etica e controllo. Nei miei romanzi, quella stessa lotta viene traslata nel gotico: chi cura la mente può scoprire l’inferno dentro di essa. E a volte… può restarne consumato.

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Le Ombre di Whitechapel
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Sito ufficiale: http://www.claudiobertolotti83.net

Instagram: @autoreclaudiobertolotti | @archivio_blackwood

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