In Le Ombre di Whitechapel il Male aveva un nome.
In Il Vangelo delle Ombre, il Male ha una voce. Ma non un volto.
Questa è una delle trasformazioni più importanti nella saga dell’ispettore Edgar Blackwood: la lenta ma inesorabile evoluzione dell’antagonista. Da figura fisica e riconoscibile, il nemico si dissolve nell’aria, si insinua nelle pieghe della mente e nella fede degli uomini.
Diventa invisibile.
Non è più solo un assassino. È un sussurro nei sogni.
Non è un culto. È un dubbio.
Non è un demone. È la possibilità che esista davvero.
—
L’indagine oltre la logica
Blackwood è un uomo razionale. Non crede nei fantasmi, ma studia i simboli. Non parla di spiriti, ma osserva chi li teme.
Eppure, nel secondo romanzo, la sua razionalità inizia a incrinarsi. Gli eventi non seguono più logiche umane. I testimoni parlano lingue morte. Le croci si piegano da sole.
E Blackwood comincia a interrogarsi:
E se non fosse un uomo? E se non potessi arrestarlo?”
—
Un Male che non ha bisogno di apparire
Il vero terrore, in Il Vangelo delle Ombre, non viene da ciò che si vede.
Viene da ciò che si sospetta.
Dal fatto che le prove spariscano. Che i pazienti delirino. Che una reliquia sia solo leggenda… o forse no.
Il Male diventa un’assenza concreta, qualcosa che si sente ma non si può afferrare. Come la fede. Come la follia.
—
Il Male (senza spoilerare!)
E poi c’è lui. Il nome sussurrato.
Un’entità che non viene mai spiegata del tutto, ma che lascia tracce. Che attraversa il tempo e le convinzioni.
Non ha corpo, eppure si manifesta.
Non ha tempio, ma viene invocato.
E Blackwood dovrà decidere se affrontarlo come poliziotto… o come uomo.
—
Il Vangelo delle Ombre è un romanzo che non dà risposte.
Ma una cosa la suggerisce: il vero Male è quello che non puoi spiegare, e che proprio per questo, ti guarda negli occhi ogni giorno.
