Scene perdute – Discesa nelle cripte

Londra, dicembre 1888
Non c’era luce che osasse scendere fin laggiù.
Solo il crepitio delle lanterne a olio e l’eco distante dei propri passi spezzava il silenzio che dominava le viscere della città. La pietra umida sotto i piedi, il muschio che strisciava lungo le pareti, e quell’odore — muffa, sangue sepolto e riti dimenticati — avvolgeva ogni respiro.

Blackwood avanzava per primo, il cappotto fradicio e la pistola pronta. Holmes gli stava alle spalle, occhi attenti, mente in moto. Dietro di loro, il dottor Watson stringeva il revolver con dita rigide, più per riflesso che per abitudine. Nessuno parlava.

Un sibilo improvviso spezzò la tensione.
Poi uno scricchiolio.
Come ossa che si flettono nel buio.

Blackwood si fermò di colpo. Holmes lo imitò, accennando solo con lo sguardo. I tre formarono un piccolo triangolo, spalle quasi unite, le lanterne che tremavano come anime in pena.

Qualcosa si mosse nella penombra.
Non un topo.
Non un uomo.

Un’ombra si staccò dalla parete, attraversando il corridoio come un’onda nera. Il rumore delle unghie — o forse artigli — contro la pietra, il respiro affannoso, la corsa improvvisa.

Blackwood sparò per primo.
Un lampo, un tuono, e l’odore acre della polvere da sparo.

Poi Holmes si mosse.
Con un gesto rapido scagliò una polvere luccicante — metallo e scienza — che esplose in un bagliore argenteo. La creatura, colpita dalla luce, urlò. O forse no. Forse era il soffitto a gemere sotto il peso del passato.

Watson si inginocchiò accanto a un corpo caduto.  Era una vittima? Un seguace? Un avvertimento?

Holmes sussurrò qualcosa a Blackwood. Il detective annuì, stringendo la mascella.

Poi silenzio.
Di nuovo.
Ma un silenzio diverso.

La cripta li guardava.
E attendeva.

Note dell’autore:
Questa scena non è riportata nel racconto principale, ma ne rappresenta l’anima. Le Ombre di Whitechapel è un viaggio dentro la paura, la ragione e l’ignoto. E in certi luoghi, perfino Holmes deve imparare a dubitare della logica.

Il capo ispettore Harrington: severità e tradizione

Nel racconto Le Ombre di Whitechapel, l’ispettore capo Harrington è una figura presente soprattutto sullo sfondo, ma la sua influenza su Blackwood è evidente in ogni gesto dell’ispettore.

Harrington rappresenta la vecchia scuola di Scotland Yard: severità, metodo tradizionale, rispetto delle gerarchie.
Tuttavia, dietro quell’apparenza burbera e quella figura imponente — grassoccia, il viso rubicondo e i capelli lisciati con cura all’indietro — si nasconde un uomo che conosce bene il valore dell’intuito.

Nonostante il suo scetticismo verso le teorie più “creative” di Blackwood, Harrington gli ha sempre riconosciuto una dote rara: saper vedere oltre l’ovvio.

Una scena inedita, mai raccontata nel libro, descrive uno dei pochi momenti di autentica stima tra i due:

Scena inedita:

Blackwood si presentò nell’ufficio di Harrington dopo ore di interrogatori infruttuosi.

L’ispettore capo, con la solita pipa stretta tra i denti e la giacca abbottonata in maniera impeccabile sul ventre prominente, lo fissò da sopra gli occhiali.

«Ditemi, Blackwood,» borbottò. «Avete qualche altra teoria folle da propormi? Che sia il vento a uccidere la gente, o magari il Diavolo in persona?»

Blackwood, senza scomporsi, rispose: «Non ancora, signore. Ma di certo qualcosa sta muovendosi nell’ombra.»

Harrington grugnì, soffiando una nuvola di fumo nell’aria.

«Siete la mia rovina, Blackwood. Eppure… siete anche la mia unica speranza.»

Per un attimo, dietro la scorza dura di Harrington, Blackwood intravide un barlume di rispetto. E forse, di paura.

Harrington non combatte i mostri con la forza.
Combatte il terrore quotidiano con la disciplina.
E forse proprio per questo, in una Londra divorata dall’oscurità, è un alleato di cui Blackwood non può fare a meno.