Ci sono momenti, nella scrittura, in cui la realtà deve inchinarsi all’oscurità dell’immaginazione. Le scene di possessione che attraversano Il Vangelo delle Ombre non nascono dal desiderio di “spaventare”, ma dall’esigenza di far percepire al lettore quella sensazione di disturbo, inquietudine viscerale, che si insinua sotto pelle come una verità proibita.
Non serve il sangue. Serve l’inquietudine.
L’orrore più efficace è quello che non si mostra tutto subito. Una bambina che parla in latino antico. Un sussurro tra le pareti. Una finestra aperta che non dovrebbe esserlo. Le mie scene di possessione iniziano sempre da questo: da un piccolo squilibrio che suggerisce che qualcosa, nel mondo, è appena andato fuori asse.
Preparare il terreno: lo spazio
Ogni scena “posseduta” ha bisogno di un luogo che sia vivo, respirante. Una casa borghese con pareti che grondano simboli, una stanza silenziosa dove ogni oggetto sembra trattenere il fiato, un’edicola votiva sporcata da parole arcane.
Niente è casuale: la luce deve essere minima, spesso naturale (una candela, una finestra al tramonto). La scena deve far sentire il lettore in trappola, come chi guarda qualcosa che non dovrebbe mai essere visto.
Il corpo e la voce
Quando la possessione prende forma, il corpo diventa il suo veicolo. Ma evito le esagerazioni cinematografiche. Nei miei testi, la voce cambia prima del corpo. Si fa gutturale, innaturale, troppo calma o troppo lenta. Solo dopo arrivano i piccoli dettagli fisici: le mani irrigidite, la testa inclinata con angoli innaturali, gli occhi spalancati troppo a lungo.
È una progressione. L’orrore cresce come un’onda, lenta e inarrestabile.
E il testo antico?
Molte scene si accompagnano a frasi rituali, frammenti in latino o greco arcaico, preghiere corrotte. Questo perché la possessione non è solo un fatto corporeo: è un’invasione del linguaggio, della struttura della realtà.
Scriverle richiede attenzione: devono sembrare autentiche, quasi liturgiche, e spesso sono ispirate a testi realmente esistenti. Il confine tra finzione e realtà, in fondo, è proprio dove nasce l’orrore più profondo.
Ogni scena di possessione che trovate in Il Vangelo delle Ombre è scritta così: lentamente, con rispetto, come se anch’io, nel metterla su carta, stessi inavvertitamente aprendo una porta.
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