5 letture gotiche, cupe e indimenticabili per chi ama misteri, rituali e ombre vittoriane
Chi ha attraversato i corridoi oscuri del Vangelo delle Ombre sa cosa significa sentirsi osservati da qualcosa che non ha un nome. Sa che certi simboli non vanno interpretati… ma temuti. E sa anche che, una volta chiusa l’ultima pagina, resta il desiderio di restare in quell’atmosfera.
Ecco dunque 5 libri perfetti per chi ha amato Il Vangelo delle Ombre e vuole immergersi in nuovi incubi, misteri e presagi.
1. Il Ritratto di Dorian Gray – Oscar Wilde
Un classico immortale. La Londra decadente, l’eleganza corrotta e l’orrore che si nasconde sotto la superficie dell’apparenza. Dorian è l’antenato spirituale di molti antagonisti dell’Archivio Blackwood.
“La coscienza e la codardia sono in realtà la stessa cosa.”
2. Il nome della rosa – Umberto Eco
Se Blackwood fosse vissuto nel Medioevo, si sarebbe chiamato Guglielmo da Baskerville. Intrigo, filosofia, morte e manoscritti proibiti: un labirinto di segreti in cui la verità è sempre più inaccessibile.
Per chi ama gli indizi nascosti e i libri che uccidono.
3. Il monaco – Matthew G. Lewis
Un romanzo gotico estremo e visionario. Sesso, religione, diavoli e monasteri profanati: tutto ciò che fa tremare le pareti della morale. Perfetto per chi ha sentito bruciare le pagine del Vangelo delle Ombre.
“L’inferno non è altro che la verità che nessuno vuole accettare.”
4. Dracula – Bram Stoker
Sì, il classico. Ma non riletto con occhi moderni. Riletto con lo sguardo di Blackwood. Lettere, corrispondenze, medici che non sanno spiegare, viaggi oscuri e figure che non riflettono nello specchio.
5. I racconti del mistero – Edgar Allan Poe
Un’intera raccolta. Un pozzo senza fondo. Cadaveri sepolti vivi, case che respirano, menti che collassano. Lettura lenta, disturbante, perfetta per i fan dell’atmosfera. Blackwood non l’avrebbe mai ammesso, ma sicuramente avrebbe letto Poe di nascosto.
Bonus extra: Le Ombre di Whitechapel
Se hai letto solo Il Vangelo delle Ombre, sappi che Le Ombre di Whitechapel Il Segreto del sangue immortale ti aspettano.
Un’indagine tematica nel cuore de Il Vangelo delle Ombre
Il paziente parla in latino, pur non conoscendolo. La sua voce cambia tono, registro e timbro. Ma la diagnosi ufficiale è isteria.” — Estratto dal fascicolo n.42, Archivio Blackwood
Nel secondo volume dell’Archivio Blackwood, la linea che separa la medicina dalla superstizione si fa così sottile da diventare pericolosa. Il Vangelo delle Ombre non è solo una storia di demoni, riti e antichi manoscritti: è un viaggio nella fragilità della mente umana, dove la razionalità vacilla davanti all’inspiegabile.
Ma cosa separa davvero la possessione dalla follia? E quando la scienza non basta più, cosa resta?
La scienza vittoriana: un sapere che scricchiola
Londra, 1888. L’epoca della ragione, del progresso, dell’anatomia e della classificazione. Eppure, di fronte a corpi che si contorcono senza causa, lingue sconosciute che emergono da bocche innocenti, simboli tracciati nel buio… la medicina ufficiale si rifugia in una sola parola: psicosi.
Blackwood, nella sua indagine, interroga medici, neurologi, alienisti. Tutti tentano di spiegare. Nessuno riesce a convincere.
Il dubbio: quando la razionalità non basta
Padre Quinn, esorcista caduto e poi rinato, incarna l’altra metà del conflitto. Per lui, la follia non è sempre umana. Ci sono voci che non appartengono all’inconscio. Ci sono verità che la mente non può contenere senza spezzarsi.
Là dove lo scienziato cerca il trauma, Quinn vede il varco. E nel mezzo, Blackwood. L’osservatore. L’uomo diviso tra ciò che può provare… e ciò che è costretto a credere.
Il cuore oscuro del romanzo
Il Vangelo delle Ombre non offre risposte. Non divide nettamente il bene dal male, la mente dallo spirito. Ma ci mostra una verità più sottile:
a volte, la possessione è solo un nome dato a un’oscurità che nessuno vuole riconoscere.
La vera domanda non è se il Male sia reale. È: quanto siamo disposti a negarlo, pur di dormire tranquilli.
Dalla luce alla menzogna: anatomia di un uomo votato all’abisso
Ogni fede, se spinta oltre la soglia del dubbio, può diventare un altare al servizio del Male.” — Lettera anonima ritrovata tra le carte del Reverendo Whitmore, dicembre 1888
In ogni storia gotica c’è una figura che si erge tra il sacro e il profano, tra la salvezza e la dannazione. Nella saga dell’Archivio Blackwood, questa figura prende un nome preciso: Aldous Whitmore, reverendo della Chiesa anglicana, predicatore brillante, uomo di parola… e infine, artefice del tradimento.
Ma chi è davvero Whitmore? Un visionario corrotto? Un servo dell’oscurità? O qualcosa di più sottile e inquietante?
Il volto pubblico della redenzione
All’inizio, Whitmore è tutto ciò che ci si aspetterebbe da un pastore d’anime: voce calma, abiti impeccabili, parole misurate. È amato nelle comunità in difficoltà, ascoltato nei salotti dell’aristocrazia, rispettato persino nei corridoi di Scotland Yard.
Nessuno avrebbe potuto immaginare che dietro i suoi sermoni si nascondesse un’ossessione — una che lo legava a riti dimenticati, libri proibiti e antichi giuramenti sussurrati in lingue morte.
La verità sepolta nella giovinezza
Nel secondo volume della saga, Il Vangelo delle Ombre, iniziamo a intuire il passato oscuro del reverendo. Un viaggio missionario in Scozia. Un villaggio abbandonato. Un culto dimenticato dai registri ufficiali. È lì che Whitmore smette di pregare rivolto al cielo… e inizia a cercare risposte altrove.
Gli indizi raccolti da O’Connor, poi completati da Blackwood, mostrano un uomo profondamente trasformato. Non posseduto — no — ma convertito. E il suo Dio, ormai, non è più quello di Londra.
Il tradimento: una scelta lucida
Nel Capitolo 13, Whitmore getta la maschera. Ma il suo tradimento non è un errore. È una liturgia. Una scelta meditata. Offre Blackwood in sacrificio, tenta di aprire un varco tra i mondi, pronuncia parole che nessun essere umano dovrebbe conoscere.
Non c’è follia, solo convinzione. È questo che lo rende davvero pericoloso.
Un’ombra che non si dissolve
Anche dopo la sua fuga, il reverendo continua a influenzare gli eventi. Lascia simboli, messaggi, visioni. Non è un antagonista che svanisce: è una minaccia persistente, come una ferita infetta che continua a pulsare nel buio.
E il dubbio resta: Whitmore è un servo… o un sacerdote di qualcosa di ancora più antico?
Nell’Archivio Blackwood, pochi tradimenti sono così profondi, e nessuna figura è così ambigua.
Whitmore è la prova vivente che il Male non sempre indossa maschere mostruose. A volte, predica dalla sacrestia.
Londra, 1888. Tra le nebbie di Whitechapel e i vicoli oscuri dell’East End, un’ombra affilata come un bisturi seminava terrore, morte e mistero. Jack lo Squartatore è il nome che tutti conoscono, ma non tutti sanno quanto fossero intricati – e spesso contraddittori – i dettagli che emersero nel cuore delle indagini.
Le lettere: scherzi macabri o messaggi autentici?
Durante i mesi degli omicidi, decine di lettere furono recapitate a Scotland Yard e ai giornali. Alcune firmate “Jack the Ripper”, altre con toni ironici, blasfemi o deliranti. Tra tutte, la più celebre fu la “Dear Boss”, in cui il presunto assassino annunciava nuove uccisioni. Ma gli storici ritengono che la maggior parte fossero false, scritte da mitomani o giornalisti in cerca di clamore.
Eppure, una in particolare – la cosiddetta “From Hell”, recapitata con metà di un rene umano – rimane ancora oggi un inquietante mistero.
I sospetti insospettabili
Molti dei principali sospetti erano figure insospettabili: medici, nobili decaduti, artisti. Alcuni nomi erano coperti da protezione istituzionale, alimentando teorie su insabbiamenti e coperture. Un sospetto ricorrente fu il pittore Walter Sickert; un altro, il medico Montague Druitt, morto suicida poche settimane dopo l’ultimo omicidio.
E poi c’era chi accusava personaggi del mondo ecclesiastico, o membri della famiglia reale. Ma senza prove, tutto rimase avvolto nel silenzio.
Gli errori della polizia
La polizia dell’epoca era mal equipaggiata per affrontare un serial killer. Nessun profilo psicologico, nessuna banca dati, poche fotografie. La scena del crimine veniva contaminata, i testimoni lasciati andare senza registrazione formale, e i quartieri venivano pattugliati solo dopo che il sangue era già stato versato.
Uno degli indizi più clamorosi – una scritta su un muro accanto a un grembiule insanguinato – fu cancellato d’urgenza per non “offendere la comunità ebraica”, privando l’indagine di una possibile traccia fondamentale.
Un caso aperto anche per la narrativa
Jack lo Squartatore è ormai un’icona del Male nella cultura moderna, ma fu anche – e soprattutto – il simbolo di una Londra che aveva paura del proprio lato oscuro. Ed è proprio in questo solco che si inserisce l’universo dell’Archivio Blackwood.
Chi ama l’atmosfera cupa, i misteri non risolti e i dossier sepolti nei sotterranei di Scotland Yard, troverà nelle pagine de Le Ombre di Whitechapel un riflesso inquietante di quella storia. Un omaggio narrativo che profuma di sangue, nebbia e segreti non ancora svelati. Anche se, in questo volume, Jack lo Squartatore non compare.
Come vi ho annunciato ieri, ho firmato ufficialmente con la casa editrice bookabook. Oggi voglio solo ribadirlo con forza: non vedo l’ora di cominciare davvero.
Si tratta di un progetto editoriale diverso, coraggioso, basato sulla partecipazione dei lettori. A breve partirà la campagna di crowdfunding, e saranno necessari 200 preordini per poter stampare il libro e distribuirlo nelle librerie italiane.
Per questo avrò bisogno di tutto il vostro supporto. Chi mi ha seguito fino a qui, chi ha letto Le Ombre di Whitechapel, chi si è addentrato ne Il Vangelo delle Ombre, ora può aiutare queste storie (Il Vangelo delle Ombre, nello specifico) a fare il salto che meritano.
Sono profondamente motivato. Questo è un nuovo capitolo, una nuova soglia da attraversare. E come sempre, non sarà Blackwood ad attraversarla da solo.
Vi aggiornerò non appena la campagna sarà online. Nel frattempo… grazie. Per esserci. Per restare. Per credere.
C’è qualcosa di eternamente inquietante nei messaggi scritti a mano. Un’ombra lasciata dall’inchiostro, una parola cancellata, una firma che sembra tremare: ogni lettera, ogni appunto, ogni diario racchiude una voce. E nell’universo dell’Archivio Blackwood, queste voci non tacciono mai.
Ne Le Ombre di Whitechapel e ne Il Vangelo delle Ombre, le parole scritte diventano testimoni muti di eventi oscuri. Frammenti di diario, annotazioni marginali, missive sbiadite: sono questi a guidare l’ispettore Blackwood nella sua indagine attraverso il tempo, la nebbia e la memoria.
Le lettere non sono solo indizi, ma strumenti di evocazione. Portano con sé il peso di ciò che è stato taciuto, la tensione di ciò che sta per accadere. In un mondo dove l’occulto si nasconde tra le pieghe della realtà, la parola scritta assume una forza sacrale, quasi rituale.
Ogni foglio sgualcito, ogni passaggio sottolineato, ogni simbolo tracciato su un bordo è un ponte tra vivi e morti, tra colpevoli e innocenti, tra il razionale e l’ignoto.
Scrivere significa, in fondo, tentare di fermare l’oblio. Nell’universo di Blackwood, però, non tutto ciò che viene scritto è destinato a rimanere silenzioso. Alcuni messaggi, una volta letti, non possono più essere dimenticati.
Vuoi vedere con i tuoi occhi gli scritti dell’Archivio? Scopri i romanzi:
Nel cuore della Londra vittoriana, l’anno 1888 non è soltanto una data: è un simbolo. Una ferita aperta nel tessuto della Storia, un’epoca sospesa tra rivoluzione industriale, superstizione e tenebra. L’Archivio Blackwood nasce proprio lì, tra le ombre fitte di vicoli nebbiosi e il crepitio dei lampioni a gas.
Ma perché scegliere proprio il 1888 come sfondo narrativo?
Un’epoca sull’orlo del collasso
La fine dell’Ottocento è un periodo di transizione brutale. La scienza avanza, la medicina evolve, la psicanalisi muove i primi passi. Eppure, accanto ai laboratori e agli ospedali, resistono ancora gli esorcisti, le sette, le credenze popolari. È un’epoca in bilico: perfetta per far emergere il dubbio, il mistero, l’ignoto.
Il 1888 è l’anno in cui le strade di Whitechapel si macchiano del sangue lasciato da Jack lo Squartatore. È l’anno del terrore, della stampa sensazionalista, della paura che entra in ogni casa. Ambientare Il Vangelo delle Ombre e Le Ombre di Whitechapel in questo preciso momento storico permette di esplorare un’umanità lacerata, pronta a credere all’oscurità perché ha perso fiducia nella luce.
La Londra del crimine
Un mondo in cui tutto è possibile
La Londra del 1888 è un palcoscenico perfetto per il gotico: nebbia, pioggia, carrozze cigolanti, orfanotrofi dimenticati, chiese in rovina e case infestate dai ricordi. Un mondo dove ogni rumore è un presagio e ogni simbolo inciso nel muro può essere l’inizio di un rituale antico.
Una scelta narrativa, ma anche atmosferica
La scelta dell’epoca non è solo un omaggio al gotico classico. È un modo per immergere il lettore in un tempo che sa di polvere, incenso e pioggia. Ogni elemento – dal linguaggio alle indagini – nasce da questo contesto, rendendo le vicende di Edgar Blackwood più autentiche e inevitabili.
L’Archivio Blackwood non racconta semplicemente una storia ambientata nel passato. Costruisce un mondo che, pur ancorato alla realtà storica, ha le porte aperte sull’Altrove.
A volte scrivo non per ricordare, ma per non impazzire.” — annotazione marginale, archivio privato dell’Ispettore Blackwood
Tra le pagine consumate dall’inchiostro e dal silenzio, esiste un archivio che nessun protocollo riconosce, nessuna procedura ufficiale contempla. È lì che Edgar Blackwood affida ciò che non può essere detto, ciò che resta quando l’indagine si ferma e i fantasmi rimangono.
Un diario. Una lettera mai spedita. Una frase scritta di notte sul retro di un biglietto d’indagine.
L’Archivio Blackwood non è solo una raccolta di casi. È anche un luogo interiore, fatto di tracce, sospetti, sogni, rimorsi e segreti. Non tutto ciò che viene scoperto può essere spiegato. Non tutto ciò che si combatte ha un nome.
Un frammento (inedito):
Questa notte ho sentito tre passi sulle scale. Il pavimento della canonica era freddo, eppure mi sembrava di percepire un respiro nell’aria, come se qualcosa trattenesse fiato. Ho acceso la candela, ma nessuno era lì. Soltanto un segno tracciato sul muro. Lo stesso che trovammo a Limehouse. Lo stesso che Declan disegnava senza accorgersene, nei suoi appunti. Mi sto perdendo, oppure mi stanno osservando.”
Queste note, frammenti non ordinati, costituiscono una dimensione parallela ai romanzi: non raccontano i fatti, ma l’inquietudine. Non chiariscono i casi, ma lasciano filtrare le crepe dell’uomo dietro l’ispettore.
Per ora restano inedite, come una corrente sotterranea che attraversa la saga. Ma forse, un giorno, emergeranno alla luce. Con le loro macchie, le contraddizioni, e il peso dell’oscurità.
Ci sono storie che si raccontano tra le righe. E altre, più oscure, che non vengono mai scritte davvero.
Chi conosce L’Archivio Blackwood sa che ogni caso è molto più di un’indagine: è una discesa nel cuore dell’oscurità, un confronto con i limiti della ragione e la presenza costante dell’invisibile. Ma cosa accade dietro le indagini? Cosa pensa davvero Edgar Blackwood nei momenti in cui nessuno lo osserva?
Ecco dove nasce l’idea del diario segreto dell’Ispettore.
Un taccuino immaginario – eppure fin troppo reale – in cui l’ispettore annota appunti, riflessioni, simboli, lettere mai spedite, deduzioni incomplete. Un vero e proprio dossier privato dell’anima. Non ci sono resoconti ufficiali, né testimonianze da verbale: solo ciò che resta quando cala il silenzio, e la nebbia avvolge anche il pensiero.
Nel diario non si troveranno spiegazioni o rivelazioni dirette. Ma si percepisce l’usura della mente, il peso dei casi irrisolti, l’eco delle voci che tornano a tormentarlo. Ed è proprio questa la forza del progetto: uno spazio narrativo che espande l’universo di Blackwood senza anticipare nulla, ma che dona profondità e intimità a ciò che è già stato raccontato.
Per il momento, queste pagine restano inedite, custodite nell’ombra. Ma un giorno, forse, saranno parte di qualcosa di più grande. E allora il lettore potrà entrare davvero nell’abisso con lui. Con un sigaro tra le dita, e la coscienza più pesante di quanto vorrebbe.
Siamo felici di annunciare la pubblicazione dell’intervista completa su CLEOPATRA, a cura di Alessio Valsecchi, che ha avuto la sensibilità e la profondità per esplorare a fondo il mondo narrativo dell’Archivio Blackwood.
Un dialogo intenso che tocca ogni aspetto della scrittura: dall’ispirazione ai personaggi, dai simboli occulti alla Londra del 1888, fino alle strategie editoriali e alle sfide del self publishing.
Ringraziamo Alessio per l’attenzione, la professionalità e l’empatia dimostrata durante l’intervista, e invitiamo tutti i lettori ad immergersi nel testo integrale qui:
👁 Se vi appassionano i misteri, le atmosfere gotiche, i conflitti interiori e le città che respirano come personaggi… troverete pane per i vostri incubi.
📖 Le Ombre di Whitechapel, Il Vangelo delle Ombre e l’imminente Il Carnefice del Silenzio vi aspettano tra le pagine dell’Archivio Blackwood.
Qui riporto l’intervista:
Alessio Valsecchi intervista Claudio Bertolotti
Claudio Bertolotti è nato a Erba nel 1983. Dopo aver intrapreso gli studi di Giurisprudenza, ha intrapreso la carriera imprenditoriale, coltivando una profonda passione per la storia romana e per l’universo narrativo di Sherlock Holmes.
Il suo interesse per il mistero, l’occulto e l’epoca vittoriana lo ha portato prima a scrivere “ Le Ombre di Whitechapel” – un racconto dove si intrecciano mitologia oscura, detective story e atmosfere da incubo – e poi il successivo e recente “Il vangelo delle ombre”.
[CLEOPATRA]: Ciao Claudio, benvenuto sulle pagine di CLEOPATRA. I nostri lettori amano esplorare i segreti della scrittura e delle storie che mescolano mistero, introspezione e stile. I tuoi romanzi gotici ambientati nella Londra del 1888 affascinano e potrebbero affascinare molti. Oggi vogliamo scavare con te tra le pieghe della narrativa, dei personaggi, delle strategie editoriali e della passione che ti guida.
Partiamo dalle origini. Quando hai capito che scrivere non sarebbe stata solo una passione marginale ma qualcosa da vivere a fondo e condividere con il pubblico?
[Claudio Bertolotti]: Scrivere è sempre stato parte di me, ma per lungo tempo l’ho vissuta come un’attività privata, quasi segreta.
Ho capito che era qualcosa da vivere a fondo nel momento in cui le storie hanno cominciato a cercarmi anche fuori dalla pagina. Quando i personaggi restavano con me dopo aver spento il PC, quando sentiva il bisogno non solo di creare, ma di condividere. È stato allora che ho capito che non bastava più scrivere: dovevo far esistere quei mondi anche per gli altri.
[CLEOPATRA]: Il tuo amore per il giallo, il thriller e l’horror gotico emerge in modo vivido nei tuoi romanzi. Cosa ti affascina di più di questi generi? E cosa credi che offrano in più rispetto ad altri?
[CB]: Mi affascina la loro capacità di far luce nell’oscurità, senza però offrire soluzioni comode. Il giallo pone domande. Il thriller accelera il battito. Ma è il gotico a restare sotto pelle. Questi generi permettono di esplorare i confini tra razionalità e ignoto, tra giustizia e ossessione, tra fede e follia. Offrono qualcosa che altri generi non sempre osano: la possibilità di guardare in faccia l’abisso e di chiedersi, senza filtri, cosa ci sia davvero dall’altra parte.
[CLEOPATRA]: Nel tuo primo romanzo, “Le Ombre di Whitechapel – Il segreto del sangue immortale” , ci porti in una Londra misteriosa dove la logica si sgretola di fronte all’ignoto. Se dovessi scegliere un solo elemento che rende quel libro imprescindibile, quale sarebbe e perché?
[CB]: L’elemento imprescindibile è la sovrapposizione tra razionale e irrazionale. “Le Ombre di Whitechapel” non è solo un’indagine, è un crollo di certezze. Il lettore entra pensando di trovare un classico mistero vittoriano, e si ritrova a confrontarsi con qualcosa che sfugge al controllo della mente: un culto, una sete antica, una verità che non può essere spiegata con la logica. Quello scontro tra scienza e superstizione, tra Holmes e il sovrannaturale, è il cuore pulsante del romanzo. È lì che il mondo comincia a cambiare — per lui e per chi legge.
[CLEOPATRA]: In una precedente intervista su RecensioneLibro.it hai detto che il tuo libro è “una discesa nelle pieghe oscure della Londra vittoriana” e che l’indagine affronta il maschio “visibile e invisibile”. potresti approfondire questo concetto? Come hai costruito questo doppio livello di lettura?
[CB]: Ho voluto costruire un’indagine che si muovesse su due piani: quello dell’apparenza e quello del sottosuolo. Il maschio visibile è ciò che accade: un delitto, una traccia, un volto sospetto. Ma il maschio invisibile è ciò che si insinua: i silenzi, i simboli dimenticati, gli sguardi che evitano la verità. Londra, in questo senso, è perfetta: ha due volti. Quello in superficie è quello che vive nei vicoli, nei sotterranei, nei culti dimenticati.
La costruzione del romanzo segue lo stesso principio. Mentre il lettore segue l’indagine, sotto la trama si accumulano indizi che parlano di un orrore più antico, più profondo. È lì che nasce il doppio livello: uno razionale, l’altro rituale. E Blackwood è costretto a muoversi tra entrambi, senza sapere da quale parte verrà colpita.
[CLEOPATRA]: Nel secondo volume della serie, “Il Vangelo delle Ombre” , l’elemento religioso e quello psicologico sembrano intrecciarsi profondamente. Quanto è centrale il rapporto tra fede e razionalità nel romanzo?
[CB]: È un tema centrale. Ne “Il Vangelo delle Ombre”, fede e razionalità non sono in opposizione: sono in tensione continua. Blackwood è un uomo razionale, ma se trovato immerso in una realtà dove la fede, o meglio la sua distorsione, diventa strumento di potere e manipolazione. Il romanzo esplora proprio questo: cosa succede quando la fede smette di essere conforto e diventa controllo?
E cosa succede quando la razionalità non basta più a spiegare ciò che accade? Ho voluto che il lettore, insieme a Blackwood, si trovasse a camminare su quella linea sottile, dove i dogmi vacillano e il dubbio diventa l’unico rifugio possibile.
[CLEOPATRA]: Nel libro compaiono simboli arcaici, sogni disturbanti e “presenze invisibili”. Si tratta solo di suggestioni narrative o c’è anche un intento simbolico o filosofico più profondo?
[CB]: Non sono solo suggerimenti. Ogni simbolo, ogni sogno, ogni “presenza” ha una funzione narrativa, ma anche simbolica. Il vero terrore, per me, non nasce da ciò che si vede, ma da ciò che si intuisce. E tutti questi elementi — i segni arcaici, le allucinazioni, le apparizioni — sono riflessi di qualcosa che Blackwood (e il lettore) porta già dentro.
Sono manifestazioni dell’inconscio, certo, ma anche portali verso una verità più antica, più scomoda. Nel mio mondo narrativo, l’orrore non è mai gratuito: è sempre una forma di rivelazione. E chi osa affrontarlo, deve farlo sapendo che potrebbe non tornare più lo stesso.
[CLEOPATRA]: Uno dei personaggi chiave del romanzo è un sacerdote tormentato dal proprio passato. Che funzione svolge nel racconto? È una figura di redenzione o piuttosto un’eco del peccato che perseguita tutti i protagonisti?
[CB]: Padre Marcus Quinn è entrambe le cose. È una figura che porta con sé il peso della colpa, ma anche la volontà di riscattarsi attraverso l’azione. Non è un “buono” in senso tradizionale: è lacerato, imperfetto, profondamente umano.
La sua funzione narrativa è duplice: da un lato rappresenta la possibilità di redenzione, dall’altro è lo specchio di un passato che nessuno dei protagonisti può davvero lasciarsi alle spalle. La sua fede è autentica, ma ferita. E proprio per questo diventa un baluardo fragile ma essenziale contro l’oscurità. In un mondo dove il male agisce attraverso il silenzio, Quinn è l’unico che tenta — anche a costo di fallire — di alzare la voce.
[CLEOPATRA]: Nel tuo secondo romanzo Londra diventa quasi un personaggio essa stessa, con i suoi sotterranei ei suoi segreti. Come hai lavorato sull’ambientazione per darle una voce narrativa autonoma e inquietante?
[CB]: Londra, per me, non è solo lo sfondo: è un organismo vivente. Ha memoria, ombre, respiri. Nei miei romanzi cerco di mostrarla nei suoi strati più profondi: quelli che non si vedono sulle mappe, ma si sentono sotto i piedi. I vicoli, i sotterranei, le cripte e le case diroccate sono spazi che parlano — o meglio, sussurrano.
Ho lavorato sull’ambientazione come se fosse un personaggio muto ma presente: una città che osserva, che assorbe il dolore, che protegge e insieme condanna. La nebbia sporca, densa, quasi viscosa, è parte integrante di ogni mio romanzo. Oltre ad essere storicamente dimostrata dai testi dell’epoca. Ogni luogo in cui si muove Blackwood è una prova, un enigma. E spesso è la città stessa a decidere chi può tornare indietro.
[CLEOPATRA]: Restando in tema: ambientare la saga a Whitechapel nel 1888 non può non evocare Jack lo Squartatore. Dobbiamo aspettarci che prima o poi faccia la sua comparsa nel tuo universo narrativo? O è una figura che preferisci lasciare sullo sfondo del mito?
[CB]: Jack lo Squartatore è un’ombra che incombe su tutto il mio universo narrativo, ma proprio per questo va trattato con rispetto. È più mito che persona, più simbolo che assassino. Non escludo che possa apparire, ma se lo farà non sarà mai un semplice “personaggio”: sarà una presenza, un riflesso, un enigma irrisolto che sfida anche l’Archivio Blackwood.
Per ora preferisco lasciarlo lì, al confine tra cronaca e incubo, dove la sua figura alimenta l’atmosfera senza bisogno di essere esplicitata. Anche perché, come soggetto, è stato ampiamente abusato, nella narrativa. Ma come ogni ombra… potrebbe tornare, quando meno ce lo aspettiamo.
[CLEOPATRA]: Parliamo del tuo protagonista, l’ispettore Edgar Blackwood. Non è un classico eroe, ma un uomo ferito, lucido e inquieto. Come l’hai costruito e quanto c’è di te in lui?
[CB]: Blackwood è nato da una frattura. Volevo un protagonista che non fosse un eroe, ma un uomo consapevole della propria debolezza. È lucido, ossessivo, analitico — ma porta dentro una solitudine che non riesce a colmare, un passato che non ha mai davvero affrontato.
C’è molto di me in lui. Sono una persona razionale, spesso guidata dal bisogno di accogliere e controllare ciò che mi circonda. Ma, come Blackwood, ho i miei demoni interiori. Quelle inquietudini che non si possono spiegare del tutto, ma che ti spingono a scavare, a indagare, a non fermarti mai alla superficie. Blackwood è questo: una mente brillante, costretta ogni giorno a fare i conti con ciò che non può comprendere fino in fondo. E forse, proprio per questo, continua a cercare.
[CLEOPATRA]: Sul piano della promozione online, ti muovi con attenzione e creatività: sito personale, Instagram, immagini evocative. Quali sono le strategie che ti hanno dato maggiori risultati? Hai dei consigli per altri autori emergenti?
[CB]: Nel tempo ho capito che la promozione online non può essere improvvisata: deve essere coerente con la voce del libro e con l’identità dell’autore. Per me è fondamentale creare un immaginario che accompagni il lettore anche fuori dalla pagina: un sito curato, immagini evocative, post che trasmettono atmosfera prima ancora della trama. Tra tutti, Facebook e Instagram si sono rivelati i canali più efficaci, perché permettono un dialogo diretto, costante, umano.
La pubblicità su Amazon, purtroppo, non sempre valorizza adeguatamente i libri di nicchia o indipendenti: è utile, ma va maneggiata con cautela, senza aspettative esagerate. Non utilizzo personalmente TikTok, quindi non posso esprimermi in merito, ma credo che ogni autore debba scegliere la piattaforma che rispecchia meglio il proprio stile e il proprio pubblico.
Il consiglio che darei? Non puntare alla visibilità immediata, ma alla coerenza nel tempo. La fiducia dei lettori si costruisce con presenza, onestà, qualità e pazienza.
[CLEOPATRA]: E nel mondo “offline”? Partecipi a fiere, firmacopie o eventi dal vivo? Cosa pensi del contatto diretto con i lettori oggi, in un’epoca sempre più digitale?
[CB]: Ad oggi non ho ancora partecipato attivamente ad eventi dal vivo come autore, anche se ovviamente ho frequentato realtà importanti come il Salone del Libro, dove il confronto con lettori e professionisti è sempre stimolante. Mi piacerebbe molto iniziare a farlo: presentazioni, firmacopie, letture ad alta voce — credo siano esperienze preziose non solo per promuovere un libro, ma per viverlo insieme a chi lo ha letto o lo scopre in quel momento.
In un’epoca sempre più digitale, il contatto diretto con il lettore è qualcosa che acquista ancora più valore. Guardarsi negli occhi, parlare di ciò che ha colpito, emozionato o inquietato: è una parte della scrittura che merita spazio. E che spero presto di esplorare di persona.
[CLEOPATRA]: Sui tuoi social utilizzi spesso immagini create con l’intelligenza artificiale che evocano scene e atmosfere dei tuoi romanzi. Come sei arrivato a questa scelta? Hai mai collaborato anche con un illustratore o grafico tradizionale?
[CB]: Al momento non collaboro con illustratori o grafici tradizionali, anche se mi piacerebbe farlo molto in futuro. Per ora mi affido all’intelligenza artificiale, soprattutto per la creazione di immagini evocative legate ai miei romanzi. È uno strumento affascinante, che permette di dare forma a suggestioni visive coerenti con il tono gotico e simbolico dell’Archivio Blackwood.
Tuttavia, ha anche i suoi limiti: la creazione delle copertine, ad esempio, è spesso complessa e richiede molta pazienza. A volte servono giorni interi e decine di tentativi per ottenere un risultato che sia davvero all’altezza del progetto narrativo. Nonostante questo, credo sia una risorsa utile per costruire un immaginario coerente e immersivo, soprattutto per chi — come me — desidera curare ogni dettaglio visivo in prima persona.
[CLEOPATRA]: Hai scelto il self publishing per pubblicare la saga. Quali sono le sfide maggiori di questa strada e quali le soddisfazioni più grandi? Cosa consiglieri a chi sta pensando di intraprenderla?
[CB]: Il self-publishing è una strada affascinante, ma anche molto impegnativa. La sfida principale è l’isolamento decisionale: sei tu a dover curare ogni dettaglio, dalla correzione del testo alla promozione, dall’impaginazione alla grafica. Ma dall’altro lato, è proprio questo controllo totale che rappresenta la soddisfazione più grande: ogni parola, ogni immagine, ogni scelta estetica rispecchia esattamente la tua visione.
Purtroppo, come tanti, mi sono scontrato con un mondo saturo di libri e spesso opaco sul fronte editoriale: agenzie che chiedono cifre considerevoli senza alcuna garanzia di pubblicazione, o editori — per fortuna pochi — che propongono contratti in cui è l’autore a dover versare una quota per realizzare il proprio libro. Per questo ho scelto l’autopubblicazione: per avere libertà, dignità e trasparenza.
A chi sta pensando di intraprendere questa strada, consiglio due cose: studiare a fondo ogni aspetto tecnico (formati, impaginazione, diritti, distribuzione) e mantenere alta la qualità in ogni fase. Il lettore merita sempre il meglio, indipendentemente da chi pubblichi il libro.
[CLEOPATRA]: Cosa puoi anticiparci dei tuoi progetti futuri? Il terzo capitolo della saga, “Il Carnefice del Silenzio”, promette scenari monastici e rituali dimenticati: a che punto sei con la stesura? E ci saranno altre sorprese per i tuoi lettori?
[CB]: Attualmente sono al completamento del quarto capitolo su una struttura prevista di circa 22–23 capitoli de “Il Carnefice del Silenzio”. Sarà un romanzo più lungo, più profondo, più ragionato e, credo, anche più maturo rispetto ai precedenti. Un racconto che indaga il silenzio come forza oscura e rituale, ma senza mai perdere di vista l’umanità dei personaggi.
Nel frattempo, sto lavorando all’uscita dell’edizione speciale rigida “L’Archivio Blackwood – Volume I: Le Origini”, che raccoglie i primi due romanzi (“Le Ombre di Whitechapel” e “Il Vangelo delle Ombre”) con contenuti extra esclusivi: immagini, appendici inedite, lettere, mappe, simboli e frammenti d’archivio nuovi. Fa parte della serie “I dossier dell’Archivio Blackwood”, un progetto pensato per i lettori più affezionati, che vogliono immergersi ancora più a fondo nel mondo narrativo della saga.
E naturalmente… ho già in mente almeno altri due volumi per il futuro. L’Archivio è grande, ei suoi segreti non sono ancora finiti.
[CLEOPATRA]: Per chi volesse contattarti, seguirti o magari collaborare con te, quali sono i canali migliori?
[CB]: Sono sempre felice di entrare in contatto con chi legge, scrive o desidera collaborare. I canali migliori per seguirmi sono:
⦁ Instagram: @archivio_blackwood – dove pubblico immagini evocative, anticipazioni e contenuti esclusivi.
⦁ Il mio sito ufficiale: www.claudiobertolotti83.net – lì si trovano articoli, aggiornamenti e tutte le informazioni sulla saga.
⦁ Email diretta: autore.claudiobertolotti@gmail.com – per chi desidera propormi un progetto, un’intervista o semplicemente scambiare qualche parola sul mondo dell’Archivio.
Cerco sempre di rispondere con attenzione e cura. L’incontro con i lettori è una delle parti più vere e preziose di questo percorso.
[CLEOPATRA]: Infine, Claudio, hai la possibilità di rivolgerti direttamente ai nostri lettori. Perché dovrebbero immergersi oggi nelle ombre di Whitechapel e dell’Archivio Blackwood?
[CB]: Perché Archivio Blackwood non è solo una saga gotica ambientata nell’Ottocento. È un viaggio nei lati nascosti dell’animo umano, tra colpe che non passano e silenzi che parlano più delle parole. Chi sceglie di immergersi in queste pagine, sceglie di camminare accanto a personaggi imperfetti, tormentati da demoni interiori, ma ancora capaci di lottare contro l’oscurità — dentro e fuori di sé.
E se è vero che ogni epoca ha i suoi fantasmi, credo che i nostri non siano poi così diversi da quelli che infestano le strade di Whitechapel. Per questo, forse, oggi più che mai… vale la pena ascoltarli.
[CLEOPATRA]: Grazie Claudio per essere stato con noi. Ai nostri lettori diciamo questo: se amate le atmosfere cupe, le indagini che sfidano la logica ei personaggi tormentati che cercano la luce nel buio, non potete perdervi i romanzi di Claudio Bertolotti. L’Archivio Blackwood vi aspetta… e non sarà un viaggio da cui tornerai uguali.