L’ho seguito nel buio senza parlare.
Le sue mani tremavano appena, ma non per paura. Per il peso.
Quel genere di peso che non si vede, ma si avverte, come il freddo di una cripta che non si è mai richiusa del tutto.
Padre Marcus Quinn camminava davanti a me, il passo deciso di chi ha già perso tutto eppure continua. Il mantello frustava il vento e nella destra stringeva il rosario, annerito dal tempo, rigido come un’arma. Non era più un prete. Era qualcos’altro. Qualcuno che ha guardato nell’abisso e ha deciso di rientrare, pur sapendo che non ne uscirà.
Voltò lo sguardo una volta sola. Non disse nulla. Non doveva.
Davanti alla casa — quella casa — l’aria era densa di ceneri invisibili.
Il rituale lo stava aspettando.
Io?
Ero lì per assisterlo, ma anche per non farlo restare solo. Perché a volte l’unica difesa contro il Male… è non combatterlo da soli.
Nella stanza dove il soffitto si piegava e il legno scricchiolava come un lamento, Quinn tracciò i simboli con mano ferma. Bruciò una pagina antica, recitò in latino versi che suonavano come minacce. E poi si inginocchiò.
Ma non per pregare.
Per sfidare.
Il Viaggiatore lo stava guardando. E io lo seppi. Non c’era bisogno di vederlo. Lo sentivo in ogni fibra.
Ci sono momenti in cui la fede non è un atto di devozione.
È un’arma.
E Quinn… era pronto a usarla.
Quando uscii da quella casa, qualcosa era cambiato.
Dentro di me.
Dentro di lui.
E dentro il lettore che troverà il coraggio di aprire Il Vangelo delle Ombre.
Perché questo libro non si legge.
Si affronta.
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