Accanto a Padre Quinn


L’ho seguito nel buio senza parlare.
Le sue mani tremavano appena, ma non per paura. Per il peso.

Quel genere di peso che non si vede, ma si avverte, come il freddo di una cripta che non si è mai richiusa del tutto.
Padre Marcus Quinn camminava davanti a me, il passo deciso di chi ha già perso tutto eppure continua. Il mantello frustava il vento e nella destra stringeva il rosario, annerito dal tempo, rigido come un’arma. Non era più un prete. Era qualcos’altro. Qualcuno che ha guardato nell’abisso e ha deciso di rientrare, pur sapendo che non ne uscirà.

Voltò lo sguardo una volta sola. Non disse nulla. Non doveva.
Davanti alla casa — quella casa — l’aria era densa di ceneri invisibili.
Il rituale lo stava aspettando.

Io?
Ero lì per assisterlo, ma anche per non farlo restare solo. Perché a volte l’unica difesa contro il Male… è non combatterlo da soli.

Nella stanza dove il soffitto si piegava e il legno scricchiolava come un lamento, Quinn tracciò i simboli con mano ferma. Bruciò una pagina antica, recitò in latino versi che suonavano come minacce. E poi si inginocchiò.
Ma non per pregare.

Per sfidare.

Il Viaggiatore lo stava guardando. E io lo seppi. Non c’era bisogno di vederlo. Lo sentivo in ogni fibra.

Ci sono momenti in cui la fede non è un atto di devozione.
È un’arma.
E Quinn… era pronto a usarla.

Quando uscii da quella casa, qualcosa era cambiato.
Dentro di me.
Dentro di lui.
E dentro il lettore che troverà il coraggio di aprire Il Vangelo delle Ombre.

Perché questo libro non si legge.
Si affronta.


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IL CARNEFICE DEL SILENZIO
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Gli Oggetti Maledetti nella Storia e nella Narrativa

Tra mito, cronaca e ombra…

C’è un filo sottile, quasi invisibile, che collega i mercati polverosi dell’antiquariato, le sale ovattate dei musei e i racconti sussurrati nelle notti senza luna. È il filo della maledizione. Oggetti che sembrano muti e inerti, ma che, secondo antiche dicerie, custodiscono più di un ricordo… custodiscono un’ombra.

Nella storia, la lista è inquietante e variegata. C’è la Dibbuk Box, un’innocente scatola di legno per il vino, resa famigerata da racconti di malattie improvvise, incubi e presenze oscure dopo ogni cambio di proprietario. O la bambola di Robert, oggi chiusa in una teca a Key West, accusata di muoversi da sola e di ridere di notte, lasciando dietro di sé un odore dolciastro di muffa e polvere.

E poi ci sono i gioielli maledetti, come il diamante Hope, il cui splendore ha attraversato secoli di ricchezza e morte, passando di mano in mano come un sussurro velenoso.

La narrativa gotica e horror non ha fatto altro che amplificare e reinterpretare queste paure ataviche. Da Il Ritratto di Dorian Gray, dove un’opera d’arte custodisce la corruzione dell’anima, fino ai miei racconti dell’Archivio Blackwood, in cui reliquie, cimeli e suppellettili si rivelano essere molto più di semplici oggetti: sono testimoni e custodi di segreti inconfessabili.

La forza di questi oggetti, reali o inventati, sta nella loro ambiguità. Non sono mostri che si muovono nell’ombra, ma presenze immobili che sanno attendere. Non attaccano: attirano. Non gridano: sussurrano.

In un’epoca come la nostra, in cui tutto sembra spiegabile e razionale, forse è proprio questo il motivo per cui continuano a inquietarci: ci ricordano che la vera paura non sempre viene da ciò che possiamo vedere… ma da ciò che crediamo di possedere.

I miei libri

Le Ombre di Whitechapel – Il segreto del sangue immortale

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Il Vangelo delle Ombre

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Gotico e fotografia: ispirazioni visive per costruire l’atmosfera

Chi scrive gotico lo sa: non basta un’idea. Serve un’ombra. Un dettaglio sfuocato. Un’immagine che inquieta senza spiegare.

Nel mio processo creativo, la fotografia è una delle prime scintille che accendono la fiamma. Ma non parlo delle immagini moderne e patinate: il mio archivio è fatto di dagherrotipi, ritratti sgranati, lastre annerite dal tempo. Sono volti che non guardano più, stanze che sembrano aver trattenuto qualcosa.

La forza del dettaglio disturbante

Un guanto lasciato su un tavolo.
Un diario aperto con l’ultima parola strappata.
Una bambola impolverata seduta in un angolo.

Non c’è bisogno di mostrare il mostro: l’atmosfera gotica nasce nel non detto, nel fuori campo visivo. È lì che si insinua la paura.

Molti dei racconti dell’Archivio Blackwood nascono proprio da una fotografia malata di tempo. Le immagini che condivido sui miei profili Instagram sono lo specchio di quel mondo: realistico, ma sfalsato. Storico, ma fittizio. Gotico, ma credibile.

Ispirazioni visive ricorrenti

Cimiteri avvolti nella nebbia

Vicoli ciechi con impronte nel fango

Lanterna accesa accanto a una lapide

Interni vittoriani con oggetti rituali

Statue angeliche corrose e segnate

Ogni immagine non è solo estetica: è parte del racconto. A volte anticipa una scena, a volte ne è il residuo. E altre volte… è tutto ciò che resta.

Scrivere per immagini

Oggi più che mai, anche la letteratura si fa visiva. Ma non si tratta di “semplificare”. Si tratta di evocare.
Un’immagine può dire molto più di una sinossi. Può attirare il lettore giusto. Può insinuare un dubbio, una domanda, una suggestione.

E allora sì, continuerò a scrivere. Ma anche a fotografare l’ombra, ogni volta che passa.

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Harry – Il giornalista che inseguiva l’ombra di Whitechapel

In mezzo alla nebbia di Whitechapel non si muovono solo assassini e investigatori.
C’è anche chi cerca la verità (o le mezze verità…) armato solo di penna e coraggio: Harry, giovane giornalista dal volto scavato e dallo sguardo curioso.

Harry collabora con il London Gazette, ma il suo vero sogno è raccontare le storie che nessuno vuole ascoltare.
Non gli interessano i comunicati ufficiali o i grandi eventi: Harry si muove nei vicoli sporchi, tra locande malfamate e occhi diffidenti, alla ricerca della verità nascosta.

Un estratto, mai pubblicato:

Ispettore Blackwood,” chiese Harry con il suo solito sorriso storto, “è vero che non tutti i mostri portano un coltello? Alcuni, a volte, portano solo un sorriso?”

Blackwood si voltò lentamente, il volto impassibile come la nebbia che li circondava.

I veri mostri, ragazzo,” rispose, “non si fanno vedere. Ti ci fanno inciampare”

Harry è il simbolo di una Londra che cerca risposte.
Non ha una pistola, non ha un distintivo.
Ha solo un taccuino, una matita… e il coraggio di non distogliere mai lo sguardo.

In Le Ombre di Whitechapel, ogni testimone ha un ruolo. Anche chi, come Harry, racconta l’incubo mentre lo vive.