Quando il corpo diventa testo: anatomia del macabro da Jack lo Squartatore a Ed Gein


Ci sono figure criminali che non si limitano a commettere un atto violento: scrivono sul corpo delle vittime, imprimono un messaggio, trasformano la scena del crimine in un linguaggio disturbante e inevitabile.
È ciò che accomuna – pur con enormi differenze storiche, psicologiche e culturali – due nomi scolpiti nell’immaginario del macabro: Jack lo Squartatore e Ed Gein.

Il corpo come narrazione del male

In criminologia, il corpo della vittima viene analizzato come un testo: ogni ferita, ogni mancanza, ogni postura racconta qualcosa dell’autore.
Non è solo anatomia, è semiotica del delitto.

  • Jack lo Squartatore usava il corpo per inviare prove di superiorità, dominare l’investigazione, dimostrare controllo.
  • Ed Gein, al contrario, trasformava il corpo in materia rituale, parte di un mondo interiore deformato da ossessione materna, religione distorta e isolamento sociale.

In entrambi i casi, il cadavere non è più un corpo: diventa un messaggio.

Jack: la chirurgia improvvisata del terrore

Londra, 1888. Nebbia, vicoli, lampioni tremolanti.
Jack lo Squartatore non uccideva soltanto: incideva, apriva, esponeva.
La disposizione dei corpi, la precisione delle mutilazioni, la scelta delle aree anatomiche… tutto suggeriva un rituale di potere.

Il messaggio era chiaro:
“Io vedo. Io decido. Io sfido.”

La narrativa gotica dell’epoca, da Stevenson a Wilde, non era distante: raccontava lo stesso conflitto tra identità e ombra, tra normalità e pulsione inconfessabile.

Gein: quando il corpo diventa oggetto

Salto di mezzo secolo e migliaia di chilometri: Wisconsin, 1957.
La casa di Ed Gein non è una scena del crimine, ma un museo dell’ossessione.
Qui il corpo smette di essere messaggio per diventare strumento:
maschere, cinture, coppe, rivestimenti, reliquie.

Non c’è sfida alla polizia.
Non c’è messinscena pubblica.
C’è un uomo che usa il corpo come materia prima per ricostruire la figura della madre e placare una solitudine che ha divorato la sua mente.

In criminologia, questo passaggio è decisivo:
Jack comunica col mondo;
Gein comunica con se stesso.

Due epoche, un’unica domanda: perché?

Narrativa e criminologia si incontrano proprio qui:
nella necessità di capire cosa spinge un essere umano a trasformare un altro essere umano in un testo, un trofeo o un simbolo.

Per Jack, il corpo era un palco.
Per Gein, un altare.
Per entrambi, però, il corpo delle vittime è diventato l’unico linguaggio possibile per esprimere ciò che non poteva essere detto.

E forse per questo, ancora oggi, queste storie ci inquietano più di qualsiasi romanzo:
perché mostrano un male che non parla…
scrive.

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Come venivano scritti davvero i romanzi gotici vittoriani e perché la mia narrativa si fonda su quella struttura


Il gotico vittoriano non è solo un genere: è un’architettura narrativa precisa, riconoscibile, costruita secondo regole che miravano a creare inquietudine sottile, introspezione psicologica e un senso di minaccia che avanzava scena dopo scena.
Oggi molti lettori associano il gotico a cliché, ma nel periodo vittoriano era una macchina narrativa sofisticata, più simile a un ingranaggio d’orologeria che a un semplice stile.

In questo articolo esploriamo come erano scritti davvero i romanzi gotici dell’Ottocento, quali erano le loro strutture interne e perché la mia saga gotica si basa consapevolmente su quelle stesse fondamenta, adattandole alla sensibilità moderna.


1. Struttura a stratificazione: orrore rivelato, mai immediato

I romanzi gotici vittoriani non mostravano subito l’orrore.
Funzionavano per livelli successivi:

  1. Primo strato – la vita quotidiana: la normalità apparente.
  2. Secondo strato – l’inquietudine che filtra: rumori, ombre, presagi.
  3. Terzo strato – la rivelazione parziale: un indizio forte ma non definitivo.
  4. Ultimo strato – il cuore dell’orrore: la verità che sovverte tutto.

Questa progressione si ritrova in opere come Il Giro di Vite, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde e Dracula.

Nei miei romanzi, questo principio è fondamentale: l’orrore non arriva mai improvviso. È un’ombra che cresce, una presenza che si lascia intuire prima di mostrarsi.


2. L’indagine razionale che lentamente fallisce

Il gotico vittoriano amava far scontrare la ragione con l’irrazionale.

Il protagonista inizia sempre da un approccio logico, quasi scientifico.
Poi, scena dopo scena, si trova costretto ad ammettere che la logica da sola non basta.

Questa dinamica è evidente in:

  • Jonathan Harker che cerca di razionalizzare il Castello di Dracula
  • Utterson che indaga su Jekyll con metodo legale
  • I narratori di Henry James che dubitano della propria percezione

Anche nella mia scrittura il personaggio “razionale” (Blackwood, o chi ricopre quel ruolo nelle altre saghe) si confronta con qualcosa che lo supera, senza perdere però il metodo.
La tensione nasce nel punto di frattura tra investigazione e ignoto.


3. Atmosfera sensoriale prima dell’azione

I vittoriani erano maestri dell’atmosfera.
Prima dell’azione, costruivano:

  • odori
  • luci tremolanti
  • passaggi stretti e chiusi
  • case che sembrano respirare
  • nebbia che non è solo nebbia ma un personaggio

L’ambiente anticipa ciò che accadrà.

È uno dei pilastri della mia scrittura: prima di ogni svolta narrativa costruisco uno spazio vivo, un luogo che racconta qualcosa.
Non uso descrizioni immobili: gli ambienti hanno memoria.


4. Personaggi imperfetti, ambigui, segnati

Il gotico vittoriano non amava gli eroi puri.
Preferiva figure:

  • segnate dal passato
  • emotivamente fragili
  • capaci di sbagliare
  • ossessionate dalla verità o dall’ignoto

Da Dorian Gray a Victor Frankenstein, passando per Renfield, l’eroe gotico è un uomo (o una donna) che lotta anche contro sé stesso.

Lo stesso vale nei miei romanzi: nessun protagonista è perfetto.
Blackwood, Monroe, Quinn, tutti portano una crepa che li rende più veri.


5. Capitoli brevi, ritmo crescente, finale che non chiude tutto

La struttura vittoriana aveva un altro tratto distintivo:
il finale raramente era risolutivo al 100%.

Lasciava:

  • una domanda sospesa
  • un dubbio
  • un’ombra che potrebbe tornare

Perché il male, nel gotico, non muore: cambia forma.

Nelle mie opere faccio la stessa scelta: chiudo l’arco narrativo, ma l’atmosfera continua a vibrare, lasciando spazio a nuovi misteri, collegamenti e simboli.


Perché uso ancora oggi la struttura gotica vittoriana?

Perché funziona.
Perché è elegante.
Perché parla al lettore con intelligenza, senza “urlare” l’orrore.
E soprattutto perché permette di costruire:

  • lore profonda
  • personaggi memorabili
  • tensione psicologica autentica
  • mondi narrativi coerenti e ricchi

Il gotico vittoriano non è passato.
È diventato un linguaggio.
Io ho scelto di usarlo come base delle mie saghe, modernizzandolo senza tradirne l’essenza.


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Come creo le immagini e le copertine per i miei libri

Chi pensa che basti “scrivere una frase” in un’app di intelligenza artificiale per ottenere una buona immagine, vive un’illusione. La realtà è molto diversa, soprattutto quando si ha un’estetica ben precisa da rispettare. Nel mio caso, ogni immagine che pubblico è il frutto di una precisa progettazione, di un codice visivo coerente con l’universo narrativo dell’Archivio Blackwood e delle regole grafiche che ho fissato nel tempo: gotico, realistico, atmosferico, senza toni verdi o filtri digitali innaturali. Ogni elemento conta.

La scelta dello stile: gotico Lovecraft, realistico, narrativo

Ogni immagine deve evocare un’atmosfera immersiva. Per i miei romanzi utilizzo uno stile gotico-lovecraftiano, con colori profondi, freddi, desaturati, spesso con elementi di nebbia, fumo, luce fioca, ambientazioni vittoriane (Londra, cripte, biblioteche, strade fangose) e una composizione cinematografica.

Le immagini non devono mai sembrare moderne o digitali. Odio le grafiche plasticose, cartoon, fantasy da videogioco: servono texture invecchiate, ombre naturali, superfici imperfette. Per questo, le app vanno guidate con attenzione chirurgica.

Prompt e linguaggio visuale

Creo ogni immagine a partire da prompt lunghi, dettagliati, scritti in inglese. Esempio:

“Victorian London at night, foggy street, gaslamps, dark shadows, carriages, gothic cathedral in the background, realistic style, old stone buildings, wet cobblestone, no modern elements, 19th century”

Aggiungo sempre specifiche su stile, epoca, atmosfera, palette cromatica, eliminando elementi indesiderati con frasi come: “no green filter, no blur, no cartoon, no text”.

Ogni prompt ha bisogno di almeno 4-5 tentativi per trovare il giusto equilibrio. Spesso correggo manualmente le versioni finali per uniformare luci, ombre, colori o ritoccare dettagli fuori tono.

Le app che uso: dalle AI alle rifiniture

Le piattaforme principali sono:

  • Leonardo AI: molto utile per le composizioni architettoniche e ambientazioni urbane complesse. Va calibrata bene per evitare distorsioni o estetica da fantasy moderno.
  • Midjourney: quando serve più atmosfera che dettaglio. Ottima per scene nebbiose, visioni oniriche, interni gotici.
  • Photoshop / Canva / Snapseed: le uso in fase di ritocco per inserire elementi manuali (come il mio LOGO ufficiale), regolare contrasto e saturazione, rimuovere errori evidenti.

Per le copertine dei libri, le immagini devono essere a 600 DPI se stampate, e in formato 7575×5400 px per Amazon. Controllo ogni dettaglio: allineamento, spaziature, centratura, posizione del logo, eventuali testi (solo se richiesti).

Il LOGO e la coerenza visiva

Ogni immagine ufficiale include il mio logo CB Claudio Bertolotti, in basso a destra. Deve essere coerente con l’immagine, ridimensionato ma ben visibile, senza mai essere invasivo. Serve a garantire l’autenticità delle immagini e costruire una firma visiva forte e riconoscibile.


La verità è che ogni immagine è progettata come una piccola scena narrativa. Deve raccontare qualcosa, evocare un dettaglio del libro, o amplificarne l’estetica. Non è un “contenuto da social”: è parte del mondo dell’Archivio Blackwood. E ogni mondo, per funzionare, ha bisogno di coerenza assoluta tra testo e immagine.

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Ed Gein al Cinema: tra ispirazione e distorsione


Quando si pensa al volto del male nei film horror più iconici, spesso non si sa che dietro quei mostri c’è un nome reale: Ed Gein.

La sua storia — fatta di solitudine, repressione sessuale, culto ossessivo della madre e macabri rituali — ha ispirato alcuni dei personaggi più disturbanti della storia del cinema, trasformandolo in un archetipo del male nascosto dietro volti ordinari.

Norman Bates (Psycho, 1960)

Il primo e più diretto esempio è Norman Bates, protagonista del capolavoro di Alfred Hitchcock. Come Gein, vive isolato con il cadavere imbalsamato della madre, con cui mantiene un dialogo interiore distorto. La “casa su tre livelli” di Psycho richiama la stratificazione mentale: inconscio, conscio e repressione, proprio come nella mente di Ed.

Leatherface (Non aprite quella porta, 1974)

Il personaggio di Leatherface è ispirato all’abitudine di Gein di utilizzare pelle umana per creare maschere e indumenti. Il film, pur spingendosi verso l’eccesso splatter, mantiene l’essenza disturbante di un uomo che ha trasformato il corpo umano in un materiale da lavoro. Il silenzio, la famiglia degenerata e l’ambiente rurale riportano alla Wisconsin di Gein.

Buffalo Bill (Il silenzio degli innocenti, 1991)

In questo caso l’ispirazione è più simbolica. Buffalo Bill scuoia le sue vittime per creare una “seconda pelle” e diventare ciò che desidera. Il tema dell’identità, della pelle come confine tra essere e apparire, ha un legame diretto con Gein e il suo desiderio inconscio di diventare la madre perduta.


L’influenza oltre l’horror

Ed Gein ha lasciato un’impronta anche nella cultura pop, nei fumetti, nei romanzi e persino nei videogiochi. La sua storia ha superato i confini del true crime, diventando un simbolo della paura che nasce dentro casa, in silenzio, senza clamore.

Non era un serial killer classico. Ha ucciso poco, ma ha disturbato profondamente.

E Hollywood ha saputo cogliere quell’abisso e trasformarlo in mito.


Nel mio saggio narrativo Il Culto della Madre – Ed Gein e l’orrore nella mente umana, esploro proprio questi legami tra realtà e rappresentazione, tra cronaca e immaginario. Un viaggio disturbante, ma necessario, per comprendere da dove nascono davvero i mostri.

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Cos’è davvero il “Gotico Vittoriano”? Tra nebbie, silenzi e ombre interiori


In molti pensano al gotico vittoriano come a una semplice estetica: edifici decadenti, nebbia, cimiteri, donne in corsetti e uomini in redingote. Ma il cuore di questo genere è molto più profondo, ed è ancora vivo. È un’eco che parla al nostro tempo, fatta di silenzi, paure sotterranee e ossessioni represse.

Nato in un’epoca di contrasti — la Londra industriale, la morale rigida della Regina Vittoria, l’avanzare della scienza contro la fede — il gotico vittoriano si nutre di ciò che non viene detto. Non urla: sussurra. Non mostra: allude. Le sue storie si muovono tra l’invisibile e il sospetto, tra il razionale e il disturbante.

Un romanzo gotico vittoriano non è solo una storia “oscura”. È una lente attraverso cui guardiamo il dolore, la colpa, la follia, la religione e la morte con occhi antichi ma domande attuali. Gli eroi sono spesso ambigui, tormentati, e mai del tutto puri. I luoghi stessi — case abbandonate, strade di periferia, manicomi, archivi nascosti — diventano personaggi a sé, carichi di memoria e presagi.

Oggi, chi scrive gotico vittoriano non sta solo rievocando il passato: sta usando quel linguaggio per parlare al presente. In un mondo che brucia di velocità, esposizione e iperconnessione, tornare al passo lento di un mistero sussurrato nella nebbia è un atto rivoluzionario.

È per questo che continuo a scrivere nel solco del gotico. Perché ogni nebbia contiene un segreto. E ogni ombra, una verità dimenticata.


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La Londra Vittoriana dei miei romanzi: realtà, fantasia e suggestione


Molti lettori mi chiedono quanto ci sia di vero nell’ambientazione dei miei romanzi. La risposta è semplice: tutto… e niente.

Sì, perché la Londra che incontrate tra le pagine dell’Archivio Blackwood nasce da una fusione accurata tra ricostruzione storica e immaginazione gotica. Passeggiare con Edgar Blackwood tra le nebbie di Limehouse, o attraversare i corridoi silenziosi di una casa signorile a Kensington, significa entrare in un mondo dove la documentazione e l’atmosfera si fondono senza soluzione di continuità.

Un tempo sospeso tra 1888 e l’eternità

La mia Londra è quella del 1888, ma non quella da cartolina. È una città che pulsa nel fango, nei vicoli dimenticati, nei sussurri dei quartieri dove la modernità fatica ad avanzare. Dove i lampioni rischiarano più ombre che volti, e il confine tra superstizione e verità è sottile come una lama.

Ogni luogo che descrivo esiste o potrebbe esistere. Ho letto vecchi giornali, mappe, atti ufficiali, ma anche testimonianze popolari, leggende urbane, documenti dell’epoca e lettere personali. Lì dove il documento tace, interviene l’immaginazione.

I luoghi che ritornano

  • Limehouse, con le sue lanterne giallastre, i moli nascosti e le voci confuse nelle bettole.
  • Kensington, elegante ma attraversato da silenzi troppo perfetti.
  • Soho, con il suo cuore doppio: mondano in superficie, inquieto nei sotterranei.
  • E poi le cripte, gli archivi, le chiese sconsacrate e le stanze dove il tempo sembra non passare mai.

Tutto è progettato per costruire un mondo coerente, dove ogni casa, ogni simbolo, ogni rituale ha una sua storia. Una mappa invisibile che si compone libro dopo libro.

Realtà o finzione?

La verità è che ogni elemento nasce da una domanda: e se fosse andata davvero così?
È questa la forza del gotico: prendere la realtà e piegarla fino a farle sussurrare qualcosa di più oscuro, più inquietante… ma anche più profondo.


Se hai letto uno dei miei romanzi, forse ti sei già perso in questa Londra. Se non l’hai ancora fatto… i lampioni sono accesi. Ti aspetto tra le ombre.


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Londra 1888 – 10 fatti reali che sembrano usciti da un romanzo horror


Certe città sembrano fatte per il mistero. Londra, nel 1888, non era soltanto la metropoli più moderna del mondo: era anche un labirinto di fumo, sangue e superstizione. Una città bifronte, dove il progresso e l’oscurità camminavano a braccetto. Ecco dieci fatti storicamente verificati accaduti proprio in quell’anno, ognuno più inquietante del precedente.


1. Jack lo Squartatore firmava con lettere piene di odio

Nel 1888 la polizia ricevette diverse lettere firmate “Jack the Ripper”, ma una in particolare — la celebre “From Hell” — conteneva metà di un rene umano conservato in alcol. Il mittente sosteneva di averlo rimosso da una delle vittime. Non fu mai identificato.


2. I becchini rubavano cadaveri per venderli alle scuole mediche

Nonostante la legge del 1832, il commercio illegale di corpi restava attivo. Nel 1888 fu scoperta una rete sotterranea di “resurrezionisti” che dissotterravano salme fresche nei cimiteri di periferia.


3. L’invenzione dell’illuminazione elettrica fece esplodere l’industria degli specchi spiritici

Molti credevano che le prime lampade elettriche attirassero presenze ultraterrene. In quegli anni nacquero circoli esoterici che usavano specchi anneriti per evocare i morti, tra cui la Società degli Osservatori Notturni.


4. A Whitechapel esisteva davvero un “club del sangue”

Nei registri del 1888 si parla di un gruppo elitario chiamato Red Veil Society, che si riuniva in un bordello dismesso. I rituali prevedevano il consumo simbolico di sangue animale. La stampa lo ignorò, Scotland Yard no.


5. Gli ospedali avevano sale separate per i “posseduti”

Al London Hospital e al Bethlem Royal (il famigerato Bedlam) venivano segregati pazienti con disturbi dissociativi. Nei rapporti clinici, alcuni casi furono descritti come “infestazioni dell’anima”.


6. Un’intera famiglia scomparve a Limehouse senza lasciare traccia

I coniugi Lambert e i loro tre figli svanirono in pieno giorno. La casa fu ritrovata vuota, il tavolo apparecchiato. Nessun segno di effrazione. Nessuna spiegazione. Né allora, né oggi.


7. Una pioggia di vermi colpì Camberwell la notte del 2 novembre

Fenomeno meteorologico documentato: testimoni riferirono che il cielo notturno si oscurò, poi iniziarono a cadere vermi vivi dal nulla. I giornali locali parlarono di punizione divina. I naturalisti non seppero spiegare l’accaduto.


8. Il Club Diogenes non era solo invenzione di Conan Doyle

Una versione reale del “club per misantropi” esisteva davvero. Si trovava a Pall Mall, era frequentato da aristocratici e accademici, e i suoi membri firmavano un patto di silenzio. Letteralmente.


9. Londra aveva una fitta rete di tunnel sotto i cimiteri

In caso di epidemie future, si erano scavati tunnel sotto i camposanti per trasportare cadaveri senza passare in superficie. Alcuni vennero chiusi dopo strani “incidenti” con operai spariti nel nulla.


10. Nel 1888 fu ritrovato un libro rilegato in pelle umana

All’interno della biblioteca privata di un collezionista defunto, la polizia scoprì un tomo rilegato in dermatochiria. Conteneva trattati di stregoneria e annotazioni in latino. Il libro fu sequestrato e mai restituito.


Londra, in quell’anno, sembrava davvero il prologo di un romanzo gotico. Non stupisce che ancora oggi, per molti autori come me, sia la culla naturale dell’orrore.


Hai trovato affascinanti questi fatti storici?
Scrivimi nei commenti quale ti ha inquietato di più… o quale vorresti leggere in un prossimo racconto dell’Archivio Blackwood.


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Ed Gein: cosa ci racconta davvero la sua mente?


Psicopatologia e simbolismo tra realtà e abisso

“Non era pazzo. O almeno non nel modo in cui lo intendiamo.”
Questa è una delle frasi più inquietanti pronunciate da uno psichiatra chiamato a valutare Ed Gein, l’uomo che, con la sua follia rurale e il culto morboso per la madre, ha ispirato decine di figure dell’orrore moderno: Norman Bates, Leatherface, Buffalo Bill.

Ma al di là del sensazionalismo, chi era davvero Ed Gein?

Dissociazione e rituale

Secondo i referti psichiatrici redatti dopo il suo arresto nel 1957, Gein soffriva di schizofrenia paranoide con forti componenti dissociative. Ma ciò che colpì gli analisti non fu solo la patologia, bensì la struttura rituale che permeava ogni sua azione:

  • la scelta delle vittime
  • l’uso dei corpi per creare “oggetti” (maschere, abiti, arredi)
  • la conservazione ossessiva dei resti

Tutto in lui obbediva a una logica simbolica disturbata, non a un impulso caotico. Ed Gein non uccideva per godimento. Uccideva per ricostruire un altare alla madre. Perché lei tornasse.

La madre come centro del cosmo

Augusta Gein era tutto per lui: figura religiosa fanatica, ossessiva, manipolatrice. Le sue parole — “tutte le donne sono peccatrici” — si scolpirono nella mente del figlio come un dogma ineluttabile. Quando morì, Ed Gein restò solo con Dio e con i cadaveri.

Nel tempo, cominciò a ricostruire un mondo materno fatto di pelle, ossa, abiti ricuciti. Voleva rivestirsi della madre, diventare la madre.
In questo senso, il delitto per Gein non era fine a sé stesso, ma un mezzo per colmare un’assenza cosmica, una ferita metafisica.

Il significato profondo dell’orrore

Gein non è un semplice assassino. È un simbolo.
Un archetipo dell’uomo che, di fronte alla perdita, cerca di manipolare la morte attraverso riti, oggetti e simboli. Un uomo che, privato di identità, usa il corpo dell’altro per tentare di ritrovare sé stesso.

Nella sua follia, non c’è disordine. C’è struttura, c’è culto.
Un culto privato, oscuro, in cui la madre diventa divinità, e l’omicidio un’offerta sacra.

Vuoi approfondire?

Queste e altre riflessioni si trovano all’interno del mio Libro:
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Mondi narrativi condivisi: come nasce un universo gotico coerente?


Dietro le quinte dell’Archivio Blackwood e delle future trilogie

Nel cuore di ogni saga gotica c’è un elemento invisibile, eppure fondamentale: la coerenza dell’universo narrativo.
Non basta creare atmosfere cupe, personaggi inquieti o misteri irrisolti. Serve una struttura invisibile ma solida, fatta di regole, riferimenti interni, luoghi ricorrenti e cronologie condivise.
Solo così il lettore potrà sentirsi dentro un mondo, non semplicemente davanti a una storia.

L’Archivio Blackwood: un mosaico di oscurità

Nato con Le Ombre di Whitechapel e sviluppato in Il Vangelo delle Ombre e Il Carnefice del Silenzio, l’Archivio Blackwood è molto più di una semplice trilogia.
È una rete di indagini, eventi, alleanze e segreti, distribuita su più anni, più casi e più livelli.
Ogni volume ha una sua autonomia, ma tutti contribuiscono a un quadro più ampio:

  • le apparizioni ricorrenti di determinati simboli
  • le connessioni sotterranee tra personaggi
  • gli eventi passati che tornano a tormentare il presente
  • i riferimenti a “dossier”, “documenti interdetti” e “interludi” che ampliano la narrazione

Ogni dettaglio — anche il più piccolo — viene archiviato, etichettato e ripreso al momento giusto.
Come in un vero archivio segreto.

Le nuove trilogie: espandere senza contraddirsi

L’universo si espande con nuove linee temporali, nuovi protagonisti, nuove derive del Male.
Ma la regola rimane: coerenza totale.
Ogni trilogia futura avrà una sua anima — epica, religiosa, medica, folklorica — ma resterà compatibile con l’atmosfera, lo stile e le implicazioni dell’universo Blackwood.

Ad esempio:

  • Il Sangue… (no spoiler!) esplorerà le origini del mito di Dracula, ma filtrate attraverso lo sguardo di un medico ossessionato, legato a un ordine segreto.
  • L’Abisso… sarà una spirale temporale in una casa “affamata di tempo”, con apparizioni e cronologie impazzite.
  • La Muta… tornerà indietro nel tempo per raccontare il primo caso mai affrontato da Edgar Blackwood, e i traumi che lo hanno segnato.

Il dietro le quinte: come si costruisce tutto questo?

  • Timeline centralizzata: ogni evento è collocato su una mappa temporale principale. Nulla è casuale.
  • Archivio dei personaggi: ogni figura, anche secondaria, ha una scheda evolutiva. Così può tornare (o scomparire) in modo credibile.
  • Lessico coerente: certi nomi, certi concetti, certi oggetti ricorrono. Sono le “parole chiave” di un mondo.
  • Simboli e mitologie originali: come nei miti antichi, il linguaggio del Male (e del Bene) ha codici visivi e rituali precisi. Viene creato a monte, e poi declinato nei romanzi.

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Hollowgate


Una saga gotica per ragazzi tra orfanotrofi, magia e ombre

Nel cuore di un’Inghilterra vittoriana ancora attraversata da nebbie, paure e misteri, nasce una nuova saga gotica pensata per lettori giovani ma curiosi. Hollowgate non è solo un luogo, ma una ferita, un passaggio, una promessa.

Un orfanotrofio abbandonato.
Un’antica biblioteca.
Una serie di segreti sepolti nel tempo.

Questi sono solo alcuni degli elementi che compongono il mondo di Hollowgate… primo volume di una Saga gotica per ragazzi ambientata nello stesso universo narrativo dell’Archivio Blackwood, ma con un tono più accessibile, formativo e avventuroso.

Gotico sì, ma per ragazzi

La sfida è stata proprio questa: mantenere l’atmosfera evocativa del gotico classico — nebbia, candele, antichi simboli, misteri da decifrare — ma con uno stile più fluido, personaggi giovani, relazioni forti e una magia concreta, tangibile… ma non senza conseguenze.

Ogni gesto magico ha un costo. Ogni scoperta porta con sé nuove domande.
Il sistema magico non è puro incanto: è conoscenza, sacrificio, responsabilità.

Tre protagonisti, tre chiavi

Al centro della saga ci sono tre ragazzi molto diversi tra loro, uniti da un legame che va oltre la semplice amicizia: li accomuna una perdita, ma anche una chiamata. Ciascuno di loro possiede un talento speciale e una ferita nascosta.
Il loro viaggio non sarà solo fisico, ma anche interiore.

Non c’è retorica. Non ci sono eroi perfetti.
Ci sono errori, dubbi, paure… ma anche coraggio, intelligenza, desiderio di capire e — soprattutto — di scegliere.

Un mondo narrativo interconnesso

Hollowgate è ambientato negli stessi anni e ambienti dell’Archivio Blackwood, ma può essere letto indipendentemente.
Tuttavia, chi ha già familiarità con i romanzi precedenti potrà cogliere piccoli dettagli, nomi e simboli che gettano ponti sotterranei tra le due saghe.

Un giorno, forse, i fili si incroceranno.


Se ami i libri dove la magia ha un prezzo, le biblioteche nascondono portali, e le amicizie salvano più delle profezie… benvenuto a Hollowgate.


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