Dossier n. 22 – Le lettere censurate del Reverendo Whitmore

Archivio Blackwood – sezione riservata / trascrizione incompleta

Alcune verità non vanno scritte. Ma lui le scrisse lo stesso.”
— Nota marginale ritrovata in un fascicolo della Chiesa Riformata Scozzese, 1874

Premessa (a cura dell’Archivio)

Tra i documenti recuperati durante la discesa finale nella casa Fairweather, spiccava una cartella deteriorata dall’umidità e dal tempo. All’interno, legate con uno spago invecchiato, si trovavano sette lettere vergate a mano e firmate da A. Whitmore. L’intestazione riporta date comprese tra 1869 e 1874. Nessuna di esse risulta registrata nei registri ufficiali della Chiesa presbiteriana di Edimburgo.

Due lettere sono irrimediabilmente danneggiate. Tre sono interamente scritte in latino ecclesiastico, ma con passaggi che sembrano tratti da testi apocrifi. Le restanti due contengono rivelazioni disturbanti, e sono state censurate in almeno due punti da una mano successiva con inchiostro nero.

Qui di seguito si riporta la trascrizione parziale della Lettera IV, datata 3 ottobre 1871, probabilmente mai inviata.

Lettera IV (incompleta)

Canonica di Strathmory, Highlands scozzesi
3 ottobre 1871

Fratello in Cristo,

La notte scorsa, l’eco del canto si è levata di nuovo dalle fondamenta della cappella. I bambini non parlano più. Non urlano. Ma mi guardano — occhi che non hanno età, e che non dovrebbero esistere in corpi così fragili.

Uno di loro — chiama sé stesso “Elias” ma non credo sia il suo nome — mi ha preso la mano e ha sussurrato parole che non ho trovato in alcun Vangelo:

Quando il silenzio sarà completo, il Viaggiatore tornerà.”

Ho controllato i testi lasciati da Don Inverness, ho cercato nel Libro Oscuro (quello che tu mi avevi detto di non aprire mai). Eppure… è tutto scritto lì. Le stesse frasi. Gli stessi simboli. Gli stessi tremori che provavo da bambino, davanti al confessionale di mio padre.

Ti supplico, non ignorare questo messaggio. C’è un Dio dietro il Dio che ci insegnano. E ha fame.

Mi chiedo se ciò che faccio qui sia ancora cristiano. O se sia troppo tardi per salvarmi.

Reverendo Aldous Whitmore
Canonico in esilio, servitore disobbediente.

Nota d’archivio

La firma del Reverendo corrisponde a quella registrata nei documenti parrocchiali fino al 1872, anno in cui fu dichiarato scomparso durante una missione in Scozia. Tuttavia, il suo ritorno a Londra nel 1888 — come assistente ecclesiastico  — è storicamente documentato, ma mai ufficialmente giustificato.

Le lettere non saranno rese pubbliche integralmente. I passaggi oscurati appaiono volontariamente danneggiati con acido nitrico. Alcuni studiosi sostengono siano frasi tratte da un antico rito di invocazione del Viaggiatore.

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Il fascino delle lettere perdute: perché amo inserire documenti nei miei romanzi

C’è qualcosa di magnetico in una lettera dimenticata, in una pagina ingiallita nascosta tra le pieghe del tempo. Nei romanzi dell’Archivio Blackwood, non è raro imbattersi in una corrispondenza segreta, in appunti logori o in simboli annotati in fretta, con la paura di essere scoperti. Non si tratta solo di espedienti narrativi: sono ponti verso un passato che torna a vivere.

Quando ho iniziato a scrivere Le Ombre di Whitechapel, ho capito subito che non volevo una narrazione lineare. Volevo stratificare il mistero, lasciare che i lettori scoprissero la verità un frammento alla volta, proprio come fa Blackwood. Le lettere, i diari, le pagine strappate da manoscritti proibiti servono a costruire un mondo che sembra respirare da solo, dove il lettore si trasforma in investigatore.

Ne Il Vangelo delle Ombre, i documenti sparsi diventano ancora più centrali. Ci sono confessioni scritte con la mano tremante, pagine in latino macchiate di cera, disegni inquietanti. Non sono solo “pezzi di trama”. Sono voci. Echi. Tracce che raccontano più di quanto possano fare le azioni. In alcuni casi, quei documenti dicono verità che i personaggi non ammetterebbero mai ad alta voce.

Il mio obiettivo è semplice: far sì che ogni lettore senta di tenere tra le mani un frammento di storia maledetta. Come se ogni pagina potesse celare un enigma, un avvertimento, o il testamento di chi non ha mai potuto raccontare la verità. Perché in fondo, anche le ombre hanno una memoria. Basta saperla leggere.


Una lettera mai inviata

Dal fondo di un dossier impolverato, è riemersa una lettera che non fu mai spedita. Non è firmata, né datata, ma il tono e la calligrafia appartengono a Edgar Blackwood. Destinatario: Declan O’Connor. Contenuto: una confessione.

Declan,

scrivere il tuo nome è come scalfire il ghiaccio con le dita nude. Fa male.
Non perché non voglia ricordarti, ma perché ogni sillaba che ti riguarda sembra ferire la pelle più sottile che mi resta: quella dell’anima, quella della colpa.

Ti sei sempre fatto carico del peso degli altri. Hai scherzato anche nel fango, hai stretto mani che io non avrei mai toccato, hai seguito la mia ombra nei vicoli peggiori di Londra senza chiedermi mai “perché”.
E io, maledetto me, ti ho lasciato fare. Ti ho tenuto accanto come si tiene una lanterna accesa in un corridoio buio: non per affetto, ma per non inciampare. E ora, senza di te, ogni passo è un colpo secco contro il pavimento.

Non c’eri alla mia destra quando ho aperto il fascicolo successivo. Non c’eri a stringere il sigaro tra le dita, a borbottare che “questo caso puzza peggio del Tamigi”. Non c’eri, ed è lì che ho capito quanto fossi necessario.
Non per il lavoro.
Per me.

Mi è rimasta la tua voce nelle orecchie. Il tuo modo di chiamarmi, con quel tono che non era né rispetto né scherno, ma una via di mezzo perfetta che solo tu sapevi usare.
Mi è rimasto il tuo sangue sulle mani, e non riesco a lavarlo. Non ancora.

Ti prometto una cosa, vecchio amico: non dimenticherò.
E non perdonerò.
Il Viaggiatore pagherà.

Con o senza Dio, con o senza redenzione, verrà il momento in cui la tua morte sarà vendicata.
E allora potrai finalmente riposare.

E io forse… respirare.

— E.B.

Lettera mai consegnata – Padre Quinn a Edgar Blackwood

Ritrovata tra le pagine consunte del breviario, custodita in una tasca interna del mantello logoro. La calligrafia è tremante, incisa come confessione ultima o speranza estrema.

Ispettore Edgar,

scrivo queste righe senza la certezza che ti raggiungeranno.
Forse saranno consumate dalla cenere, forse dimenticate in fondo a una cassa di legno marcito. Ma scrivere mi aiuta. A non cedere.

Stanotte il vento ha fatto tremare le finestre della canonica. Ogni candela si è spenta nello stesso istante, come se qualcosa – o qualcuno – avesse attraversato i corridoi.
Non lo vedo, ma lo sento. È vicino. Non più un’ombra, ma un respiro. Non più un sussurro, ma un nome.

Ti dirò la verità, Edgar: prego senza certezza.
Le mie mani tracciano i segni, ma il cuore dubita. Quanti rituali ho condotto invano? Quante volte ho invocato luce e ho ricevuto silenzio?
Eppure… c’è una voce dentro che mi dice di non fermarmi. Non per fede, ma per necessità. Se falliamo, non ci sarà un dopo. Non per noi. Non per Londra.

Ho rispolverato testi che giacevano sotto polvere e vergogna. Letti solo a metà, perché neanche i santi hanno avuto il coraggio di terminarli.
Eppure adesso li leggo. Rileggo. Studio ogni sigillo, ogni nota, ogni frammento che possa rivelarci un punto debole. Perché ce n’è sempre uno. Ogni male, per antico che sia, ha la sua crepa.

Mi domando se anche tu lo senti, nelle ossa, nei sogni. Quel tempo che stringe, quel confine che si assottiglia.
Siamo stati scelti, non perché siamo pronti… ma perché non possiamo più voltarci indietro.

Che Dio ci guardi, se ancora ci guarda.

Con rispetto, timore e fratellanza,
Padre Marcus Quinn
12 dicembre 1888