C’è odore di umido, di chiuso. Di qualcosa che marcisce.
La porta si apre con un cigolio lungo e lento, come se stesse cercando di avvisarmi che qui, in questa casa, nulla è rimasto davvero morto. Neanche la polvere.
La luce fioca della torcia disegna contorni slabbrati sulle pareti annerite. Il pavimento scricchiola sotto i miei passi, ma non è solo il legno a muoversi. È come se ci fosse qualcos’altro, appena fuori dalla vista, che trattiene il respiro assieme a me.
Un sussurro che non è vento. Un lamento che non ha voce.
Cammino in silenzio tra vecchi giornali ingialliti, sedie senza gambe, scatole di latta, oggetti senza nome.
È una casa, dicono. Ma non lo è più.
Qui non c’è memoria domestica, non ci sono ricordi normali. Solo rituali. Solo ossessioni. Solo fantasmi.
Entro nella cucina. Il tavolo è ricoperto da una cerata logora. Sopra, resti arrugginiti di utensili, lame, e… qualcosa che non voglio identificare subito.
Guardo a sinistra. Il lavandino è sporco, con tracce che sembrano vecchie ma ancora umide. E sopra, appeso come un trofeo che nessuno dovrebbe mai mostrare, c’è un volto. Una maschera. Pelle umana, cucita.
Inspiegabilmente conservata.
Mi fermo. Il cuore mi batte forte.
Lo so, razionalmente. So dove sono.
La paura è reale.
Salgo le scale. Una porta è chiusa.
La stanza della madre.
Qui il tempo si è fermato. Il letto è rifatto, la Bibbia è ancora sul comodino. Le tende bloccano la luce, ma qualcosa filtra ugualmente.
Non la toccherei mai, quella stanza.
Ed Gein non l’ha mai fatto. La adorava troppo.
O forse ne aveva troppa paura.
Scendo.
C’è un capanno sul retro. Il cuore mi dice di non aprirlo.
La mente mi urla che devo farlo. Che dentro ci sono le risposte.
Lo spalanco.
Il tanfo è insopportabile.
E non serve immaginazione. I giornali lo raccontano. I rapporti lo confermano. Qui sono stati ritrovati teschi usati come ciotole. Organi. Parti del corpo femminile trasformate in oggetti.
Un grembiule fatto con seni.
Una cintura fatta di capezzoli.
Non è una leggenda.
Non è un horror hollywoodiano.
È accaduto.
Qui.
Ed Gein non era solo un assassino.
Era un uomo spezzato, consumato da una madre che aveva idolatrato fino a volerne ricreare la presenza con la carne di altre donne.
Un uomo che viveva in una dimensione alterata, tra fede malata e delirio.
Un uomo che ha ispirato Psycho, Non aprite quella porta, Il Silenzio degli innocenti.
Chiudo gli occhi.
Respiro piano.
E penso: non ho visto un mostro. Ho camminato nella sua mente.
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