In un dipartimento come Scotland Yard, il cambiamento non è mai accolto a braccia aperte. Dopo la scomparsa dell’ispettore Harrington, serviva una figura in grado di tenere insieme le fila, mantenere l’equilibrio e non ostacolare chi, come Edgar Blackwood, agisce spesso in territori oscuri e fuori dagli schemi.
Così arriva Arthur Pritchard.
Non ha l’aspetto minaccioso né il carisma del capo temuto. È impacciato, incline alla riflessione più che all’azione, un burocrate con l’aria perennemente preoccupata. Eppure, dietro quei baffi poco curati e il tono sommesso, si cela un’intelligenza sottile e una profonda onestà intellettuale.
Pritchard non è lì per ostacolare Blackwood, ma per proteggerlo. Ha capito che certe indagini richiedono qualcosa in più del protocollo. Ha capito, forse, che qualcosa di ben più profondo dell’omicidio si annida nelle pieghe della città.
Sarà lui, in Il Vangelo delle Ombre, a garantire a Blackwood quel margine di libertà di cui ha bisogno. Ma per farlo… dovrà scendere anche lui, un passo alla volta, nel buio.
Nel cuore fumoso della Londra vittoriana, tra vicoli infestati dalla nebbia e dal terrore, si muove una figura inconfondibile: l’ispettore EdgarBlackwood. Protagonista del racconto Le Ombre di Whitechapel – Il Segreto del Sangue Immortale, Blackwood incarna l’anima più tormentata e affascinante del detective gotico.
Chi è Edgar Blackwood? Ex soldato dell’esercito britannico, veterano della guerra di Crimea, Blackwood è sopravvissuto a orrori indicibili, riportandone non solo cicatrici fisiche ma anche profonde ferite interiori. Al ritorno a Londra, decide di dedicare la sua vita alla giustizia, entrando a far parte della Polizia Metropolitana.
Ma Blackwood non è un uomo come gli altri. Schivo, ruvido nei modi, si porta addosso il peso di un passato di violenze e perdite. Il suo sguardo d’acciaio, il pugno facile ereditato dagli anni da pugile di strada, e i sigari economici che non abbandona mai, sono i suoi tratti distintivi. Eppure, dietro l’aspetto burbero si nasconde un’intelligenza acuta, un senso dell’onore incorruttibile e un’insaziabile sete di verità.
Un eroe imperfetto A differenza dei classici investigatori, Edgar Blackwood non si lascia incantare da teorie astratte o dall’autocelebrazione. In un’epoca in cui l’apparenza spesso conta più della sostanza, lui è l’antitesi del funzionario di facciata: preferisce la strada agli uffici, l’azione alla politica. Questo suo atteggiamento gli procura l’inimicizia dei superiori, in particolare dell’ispettore capo Harrington, e lo rende un outsider all’interno della stessa Scotland Yard.
Il tormento come forza Ciò che rende Blackwood un personaggio indimenticabile è proprio il suo rapporto con l’oscurità. Non combatte solo i mostri che si annidano nei bassifondi di Whitechapel: ogni giorno deve affrontare anche i suoi demoni interiori — l’incubo della guerra, la perdita, il senso di colpa. Eppure, invece di soccombere, usa questo tormento come arma. La sofferenza affina i suoi sensi, alimenta la sua determinazione. Blackwood non cerca redenzione: cerca giustizia, a qualunque costo.
Il cuore sotto l’armatura Seppure riluttante a mostrare emozioni, l’amicizia profonda con il sergente Declan O’Connor rivela un lato più umano di Blackwood: quello di un uomo capace di lealtà assoluta e di un silenzioso, doloroso bisogno di legami autentici. Il loro rapporto è uno dei fili emotivi più forti del racconto.
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Edgar Blackwood è più di un semplice investigatore: è l’ultimo baluardo contro l’orrore che striscia tra le ombre di Londra. Ed è proprio la sua imperfezione a renderlo così reale, così vivo — un eroe stanco ma ancora in piedi, pronto a sfidare l’impossibile.
Nel racconto Le Ombre di Whitechapel, l’ispettore capo Harrington è una figura presente soprattutto sullo sfondo, ma la sua influenza su Blackwood è evidente in ogni gesto dell’ispettore.
Harrington rappresenta la vecchia scuola di Scotland Yard: severità, metodo tradizionale, rispetto delle gerarchie. Tuttavia, dietro quell’apparenza burbera e quella figura imponente — grassoccia, il viso rubicondo e i capelli lisciati con cura all’indietro — si nasconde un uomo che conosce bene il valore dell’intuito.
Nonostante il suo scetticismo verso le teorie più “creative” di Blackwood, Harrington gli ha sempre riconosciuto una dote rara: saper vedere oltre l’ovvio.
Una scena inedita, mai raccontata nel libro, descrive uno dei pochi momenti di autentica stima tra i due:
Scena inedita:
Blackwood si presentò nell’ufficio di Harrington dopo ore di interrogatori infruttuosi.
L’ispettore capo, con la solita pipa stretta tra i denti e la giacca abbottonata in maniera impeccabile sul ventre prominente, lo fissò da sopra gli occhiali.
«Ditemi, Blackwood,» borbottò. «Avete qualche altra teoria folle da propormi? Che sia il vento a uccidere la gente, o magari il Diavolo in persona?»
Blackwood, senza scomporsi, rispose: «Non ancora, signore. Ma di certo qualcosa sta muovendosi nell’ombra.»
Harrington grugnì, soffiando una nuvola di fumo nell’aria.
«Siete la mia rovina, Blackwood. Eppure… siete anche la mia unica speranza.»
Per un attimo, dietro la scorza dura di Harrington, Blackwood intravide un barlume di rispetto. E forse, di paura.
Harrington non combatte i mostri con la forza. Combatte il terrore quotidiano con la disciplina. E forse proprio per questo, in una Londra divorata dall’oscurità, è un alleato di cui Blackwood non può fare a meno.