Quando immaginiamo il male, lo vestiamo spesso di artigli, oscurità e poteri occulti. Ma l’orrore più potente non viene da fuori. Viene da dentro. Da qui nasce ogni antagonista dell’Archivio Blackwood: non come mostri mitologici, ma come esseri umani deformati da desideri, fallimenti, paure e – a volte – fede.
Il Viaggiatore: il volto oscuro dell’anima
Il Viaggiatore non ha un volto, né un corpo. Ma non è meno reale. È il riflesso di ciò che temiamo di diventare: un’ombra che entra solo dove trova spazio. Non possiede, risuona. In ogni personaggio in cui si insinua, il vero orrore è la resa: uomini e donne che, pur sapendo, lo lasciano entrare.
Non è un demone canonico. È un’idea che prende forma. E funziona perché si appoggia sulla fragilità interiore. Il male, in fondo, entra da una porta lasciata socchiusa.
Aldous Whitmore: la fede che brucia
Whitmore è il più inquietante, perché non agisce per potere. Agisce per convinzione. La sua deriva non nasce da un patto con l’oscurità, ma da una preghiera non ascoltata. È un uomo spezzato che ha fatto un passo troppo oltre nel tentativo di salvare. E così ha dannato.
Whitmore è ciò che accade quando il bene diventa fanatismo. Quando l’obbedienza cieca cancella il dubbio e la colpa viene giustificata dal fine. È un prete, sì, ma lo è anche quando sacrifica. E questa ambiguità lo rende spaventoso.
Dorian Gray (il futuro antagonista): la corruzione dell’immortalità
In un futuro prossimo volume, Dorian sarà l’antagonista. Ma non sarà quello di Wilde. Sarà qualcosa che Wilde non ha voluto mostrare: cosa accade quando l’anima resta imprigionata per decenni nel peccato senza mai morire. Il suo male non sarà estetico, sarà spirituale.
Dorian sarà il volto del vizio senza conseguenze. L’orrore non sta nei suoi gesti – seppur orribili – ma nel vuoto con cui li compie. Perché quando nulla ci può punire, nulla ci può più salvare.
Il segreto è l’umanità
Tutti i nemici di Blackwood – anche i più occulti – hanno qualcosa di umano. Ecco il vero nucleo della saga: il male non è un’entità esterna, ma una possibilità. Un errore che compiamo. Un dolore che ci cambia. Un abisso che ci guarda, sì, ma solo se prima lo abbiamo guardato noi.
L’Archivio Blackwood non è un bestiario dell’orrore. È una cartella clinica dell’animo umano. E ogni antagonista ne è una pagina malata.









