Come vi ho annunciato ieri, ho firmato ufficialmente con la casa editrice bookabook. Oggi voglio solo ribadirlo con forza: non vedo l’ora di cominciare davvero.
Si tratta di un progetto editoriale diverso, coraggioso, basato sulla partecipazione dei lettori. A breve partirà la campagna di crowdfunding, e saranno necessari 200 preordini per poter stampare il libro e distribuirlo nelle librerie italiane.
Per questo avrò bisogno di tutto il vostro supporto. Chi mi ha seguito fino a qui, chi ha letto Le Ombre di Whitechapel, chi si è addentrato ne Il Vangelo delle Ombre, ora può aiutare queste storie (Il Vangelo delle Ombre, nello specifico) a fare il salto che meritano.
Sono profondamente motivato. Questo è un nuovo capitolo, una nuova soglia da attraversare. E come sempre, non sarà Blackwood ad attraversarla da solo.
Vi aggiornerò non appena la campagna sarà online. Nel frattempo… grazie. Per esserci. Per restare. Per credere.
C’è qualcosa di eternamente inquietante nei messaggi scritti a mano. Un’ombra lasciata dall’inchiostro, una parola cancellata, una firma che sembra tremare: ogni lettera, ogni appunto, ogni diario racchiude una voce. E nell’universo dell’Archivio Blackwood, queste voci non tacciono mai.
Ne Le Ombre di Whitechapel e ne Il Vangelo delle Ombre, le parole scritte diventano testimoni muti di eventi oscuri. Frammenti di diario, annotazioni marginali, missive sbiadite: sono questi a guidare l’ispettore Blackwood nella sua indagine attraverso il tempo, la nebbia e la memoria.
Le lettere non sono solo indizi, ma strumenti di evocazione. Portano con sé il peso di ciò che è stato taciuto, la tensione di ciò che sta per accadere. In un mondo dove l’occulto si nasconde tra le pieghe della realtà, la parola scritta assume una forza sacrale, quasi rituale.
Ogni foglio sgualcito, ogni passaggio sottolineato, ogni simbolo tracciato su un bordo è un ponte tra vivi e morti, tra colpevoli e innocenti, tra il razionale e l’ignoto.
Scrivere significa, in fondo, tentare di fermare l’oblio. Nell’universo di Blackwood, però, non tutto ciò che viene scritto è destinato a rimanere silenzioso. Alcuni messaggi, una volta letti, non possono più essere dimenticati.
Vuoi vedere con i tuoi occhi gli scritti dell’Archivio? Scopri i romanzi:
Ogni storia ha un volto. E per L’Archivio Blackwood, quel volto è fatto di nebbia, ombre e silenzi. Molti lettori mi hanno chiesto com’è nata la copertina del primo volume, quali scelte ci sono state dietro e cosa rappresentano davvero le immagini e i colori. Questo articolo vuole raccontarvelo — senza filtri, ma con tutta la cura che merita un lavoro gotico e visivo come il mio.
Niente verde, niente filtri digitali
Fin dall’inizio ho stabilito alcune regole inderogabili per lo stile visivo:
No ai toni verdi, spesso associati a filtri digitali freddi e artificiali.
No alla grafica piatta o digitale eccessiva: l’atmosfera doveva essere tangibile, quasi materica.
Sì a una palette profonda, naturale, con colori realistici e ombre pesanti.
L’obiettivo era creare copertine che sembrassero uscite da un archivio polveroso dell’epoca vittoriana, non da un software di grafica moderno. Le immagini dovevano avere anima — e imperfezione.
La figura di spalle, sotto il lampione
Nella copertina di “Le Ombre di Whitechapel” e de “Il Vangelo delle Ombre”, la figura maschile di spalle — probabilmente Edgar Blackwood stesso — non mostra mai il volto. Perché? Perché il mistero non si rivela mai tutto. E perché il lettore deve avere lo spazio per proiettare se stesso nell’indagine. La luce del lampione, unica fonte in mezzo alla nebbia, rappresenta l’intuizione, la verità che tenta di farsi largo nel buio.
Brossura o copertina rigida? Due anime dello stesso libro
La versione in brossura è sobria, elegante, perfetta per chi ama leggere ovunque. La copertina rigida, invece, è un oggetto da collezione. La prima tiratura, arrivata in questi giorni, aveva un piccolo difetto sul bordo, ma il risultato estetico è stato sorprendente: sembrava un diario maledetto ritrovato in una biblioteca dimenticata.
Quella versione rischia di diventare rarissima: presto, con l’avvio di una nuova strada editoriale, potrei dover sospendere la produzione indipendente di questi formati.
Un libro che deve anche farsi guardare
Credo che una copertina non debba solo “piacere”. Deve evocare. Deve fare domande, non dare risposte. L’Archivio Blackwood non è solo una saga gotica: è un viaggio tra ombre, colpe e verità sepolte. E ogni immagine, ogni sfumatura della copertina, vuole suggerirlo senza mai gridarlo.
Se non avete ancora tra le mani una copia, ecco i link diretti:
Nel cuore della Londra vittoriana, l’anno 1888 non è soltanto una data: è un simbolo. Una ferita aperta nel tessuto della Storia, un’epoca sospesa tra rivoluzione industriale, superstizione e tenebra. L’Archivio Blackwood nasce proprio lì, tra le ombre fitte di vicoli nebbiosi e il crepitio dei lampioni a gas.
Ma perché scegliere proprio il 1888 come sfondo narrativo?
Un’epoca sull’orlo del collasso
La fine dell’Ottocento è un periodo di transizione brutale. La scienza avanza, la medicina evolve, la psicanalisi muove i primi passi. Eppure, accanto ai laboratori e agli ospedali, resistono ancora gli esorcisti, le sette, le credenze popolari. È un’epoca in bilico: perfetta per far emergere il dubbio, il mistero, l’ignoto.
Il 1888 è l’anno in cui le strade di Whitechapel si macchiano del sangue lasciato da Jack lo Squartatore. È l’anno del terrore, della stampa sensazionalista, della paura che entra in ogni casa. Ambientare Il Vangelo delle Ombre e Le Ombre di Whitechapel in questo preciso momento storico permette di esplorare un’umanità lacerata, pronta a credere all’oscurità perché ha perso fiducia nella luce.
La Londra del crimine
Un mondo in cui tutto è possibile
La Londra del 1888 è un palcoscenico perfetto per il gotico: nebbia, pioggia, carrozze cigolanti, orfanotrofi dimenticati, chiese in rovina e case infestate dai ricordi. Un mondo dove ogni rumore è un presagio e ogni simbolo inciso nel muro può essere l’inizio di un rituale antico.
Una scelta narrativa, ma anche atmosferica
La scelta dell’epoca non è solo un omaggio al gotico classico. È un modo per immergere il lettore in un tempo che sa di polvere, incenso e pioggia. Ogni elemento – dal linguaggio alle indagini – nasce da questo contesto, rendendo le vicende di Edgar Blackwood più autentiche e inevitabili.
L’Archivio Blackwood non racconta semplicemente una storia ambientata nel passato. Costruisce un mondo che, pur ancorato alla realtà storica, ha le porte aperte sull’Altrove.
A volte scrivo non per ricordare, ma per non impazzire.” — annotazione marginale, archivio privato dell’Ispettore Blackwood
Tra le pagine consumate dall’inchiostro e dal silenzio, esiste un archivio che nessun protocollo riconosce, nessuna procedura ufficiale contempla. È lì che Edgar Blackwood affida ciò che non può essere detto, ciò che resta quando l’indagine si ferma e i fantasmi rimangono.
Un diario. Una lettera mai spedita. Una frase scritta di notte sul retro di un biglietto d’indagine.
L’Archivio Blackwood non è solo una raccolta di casi. È anche un luogo interiore, fatto di tracce, sospetti, sogni, rimorsi e segreti. Non tutto ciò che viene scoperto può essere spiegato. Non tutto ciò che si combatte ha un nome.
Un frammento (inedito):
Questa notte ho sentito tre passi sulle scale. Il pavimento della canonica era freddo, eppure mi sembrava di percepire un respiro nell’aria, come se qualcosa trattenesse fiato. Ho acceso la candela, ma nessuno era lì. Soltanto un segno tracciato sul muro. Lo stesso che trovammo a Limehouse. Lo stesso che Declan disegnava senza accorgersene, nei suoi appunti. Mi sto perdendo, oppure mi stanno osservando.”
Queste note, frammenti non ordinati, costituiscono una dimensione parallela ai romanzi: non raccontano i fatti, ma l’inquietudine. Non chiariscono i casi, ma lasciano filtrare le crepe dell’uomo dietro l’ispettore.
Per ora restano inedite, come una corrente sotterranea che attraversa la saga. Ma forse, un giorno, emergeranno alla luce. Con le loro macchie, le contraddizioni, e il peso dell’oscurità.
Siamo felici di annunciare la pubblicazione dell’intervista completa su CLEOPATRA, a cura di Alessio Valsecchi, che ha avuto la sensibilità e la profondità per esplorare a fondo il mondo narrativo dell’Archivio Blackwood.
Un dialogo intenso che tocca ogni aspetto della scrittura: dall’ispirazione ai personaggi, dai simboli occulti alla Londra del 1888, fino alle strategie editoriali e alle sfide del self publishing.
Ringraziamo Alessio per l’attenzione, la professionalità e l’empatia dimostrata durante l’intervista, e invitiamo tutti i lettori ad immergersi nel testo integrale qui:
👁 Se vi appassionano i misteri, le atmosfere gotiche, i conflitti interiori e le città che respirano come personaggi… troverete pane per i vostri incubi.
📖 Le Ombre di Whitechapel, Il Vangelo delle Ombre e l’imminente Il Carnefice del Silenzio vi aspettano tra le pagine dell’Archivio Blackwood.
Qui riporto l’intervista:
Alessio Valsecchi intervista Claudio Bertolotti
Claudio Bertolotti è nato a Erba nel 1983. Dopo aver intrapreso gli studi di Giurisprudenza, ha intrapreso la carriera imprenditoriale, coltivando una profonda passione per la storia romana e per l’universo narrativo di Sherlock Holmes.
Il suo interesse per il mistero, l’occulto e l’epoca vittoriana lo ha portato prima a scrivere “ Le Ombre di Whitechapel” – un racconto dove si intrecciano mitologia oscura, detective story e atmosfere da incubo – e poi il successivo e recente “Il vangelo delle ombre”.
[CLEOPATRA]: Ciao Claudio, benvenuto sulle pagine di CLEOPATRA. I nostri lettori amano esplorare i segreti della scrittura e delle storie che mescolano mistero, introspezione e stile. I tuoi romanzi gotici ambientati nella Londra del 1888 affascinano e potrebbero affascinare molti. Oggi vogliamo scavare con te tra le pieghe della narrativa, dei personaggi, delle strategie editoriali e della passione che ti guida.
Partiamo dalle origini. Quando hai capito che scrivere non sarebbe stata solo una passione marginale ma qualcosa da vivere a fondo e condividere con il pubblico?
[Claudio Bertolotti]: Scrivere è sempre stato parte di me, ma per lungo tempo l’ho vissuta come un’attività privata, quasi segreta.
Ho capito che era qualcosa da vivere a fondo nel momento in cui le storie hanno cominciato a cercarmi anche fuori dalla pagina. Quando i personaggi restavano con me dopo aver spento il PC, quando sentiva il bisogno non solo di creare, ma di condividere. È stato allora che ho capito che non bastava più scrivere: dovevo far esistere quei mondi anche per gli altri.
[CLEOPATRA]: Il tuo amore per il giallo, il thriller e l’horror gotico emerge in modo vivido nei tuoi romanzi. Cosa ti affascina di più di questi generi? E cosa credi che offrano in più rispetto ad altri?
[CB]: Mi affascina la loro capacità di far luce nell’oscurità, senza però offrire soluzioni comode. Il giallo pone domande. Il thriller accelera il battito. Ma è il gotico a restare sotto pelle. Questi generi permettono di esplorare i confini tra razionalità e ignoto, tra giustizia e ossessione, tra fede e follia. Offrono qualcosa che altri generi non sempre osano: la possibilità di guardare in faccia l’abisso e di chiedersi, senza filtri, cosa ci sia davvero dall’altra parte.
[CLEOPATRA]: Nel tuo primo romanzo, “Le Ombre di Whitechapel – Il segreto del sangue immortale” , ci porti in una Londra misteriosa dove la logica si sgretola di fronte all’ignoto. Se dovessi scegliere un solo elemento che rende quel libro imprescindibile, quale sarebbe e perché?
[CB]: L’elemento imprescindibile è la sovrapposizione tra razionale e irrazionale. “Le Ombre di Whitechapel” non è solo un’indagine, è un crollo di certezze. Il lettore entra pensando di trovare un classico mistero vittoriano, e si ritrova a confrontarsi con qualcosa che sfugge al controllo della mente: un culto, una sete antica, una verità che non può essere spiegata con la logica. Quello scontro tra scienza e superstizione, tra Holmes e il sovrannaturale, è il cuore pulsante del romanzo. È lì che il mondo comincia a cambiare — per lui e per chi legge.
[CLEOPATRA]: In una precedente intervista su RecensioneLibro.it hai detto che il tuo libro è “una discesa nelle pieghe oscure della Londra vittoriana” e che l’indagine affronta il maschio “visibile e invisibile”. potresti approfondire questo concetto? Come hai costruito questo doppio livello di lettura?
[CB]: Ho voluto costruire un’indagine che si muovesse su due piani: quello dell’apparenza e quello del sottosuolo. Il maschio visibile è ciò che accade: un delitto, una traccia, un volto sospetto. Ma il maschio invisibile è ciò che si insinua: i silenzi, i simboli dimenticati, gli sguardi che evitano la verità. Londra, in questo senso, è perfetta: ha due volti. Quello in superficie è quello che vive nei vicoli, nei sotterranei, nei culti dimenticati.
La costruzione del romanzo segue lo stesso principio. Mentre il lettore segue l’indagine, sotto la trama si accumulano indizi che parlano di un orrore più antico, più profondo. È lì che nasce il doppio livello: uno razionale, l’altro rituale. E Blackwood è costretto a muoversi tra entrambi, senza sapere da quale parte verrà colpita.
[CLEOPATRA]: Nel secondo volume della serie, “Il Vangelo delle Ombre” , l’elemento religioso e quello psicologico sembrano intrecciarsi profondamente. Quanto è centrale il rapporto tra fede e razionalità nel romanzo?
[CB]: È un tema centrale. Ne “Il Vangelo delle Ombre”, fede e razionalità non sono in opposizione: sono in tensione continua. Blackwood è un uomo razionale, ma se trovato immerso in una realtà dove la fede, o meglio la sua distorsione, diventa strumento di potere e manipolazione. Il romanzo esplora proprio questo: cosa succede quando la fede smette di essere conforto e diventa controllo?
E cosa succede quando la razionalità non basta più a spiegare ciò che accade? Ho voluto che il lettore, insieme a Blackwood, si trovasse a camminare su quella linea sottile, dove i dogmi vacillano e il dubbio diventa l’unico rifugio possibile.
[CLEOPATRA]: Nel libro compaiono simboli arcaici, sogni disturbanti e “presenze invisibili”. Si tratta solo di suggestioni narrative o c’è anche un intento simbolico o filosofico più profondo?
[CB]: Non sono solo suggerimenti. Ogni simbolo, ogni sogno, ogni “presenza” ha una funzione narrativa, ma anche simbolica. Il vero terrore, per me, non nasce da ciò che si vede, ma da ciò che si intuisce. E tutti questi elementi — i segni arcaici, le allucinazioni, le apparizioni — sono riflessi di qualcosa che Blackwood (e il lettore) porta già dentro.
Sono manifestazioni dell’inconscio, certo, ma anche portali verso una verità più antica, più scomoda. Nel mio mondo narrativo, l’orrore non è mai gratuito: è sempre una forma di rivelazione. E chi osa affrontarlo, deve farlo sapendo che potrebbe non tornare più lo stesso.
[CLEOPATRA]: Uno dei personaggi chiave del romanzo è un sacerdote tormentato dal proprio passato. Che funzione svolge nel racconto? È una figura di redenzione o piuttosto un’eco del peccato che perseguita tutti i protagonisti?
[CB]: Padre Marcus Quinn è entrambe le cose. È una figura che porta con sé il peso della colpa, ma anche la volontà di riscattarsi attraverso l’azione. Non è un “buono” in senso tradizionale: è lacerato, imperfetto, profondamente umano.
La sua funzione narrativa è duplice: da un lato rappresenta la possibilità di redenzione, dall’altro è lo specchio di un passato che nessuno dei protagonisti può davvero lasciarsi alle spalle. La sua fede è autentica, ma ferita. E proprio per questo diventa un baluardo fragile ma essenziale contro l’oscurità. In un mondo dove il male agisce attraverso il silenzio, Quinn è l’unico che tenta — anche a costo di fallire — di alzare la voce.
[CLEOPATRA]: Nel tuo secondo romanzo Londra diventa quasi un personaggio essa stessa, con i suoi sotterranei ei suoi segreti. Come hai lavorato sull’ambientazione per darle una voce narrativa autonoma e inquietante?
[CB]: Londra, per me, non è solo lo sfondo: è un organismo vivente. Ha memoria, ombre, respiri. Nei miei romanzi cerco di mostrarla nei suoi strati più profondi: quelli che non si vedono sulle mappe, ma si sentono sotto i piedi. I vicoli, i sotterranei, le cripte e le case diroccate sono spazi che parlano — o meglio, sussurrano.
Ho lavorato sull’ambientazione come se fosse un personaggio muto ma presente: una città che osserva, che assorbe il dolore, che protegge e insieme condanna. La nebbia sporca, densa, quasi viscosa, è parte integrante di ogni mio romanzo. Oltre ad essere storicamente dimostrata dai testi dell’epoca. Ogni luogo in cui si muove Blackwood è una prova, un enigma. E spesso è la città stessa a decidere chi può tornare indietro.
[CLEOPATRA]: Restando in tema: ambientare la saga a Whitechapel nel 1888 non può non evocare Jack lo Squartatore. Dobbiamo aspettarci che prima o poi faccia la sua comparsa nel tuo universo narrativo? O è una figura che preferisci lasciare sullo sfondo del mito?
[CB]: Jack lo Squartatore è un’ombra che incombe su tutto il mio universo narrativo, ma proprio per questo va trattato con rispetto. È più mito che persona, più simbolo che assassino. Non escludo che possa apparire, ma se lo farà non sarà mai un semplice “personaggio”: sarà una presenza, un riflesso, un enigma irrisolto che sfida anche l’Archivio Blackwood.
Per ora preferisco lasciarlo lì, al confine tra cronaca e incubo, dove la sua figura alimenta l’atmosfera senza bisogno di essere esplicitata. Anche perché, come soggetto, è stato ampiamente abusato, nella narrativa. Ma come ogni ombra… potrebbe tornare, quando meno ce lo aspettiamo.
[CLEOPATRA]: Parliamo del tuo protagonista, l’ispettore Edgar Blackwood. Non è un classico eroe, ma un uomo ferito, lucido e inquieto. Come l’hai costruito e quanto c’è di te in lui?
[CB]: Blackwood è nato da una frattura. Volevo un protagonista che non fosse un eroe, ma un uomo consapevole della propria debolezza. È lucido, ossessivo, analitico — ma porta dentro una solitudine che non riesce a colmare, un passato che non ha mai davvero affrontato.
C’è molto di me in lui. Sono una persona razionale, spesso guidata dal bisogno di accogliere e controllare ciò che mi circonda. Ma, come Blackwood, ho i miei demoni interiori. Quelle inquietudini che non si possono spiegare del tutto, ma che ti spingono a scavare, a indagare, a non fermarti mai alla superficie. Blackwood è questo: una mente brillante, costretta ogni giorno a fare i conti con ciò che non può comprendere fino in fondo. E forse, proprio per questo, continua a cercare.
[CLEOPATRA]: Sul piano della promozione online, ti muovi con attenzione e creatività: sito personale, Instagram, immagini evocative. Quali sono le strategie che ti hanno dato maggiori risultati? Hai dei consigli per altri autori emergenti?
[CB]: Nel tempo ho capito che la promozione online non può essere improvvisata: deve essere coerente con la voce del libro e con l’identità dell’autore. Per me è fondamentale creare un immaginario che accompagni il lettore anche fuori dalla pagina: un sito curato, immagini evocative, post che trasmettono atmosfera prima ancora della trama. Tra tutti, Facebook e Instagram si sono rivelati i canali più efficaci, perché permettono un dialogo diretto, costante, umano.
La pubblicità su Amazon, purtroppo, non sempre valorizza adeguatamente i libri di nicchia o indipendenti: è utile, ma va maneggiata con cautela, senza aspettative esagerate. Non utilizzo personalmente TikTok, quindi non posso esprimermi in merito, ma credo che ogni autore debba scegliere la piattaforma che rispecchia meglio il proprio stile e il proprio pubblico.
Il consiglio che darei? Non puntare alla visibilità immediata, ma alla coerenza nel tempo. La fiducia dei lettori si costruisce con presenza, onestà, qualità e pazienza.
[CLEOPATRA]: E nel mondo “offline”? Partecipi a fiere, firmacopie o eventi dal vivo? Cosa pensi del contatto diretto con i lettori oggi, in un’epoca sempre più digitale?
[CB]: Ad oggi non ho ancora partecipato attivamente ad eventi dal vivo come autore, anche se ovviamente ho frequentato realtà importanti come il Salone del Libro, dove il confronto con lettori e professionisti è sempre stimolante. Mi piacerebbe molto iniziare a farlo: presentazioni, firmacopie, letture ad alta voce — credo siano esperienze preziose non solo per promuovere un libro, ma per viverlo insieme a chi lo ha letto o lo scopre in quel momento.
In un’epoca sempre più digitale, il contatto diretto con il lettore è qualcosa che acquista ancora più valore. Guardarsi negli occhi, parlare di ciò che ha colpito, emozionato o inquietato: è una parte della scrittura che merita spazio. E che spero presto di esplorare di persona.
[CLEOPATRA]: Sui tuoi social utilizzi spesso immagini create con l’intelligenza artificiale che evocano scene e atmosfere dei tuoi romanzi. Come sei arrivato a questa scelta? Hai mai collaborato anche con un illustratore o grafico tradizionale?
[CB]: Al momento non collaboro con illustratori o grafici tradizionali, anche se mi piacerebbe farlo molto in futuro. Per ora mi affido all’intelligenza artificiale, soprattutto per la creazione di immagini evocative legate ai miei romanzi. È uno strumento affascinante, che permette di dare forma a suggestioni visive coerenti con il tono gotico e simbolico dell’Archivio Blackwood.
Tuttavia, ha anche i suoi limiti: la creazione delle copertine, ad esempio, è spesso complessa e richiede molta pazienza. A volte servono giorni interi e decine di tentativi per ottenere un risultato che sia davvero all’altezza del progetto narrativo. Nonostante questo, credo sia una risorsa utile per costruire un immaginario coerente e immersivo, soprattutto per chi — come me — desidera curare ogni dettaglio visivo in prima persona.
[CLEOPATRA]: Hai scelto il self publishing per pubblicare la saga. Quali sono le sfide maggiori di questa strada e quali le soddisfazioni più grandi? Cosa consiglieri a chi sta pensando di intraprenderla?
[CB]: Il self-publishing è una strada affascinante, ma anche molto impegnativa. La sfida principale è l’isolamento decisionale: sei tu a dover curare ogni dettaglio, dalla correzione del testo alla promozione, dall’impaginazione alla grafica. Ma dall’altro lato, è proprio questo controllo totale che rappresenta la soddisfazione più grande: ogni parola, ogni immagine, ogni scelta estetica rispecchia esattamente la tua visione.
Purtroppo, come tanti, mi sono scontrato con un mondo saturo di libri e spesso opaco sul fronte editoriale: agenzie che chiedono cifre considerevoli senza alcuna garanzia di pubblicazione, o editori — per fortuna pochi — che propongono contratti in cui è l’autore a dover versare una quota per realizzare il proprio libro. Per questo ho scelto l’autopubblicazione: per avere libertà, dignità e trasparenza.
A chi sta pensando di intraprendere questa strada, consiglio due cose: studiare a fondo ogni aspetto tecnico (formati, impaginazione, diritti, distribuzione) e mantenere alta la qualità in ogni fase. Il lettore merita sempre il meglio, indipendentemente da chi pubblichi il libro.
[CLEOPATRA]: Cosa puoi anticiparci dei tuoi progetti futuri? Il terzo capitolo della saga, “Il Carnefice del Silenzio”, promette scenari monastici e rituali dimenticati: a che punto sei con la stesura? E ci saranno altre sorprese per i tuoi lettori?
[CB]: Attualmente sono al completamento del quarto capitolo su una struttura prevista di circa 22–23 capitoli de “Il Carnefice del Silenzio”. Sarà un romanzo più lungo, più profondo, più ragionato e, credo, anche più maturo rispetto ai precedenti. Un racconto che indaga il silenzio come forza oscura e rituale, ma senza mai perdere di vista l’umanità dei personaggi.
Nel frattempo, sto lavorando all’uscita dell’edizione speciale rigida “L’Archivio Blackwood – Volume I: Le Origini”, che raccoglie i primi due romanzi (“Le Ombre di Whitechapel” e “Il Vangelo delle Ombre”) con contenuti extra esclusivi: immagini, appendici inedite, lettere, mappe, simboli e frammenti d’archivio nuovi. Fa parte della serie “I dossier dell’Archivio Blackwood”, un progetto pensato per i lettori più affezionati, che vogliono immergersi ancora più a fondo nel mondo narrativo della saga.
E naturalmente… ho già in mente almeno altri due volumi per il futuro. L’Archivio è grande, ei suoi segreti non sono ancora finiti.
[CLEOPATRA]: Per chi volesse contattarti, seguirti o magari collaborare con te, quali sono i canali migliori?
[CB]: Sono sempre felice di entrare in contatto con chi legge, scrive o desidera collaborare. I canali migliori per seguirmi sono:
⦁ Instagram: @archivio_blackwood – dove pubblico immagini evocative, anticipazioni e contenuti esclusivi.
⦁ Il mio sito ufficiale: www.claudiobertolotti83.net – lì si trovano articoli, aggiornamenti e tutte le informazioni sulla saga.
⦁ Email diretta: autore.claudiobertolotti@gmail.com – per chi desidera propormi un progetto, un’intervista o semplicemente scambiare qualche parola sul mondo dell’Archivio.
Cerco sempre di rispondere con attenzione e cura. L’incontro con i lettori è una delle parti più vere e preziose di questo percorso.
[CLEOPATRA]: Infine, Claudio, hai la possibilità di rivolgerti direttamente ai nostri lettori. Perché dovrebbero immergersi oggi nelle ombre di Whitechapel e dell’Archivio Blackwood?
[CB]: Perché Archivio Blackwood non è solo una saga gotica ambientata nell’Ottocento. È un viaggio nei lati nascosti dell’animo umano, tra colpe che non passano e silenzi che parlano più delle parole. Chi sceglie di immergersi in queste pagine, sceglie di camminare accanto a personaggi imperfetti, tormentati da demoni interiori, ma ancora capaci di lottare contro l’oscurità — dentro e fuori di sé.
E se è vero che ogni epoca ha i suoi fantasmi, credo che i nostri non siano poi così diversi da quelli che infestano le strade di Whitechapel. Per questo, forse, oggi più che mai… vale la pena ascoltarli.
[CLEOPATRA]: Grazie Claudio per essere stato con noi. Ai nostri lettori diciamo questo: se amate le atmosfere cupe, le indagini che sfidano la logica ei personaggi tormentati che cercano la luce nel buio, non potete perdervi i romanzi di Claudio Bertolotti. L’Archivio Blackwood vi aspetta… e non sarà un viaggio da cui tornerai uguali.
Un personaggio ben costruito è il cuore pulsante di ogni storia avvincente. Che si tratti di un eroe tormentato o di un antagonista carismatico, la loro profondità e coerenza determinano il coinvolgimento del lettore. In questo articolo, esploreremo i passaggi fondamentali per creare personaggi tridimensionali e credibili.
1. Definisci l’Identità del Personaggio
Inizia delineando le caratteristiche base:
Nome e Cognome: Scegli nomi che rispecchino l’epoca e il contesto culturale della tua storia.
Età, Sesso, Origini: Questi elementi influenzano il comportamento e le prospettive del personaggio.
Occupazione e Status Sociale: Determinano le sue interazioni e motivazioni.
Creare una scheda dettagliata aiuta a mantenere coerenza durante la narrazione
2. Costruisci una Backstory Solida
Ogni personaggio ha un passato che ne plasma il presente. Considera:
Eventi Chiave dell’Infanzia: Traumi o successi che influenzano le sue decisioni attuali.
Relazioni Passate: Amicizie, amori o rivalità che hanno lasciato il segno.
Obiettivi e Paure: Cosa desidera ardentemente? Cosa teme di più?
Una backstory ben pensata aggiunge profondità e rende il personaggio più autentico .
3. Identifica il Conflitto Interiore
Il conflitto interno è ciò che rende un personaggio umano e interessante. Può trattarsi di un dilemma morale, di una paura nascosta o di una contraddizione tra desideri e doveri. Questo conflitto guida le sue azioni e decisioni, creando tensione narrativa .
4. Delinea l’Arco di Trasformazione
I personaggi memorabili evolvono nel corso della storia. Pianifica come il tuo personaggio cambierà:
Inizio: Chi è all’inizio della storia?
Sviluppo: Quali eventi lo metteranno alla prova?
Conclusione: Come sarà cambiato alla fine?
Un arco di trasformazione ben strutturato rende la narrazione più coinvolgente .
5. Utilizza il Principio “Show, Don’t Tell”
Invece di descrivere direttamente le caratteristiche del personaggio, mostra le sue qualità attraverso azioni, dialoghi e reazioni. Ad esempio, invece di dire “era coraggioso”, mostra una scena in cui affronta una paura per salvare qualcuno .
6. Evita gli Stereotipi
Sebbene gli archetipi possano essere utili come base, è importante aggiungere unicità ai tuoi personaggi. Evita cliché e cerca di sorprendere il lettore con trattiinaspettati o contraddittori che rendano il personaggio più realistico .
7. Interazioni e Relazioni
I personaggi si definiscono anche attraverso le loro relazioni con gli altri. Analizza come interagiscono con amici, nemici e figure di autorità. Queste dinamiche rivelano aspetti nascosti della loro personalità e possono servire a far avanzare la trama .
In fine
La creazione di personaggi complessi e credibili richiede tempo e riflessione. Investire nella loro progettazione arricchirà la tua narrazione e coinvolgerà maggiormente i lettori. Ricorda: un personaggio ben costruito può trasformare una buona storia in un capolavoro indimenticabile.
Se desideri approfondire ulteriormente la costruzione dei personaggi, ti consiglio di esplorare risorse come “L’arco di trasformazione del personaggio” di Dara Marks, che offre una guida dettagliata su questo argomento.
Ogni storia coinvolgente ha una struttura invisibile che la sorregge: la scaletta. Molti autori iniziano con entusiasmo a scrivere il primo capitolo, per poi perdersi tra personaggi, sottotrame e colpi di scena non pianificati. È proprio qui che entra in gioco una buona scaletta strutturata, capace di trasformare un’idea in un romanzo coerente, avvincente e ben costruito.
Perché la scaletta è fondamentale
Una buona scaletta:
Ti evita blocchi narrativi e contraddizioni
Ti permette di bilanciare i tempi narrativi tra azione, mistero, introspezione e svolte
Ti aiuta a gestire sottotrame e intrecci complessi
Mantiene la coerenza tonale e stilistica dalla prima all’ultima pagina
Come si struttura una buona scaletta
1. Definisci l’ossatura generale
Ogni storia ha un inizio, uno sviluppo e una fine, ma per funzionare deve contenere:
Un incipit atmosferico (ambientazione, tono, presagi)
Uno o più eventi scatenanti
Una serie di complicazioni crescenti
Un climax
Una risoluzione (anche parziale, se la saga continua)
2. Organizza i capitoli
Un romanzo ben strutturato alterna momenti lenti e riflessivi a scene forti, rivelazioni, conflitti. Ogni capitolo dovrebbe contenere:
Una scena di apertura immersiva
Uno sviluppo con nuovi elementi (indizi, incontri, ostacoli)
Una chiusura che invogli a proseguire
Interludi: piccole pause cariche di significato
Gli interludi sono strumenti preziosi per:
Cambiare punto di vista (es. diario, documento, flashback)
Mostrare eventi paralleli al protagonista
Dare respiro alla narrazione senza spezzarla
Ben usati, rafforzano l’atmosfera e arricchiscono la trama con dettagli altrimenti inaccessibili.
Struttura delle scene: il dettaglio che fa la differenza
Ogni scena è un piccolo ingranaggio e va costruita con attenzione:
Luogo e tempo ben definiti
Obiettivo narrativo chiaro (cosa deve cambiare o rivelarsi)
Dialoghi funzionali ma naturali
Tensione e immagini evocative
La scaletta è viva: non è una gabbia, ma una mappa
Una scaletta non è rigida: può (e deve) evolversi durante la scrittura. Ma averla significa sapere sempre dove si sta andando, anche quando si decide di deviare per una nuova ispirazione.
Scrivere senza scaletta può sembrare più libero… ma spesso porta solo a tornare indietro, tagliare pagine intere o perdere il filo. Con una buona scaletta strutturata, ogni scena avrà un senso, ogni svolta sarà costruita, e il lettore si sentirà dentro un viaggio vero – e non in un labirinto senza uscita.
Vuoi vedere un esempio pratico? Nel progetto Il Carnefice del Silenzio, ogni capitolo è costruito su una base narrativa predefinita: 6–8 scene con apertura atmosferica, sviluppo, sottotracce, climax e svolta. Una struttura che aiuta a far convivere indagine, sovrannaturale e tensione.
Ogni storia gotica ha i suoi non detti. Il Vangelo delle Ombre non fa eccezione.
Tra simboli che ritornano, preti che non sono ciò che sembrano, si estende una mappainvisibile tracciata non su carta, ma nelle crepe della psiche e negli spazi vuoti tra le scene. Non parlo di mappe geografiche, ma di percorsi oscuri che Blackwood attraversa senza rendersene conto fino all’ultimo capitolo. Percorsi che, una volta riletti, lasciano presagire che nulla era casuale.
Ecco alcune coordinate simboliche che, se connesse tra loro, disegnano il possibile disegno del Viaggiatore.
1. Kensington: la falsa quiete
Il cuore dell’alta borghesia vittoriana, la facciata perfetta che nasconde l’Innominabile. Qui, le prime crepe nella realtà. La casa dei Fairweather è più di una semplice dimora: è un varco. Chi varca quella soglia entra in contatto con una realtà già contaminata.
2. St. Bartholomew: sangue e candele
La chiesa che avrebbe dovuto proteggere è diventata testimone di un rituale abortito. Il sangue sacro versato non è stato un errore. Era necessario. Forse la liturgia incompiuta attende ancora un completamento.
3. La Canonica e il Diario
Le riflessioni di Padre Quinn (conservate in appendice al Diario di Blackwood) fanno luce su connessioni mai del tutto chiarite. La fede, la colpa e il dubbio si intrecciano come sentieri su una mappa tracciata con lacrime e cenere.
4. Il simbolo del Viaggiatore
Quante volte compare, in forme diverse? Sulle pareti, negli occhi dei posseduti, persino nei sogni. Un cartiglio inciso nel subconscio del lettore stesso. È davvero solo un simbolo?
Una mappa fatta d’ombre
Questa mappa non ha nord, né bussola. È un sistema circolare. Chi la segue non arriva mai a destinazione, ma si perde in se stesso. E forse è questo che voleva il Viaggiatore: farci dubitare della realtà, del tempo lineare, della coerenza degli eventi.
Nel Vangelo delle Ombre, non tutto si chiude. Ma ogni vuoto ha una voce, e ogni ombra proietta un disegno.
Forse non abbiamo ancora visto tutto. Forse certi segreti attendono solo di essere osservati da un angolo diverso, da una luce più tremolante. O forse, come ogni vera mappa occulta, anche questa brucia se la si guarda troppo a lungo.
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