Il Club dei Suicidi di Soho

Tra leggenda e cronaca nera nella Londra ottocentesca

Nel cuore pulsante e decadente della Londra vittoriana, tra i vicoli illuminati da lampioni a gas e i locali fumosi di Soho, si racconta di un luogo proibito: il Club dei Suicidi.

Non era un circolo letterario, né un ritrovo per libertini. Chi vi entrava sapeva che prima o poi sarebbe morto… e che non sarebbe stato lui a scegliere quando.

Le prime menzioni compaiono negli articoli di giornale tra il 1872 e il 1874: poche righe, spesso relegate alle pagine di cronaca, che parlavano di “giovani gentiluomini trovati morti dopo cene riservate” o di “un gioco d’azzardo con conseguenze definitive”.

Il presunto rituale era tanto semplice quanto spietato: ogni membro versava una quota in un fondo comune. A turno, una sera a settimana, si estraeva una carta nera. Chi la pescava aveva sette giorni di tempo per “onorare il patto”. Se non lo faceva, un “delegato del club” si occupava di lui. Nessuno usciva mai dal contratto.

Molti storici liquidano la storia come leggenda urbana, un racconto amplificato dai giornalisti per vendere copie. Ma alcuni dettagli inquietanti restano:

Due suicidi documentati in Greek Street avvenuti a distanza di giorni l’uno dall’altro, entrambi membri di una stessa società privata.

Un investigatore di Bow Street che dichiarò, in un rapporto interno mai pubblicato, di aver trovato in una soffitta di Soho un tavolo rotondo con 13 sedie, una delle quali recava ancora macchie di sangue secco.

Una lista di nomi, oggi dispersa, che secondo le voci sarebbe stata nascosta negli archivi della polizia fino alla metà del ‘900.

Non sapremo mai se il Club dei Suicidi sia stato reale o frutto della fantasia morbosa dell’epoca. Ma ancora oggi, passeggiando di notte per Soho, alcuni giurano di aver intravisto, dietro le tende socchiuse di un piano superiore, un brindisi silenzioso con tredici calici.

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Le ombre di Whitechapel – Cosa si nasconde nei muri che trasudano sangue

Londra, novembre 1888 – cronache da chi cammina con i morti.

Il vento, qui, non soffia. Striscia.
Come se non avesse il coraggio di alzare la voce tra questi muri che ricordano troppo.

Stamattina ho camminato da Limehouse fino a Whitechapel. Ci ho messo quasi un’ora, ma non ho mai alzato lo sguardo. Le finestre erano troppe. Troppe quelle con le tende chiuse, troppe quelle con le tende che non si muovono mai.
C’è odore di marcio in questo quartiere. Un odore denso, come di carne frollata e carbone bagnato. Un odore che non si leva nemmeno cambiando strada.

Mi sono fermato sotto il vicolo di Hanbury Street.
Lì il tempo è fermo. Un bambino lanciava sassi contro un muro, e ogni sasso lasciava una piccola impronta nera, come sangue rappreso.
I muri di Whitechapel sono porosi, assorbono il dolore. Alcuni dicono che respirino, altri che piangano. Io li ho visti
piangere.

Un’altra donna scomparsa, Ispettore. E questa volta ha lasciato un messaggio… inciso nella carne.”

Così mi ha detto uno degli agenti, ieri sera. Ma qui, le urla si sono abituate al silenzio.

Mi chiedo quante altre vittime abbia fatto qualcuno prima di Jack. Perché sento, nelle ossa, che questo non è cominciato con lui.
No, Whitechapel è una ferita vecchia. E Jack lo Squartatore è solo l’ultima lama che vi è stata infilata dentro.

Camminando, ho notato simboli tracciati col gesso, strani segni fatti a spirale, spesso sotto archi o nei punti dove le luci non arrivano. Alcuni sembrano recenti.
Una vecchia cinese mi ha sputato accanto e ha detto solo: “Tu non cercare l’uomo. Cercare ciò che lo guida.”

Torno verso Limehouse col cuore pesante. Ma anche con una certezza: qui qualcosa sta covando sotto terra, e prima o poi tornerà a galla.

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Lo Spiritismo nella Londra dell’Ottocento: tra sedute oscure e la fede di Conan Doyle

Nel cuore della Londra vittoriana, tra nebbie industriali e lampioni a gas, una nuova febbre si diffuse tra aristocratici, borghesi e intellettuali: lo spiritismo. In un’epoca segnata da guerre, epidemie e altissima mortalità infantile, l’ossessione per l’Oltretomba divenne un fenomeno sociale e culturale.

Tavole Ouija, medium e illusioni

Nato negli Stati Uniti negli anni ’40 dell’Ottocento con le sorelle Fox, lo spiritismo approdò in Inghilterra entro il 1852, prendendo piede rapidamente nella capitale. Le “sedute” si tenevano in case borghesi e salotti privati, dove le tavole Ouija, i bicchieri che si muovevano, i colpi sui muri e le luci danzanti offrivano l’illusione di un contatto con i defunti.

Madame d’Esperance, Daniel Dunglas Home, Florence Cook e molti altri medium divennero vere celebrità. Alcuni erano abili illusionisti; altri, sinceramente convinti di essere canali tra i due mondi. Le riviste dell’epoca come The Spiritualist e Light pubblicavano resoconti dettagliati delle manifestazioni spiritiche, spesso con disegni inquietanti e testimonianze oculari.

Lo spiritismo non fu solo una moda. Fu anche un modo per affrontare il dolore e la perdita, in un’epoca in cui la morte era onnipresente ma il lutto ancora privo di risposte.

L’uomo razionale che parlava coi morti

Tra i più celebri sostenitori dello spiritismo si annovera Sir Arthur Conan Doyle, il creatore del razionalissimo Sherlock Holmes. Sembrerebbe un controsenso: l’uomo che incarnò la logica assoluta, nella vita reale parlava con i morti.

Doyle si avvicinò allo spiritismo attorno al 1887, ma fu dopo la tragica morte del figlio Kingsley nella Prima Guerra Mondiale che abbracciò con fervore questa dottrina. Partecipò a decine di sedute spiritiche, scrisse The New Revelation (1918) e The Vital Message (1919), opere in cui sosteneva apertamente la realtà del contatto con l’aldilà.

Nel 1920 intraprese un vero e proprio tour internazionale per promuovere il movimento. Difese la veridicità delle fotografie delle fate di Cottingley e si inimicò il celebre illusionista Harry Houdini, che cercava invece di smascherare ogni truffa spiritica.

Una Londra intrisa di fantasmi e speranza

Lo spiritismo nella Londra vittoriana non fu solo un rifugio per i sofferenti. Fu anche un crocevia di illusionismo, religione, scienza nascente e letteratura. Sulla sua scia si formarono società come la Society for Psychical Research (1882), che cercavano un approccio scientifico ai fenomeni paranormali.

L’immaginario gotico della capitale ne uscì potenziato: dai vicoli di Whitechapel alle cripte di Highgate, il confine tra vita e morte non era mai stato così sottile. E in mezzo a tutto questo, anche lo sguardo gelido e razionale di Holmes sembrava doversi piegare, per un momento, all’invisibile.

Molti di questi temi ispirano ancora oggi la narrativa gotica contemporanea e, non a caso, tornano ciclicamente nei romanzi dell’Archivio Blackwood. Il fascino per l’ignoto, la morte e la sopravvivenza dell’anima restano interrogativi vivi, capaci di unire epoche, lettori e scrittori.


Fonti storiche:

  • Owen, A. (2004). The Darkened Room: Women, Power, and Spiritualism in Late Victorian England. University of Chicago Press.
  • Doyle, A. C. (1918). The New Revelation.
  • Noakes, R. (1999). “Telegraphy is an Occult Art: Cromwell Fleetwood Varley and the Diffusion of Electricity to the Other World”. The British Journal for the History of Science, 32(4).
  • Barrow, L. (1986). Independent Spirits: Spiritualism and English Plebeians, 1850-1910.

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Sulle tombe di pietra, con la nebbia alle calcagna

Highgate Cemetery, Londra – inverno 1888

Mi trovavo a Highgate prima che sorgesse il sole.
Non so bene perché ci fossi andato. Un impulso.
Un nome trovato su un vecchio foglio macchiato d’inchiostro, forse. Una promessa sussurrata da qualcuno che non ricordo.

Le prime luci dell’alba non riuscivano a penetrare la cortina spessa della nebbia. Ogni passo produceva un suono ovattato contro il muschio bagnato. Il cancello cigolava alle mie spalle, come a chiudermi dentro qualcosa di più antico del tempo stesso.

Lì dentro, la morte non riposava.
Ti osservava.

Le statue erano consumate, alcune prive di volto. Altre sembravano averne uno nuovo, scolpito dal tempo. Le lapidi oblique, ricoperte di licheni, portavano nomi cancellati dall’umidità. Nessuno veniva a piangere quelle tombe. Nessuno… tranne forse me.

Percorsi il viale principale, lasciandomi guidare da un sentiero che sembrava volermi condurre da qualche parte.
C’erano impronte. Non le mie. Troppo piccole. Troppo leggere.
Seguirle fu istintivo. E sbagliato.

Arrivai a una cripta.
Le porte in ferro erano aperte.
All’interno, il freddo era diverso. Vivo.
C’erano fiori secchi, candele consumate, e… un nome inciso nel marmo, identico a quello che avevo visto sul foglio la sera prima.
Non era possibile.

Poi udii un sussurro.
Non proveniva dall’esterno. Nemmeno dall’interno.
Proveniva da sotto.

Fuggii.
O almeno credo. Il ricordo di quel momento è rotto, come vetro.
So solo che, quando mi voltai, la cripta non c’era più.
Solo una lapide annerita dal tempo.

Oggi, ogni volta che passo da Highgate, evito quel sentiero.
Ma a volte, giuro…
Vedo le stesse impronte nella ghiaia.

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Giochi e simboli infantili come portali maledetti

L’infanzia nell’universo gotico dell’Archivio Blackwood

C’è qualcosa di profondamente inquietante nei giochi dei bambini. Una corda che gira e gira nel cortile, una ninna nanna ripetuta a bassa voce, un disegno grezzo inciso nel fango. Sono gesti semplici, antichi, ma quando li si osserva nel contesto giusto — o sbagliato — diventano tutt’altro: rituali in miniatura, portali verso ciò che abbiamo dimenticato di temere.

Nel mondo di Edgar Blackwood, i bambini non sono solo vittime o testimoni. Sono custodi inconsapevoli di antichi poteri, strumenti — o resistenze — del male. E i giochi che usano, le filastrocche che recitano, i simboli che tracciano, spesso non sono invenzioni innocenti, ma ripetizioni inconsapevoli di liturgie sepolte.

Il Cerchio, il Nodo, la Spirale

Molti racconti dell’Archivio Blackwood iniziano con qualcosa di piccolo: un disegno tracciato sul pavimento da una bambina muta (“Il Sussurro del Pozzo”), un nodo intrecciato con spago e capelli, o un cerchio segnato con la cenere da un gruppo di bambini di strada.

In ogni caso, si tratta di forme ricorrenti, archetipi potenti. Nel folklore europeo, il cerchio protegge — o imprigiona. Il nodo sigilla — o lega un’anima. La spirale conduce — ma non sempre si sa dove.

Il gioco dei bambini diventa un’evocazione inconsapevole. Forse imitano ciò che hanno visto. Forse ricordano ciò che è stato dimenticato. Ma la forma resta. E la forma, nel gotico, è significato.

Ninnenanne e Filastrocche

Alcune delle frasi più inquietanti dell’intera saga di Blackwood non sono dette da cultisti o assassini. Sono canticchiate da bambini. Frasi in latino, versi spezzati, richiami a “colei che abita sotto la soglia”.

Non è un’invenzione. In molte tradizioni popolari, le ninnenanne contengono minacce o invocazioni. Non per crudeltà, ma per memoria. Ricordare al bambino cosa c’è fuori. O cosa è già dentro.

Oggetti Maledetti, Simboli Per Dimenticare

Un carillon trovato sotto un letto. Un pupazzo con cuciture straniere. Un diario infantile scritto con grafia adulta.
In L’Archivio Blackwood – Volume II: I Racconti, questi oggetti non sono solo cornici narrative, ma veri e propri nodi della storia.

Il giocattolo non serve a giocare.
Serve a contenere.
Serve a proteggere.
Serve a sigillare.

Ma cosa succede quando un oggetto si rompe, viene gettato, o semplicemente dimenticato?

L’Infanzia come Soglia

Ciò che spaventa nei giochi e nei simboli infantili non è il loro contenuto, ma la loro sopravvivenza.
Come fanno a rimanere, identici, nei secoli? Perché certe cantilene non spariscono? Perché i bambini, ancora oggi, tracciano spirali nella polvere o ripetono i gesti delle mani che si intrecciano?

Forse non è solo memoria culturale.
Forse qualcuno li osserva, da dietro il velo.
E li guida.
E li ascolta.

Vuoi scoprirne di più?

Nel mondo dell’Ispettore Blackwood, i segreti più antichi non si leggono in un libro, ma si sussurrano in una strada secondaria, in una cantina dimenticata, in un gioco infantile che non dovresti ripetere.

Ti senti pronto a guardarci dentro?

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Perché scrivere una raccolta di racconti brevi gotici alla Poe

In un’epoca in cui l’attenzione è frammentata e i ritmi frenetici lasciano poco spazio alla contemplazione, i racconti brevi tornano ad avere una potenza narrativa straordinaria. Ma non si tratta solo di forma. Quando si sceglie lo stile gotico, e soprattutto si guarda a un maestro come Edgar Allan Poe, l’obiettivo diventa qualcosa di più profondo: sondare gli abissi dell’animo umano, tra follia, mistero e verità inconfessabili.

Scrivere una raccolta di racconti brevi gotici oggi è un atto di resistenza e memoria. È un modo per rendere omaggio a una tradizione letteraria oscura ma raffinata, fatta di simbolismi, ambientazioni claustrofobiche, case decadenti, orrori psicologici e presenze impalpabili. Ma è anche un laboratorio creativo: ogni racconto è un microcosmo, una lente deformante attraverso cui esplorare le mille sfaccettature dell’ignoto.

Lo stile alla Poe non si limita a narrare l’orrore. Lo seziona, lo rende razionale, lo osserva con lucidità clinica. La mente del protagonista spesso coincide con quella del lettore, trascinandolo in un vortice di dubbi e percezioni distorte. In questa forma breve, la tensione non si diluisce: si comprime, si concentra, esplode.

Scegliere la forma del racconto breve gotico, oggi, significa offrire al lettore un’esperienza intensa, densa, disturbante. È un invito a leggere con lentezza, ad ascoltare il silenzio fra le righe, a temere ciò che non viene detto. In ogni pagina, un’eco del passato. In ogni storia, un interrogativo che resta sospeso.

Ecco perché scriverne ancora. Perché il gotico non muore mai: cambia forma, ma continua a sussurrare dietro le porte chiuse della nostra coscienza.

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La Londra sotterranea: tra fognature, cripte e culti perduti

Dall’Archivio Blackwood – Documenti riservati

C’è una Londra che non figura sulle mappe. Una città parallela, oscura e umida, nascosta sotto i passi ignari dei suoi abitanti. Un intrico di corridoi, cripte dimenticate, passaggi murati e pozzi di silenzio: la Londra sotterranea.

Negli anni di servizio dell’ispettore Edgar Blackwood, numerose indagini lo hanno condotto sotto la città, in luoghi che non avrebbero dovuto esistere. Luoghi dove l’aria si fa spessa e il tempo sembra essersi fermato.

Fognature vittoriane: il ventre della città

Costruite in seguito alla grande epidemia di colera, le fognature di Londra sono un capolavoro d’ingegneria e orrore. Per molti, sono solo canali per il deflusso delle acque nere. Per Blackwood, sono state spesso teatri di fughe, inseguimenti… e rituali oscuri. I cultisti li chiamano “i canali del risveglio”. Alcuni tunnel presentano incisioni mai documentate nei registri civili. Altri conducono a stanze murate dove il puzzo di zolfo è più forte del tanfo del fango.

Cripte sotto le chiese, cimiteri sprofondati

Le cripte di Whitechapel, St. Giles e St. Dunstan sono i luoghi in cui Blackwood ha trovato alcuni dei manoscritti dell’Ordine delle Radici d’Ombra. Altri accessi conducono a ex-cimiteri profanati, sommersi da nuove costruzioni. In uno di questi, l’Ispettore rinvenne ossa umane disposte a spirale, intorno a una pietra recante iscrizioni non latine.

Passaggi segreti e luoghi che “non esistono”

Secondo il fascicolo 92A dell’Archivio, almeno dodici strutture pubbliche della Londra di fine Ottocento contenevano accessi segreti al sottosuolo: tra questi, un vecchio magazzino a Limehouse, una biblioteca dismessa a Kensington, e una stazione postale vicino a Fleet Street. Nessuno di questi accessi compare nei registri municipali. Blackwood li ha segnati, a mano, su una mappa clandestina: è quella che oggi campeggia nel suo archivio, accanto a un taccuino insanguinato e al simbolo inciso del Viaggiatore.

Là sotto non vale la logica. Là sotto, qualcosa aspetta da secoli.”
— Appunto anonimo ritrovato sul retro di un biglietto ferroviario datato 1887

Le ombre si nascondono dove la luce non osa scendere. E a Londra, nel 1888, la luce era merce rara.

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Il Manuale delle Ombre – Appunti per i nuovi membri dell’Archivio Blackwood

Documentazione interna. Vietata la diffusione non autorizzata. Copia destinata esclusivamente al personale operativo dell’Archivio Blackwood. In caso di smarrimento, distruggere immediatamente.

Premessa

L’Archivio Blackwood non è un’organizzazione ufficiale. Non esiste nei registri, non risponde a nessun organo di polizia, né alla legge dei tribunali. Eppure è da più di vent’anni che i suoi membri lavorano nell’ombra per contenere, documentare e, quando necessario, distruggere ciò che non dovrebbe esistere.

Questo manuale è stato scritto per coloro che, per volontà o per dannazione, entrano a far parte dell’Archivio. Le seguenti annotazioni derivano da casi realmente accaduti, da errori pagati col sangue e da verità che non devono mai essere pronunciate ad alta voce.

Capitolo I – Su ciò che non va mai scritto

“Il male prende forma anche nei pensieri. Scrivilo solo se sei disposto a sopportarne le conseguenze.”

Non trascrivere mai integralmente un rituale, neanche per studio. Non appuntare nomi che non sai pronunciare. Non segnare su carta le coordinate di un luogo maledetto: il foglio stesso potrebbe divenire veicolo di richiamo.

Se sei costretto a farlo, usa abbreviazioni, codici personali o simboli sostitutivi. La carta assorbe più di quanto credi.

Capitolo II – Su quando un caso va bruciato

Non tutti i casi devono essere archiviati. Alcuni devono sparire.
Se trovi un dossier etichettato come “incenerire”, fallo senza aprirlo.
Se trovi uno che porta il simbolo inciso a mano sul bordo sinistro – una croce rovesciata con un cerchio spezzato – e non ha firma… non è un caso dell’Archivio. È un avvertimento.

Non leggerlo. Non toccarlo a mani nude. Distruggilo entro l’alba.

Capitolo III – Come comportarsi con l’ignoto

Mai voltare le spalle a una porta aperta che prima era chiusa.
Mai parlare a un cadavere che ti rivolge la parola.
Mai accettare oggetti da un bambino che non batte ciglio da più di 30 secondi.

L’ignoto osserva, imita, tenta. Non cercare di “capire”. Limitati a riconoscere. E quando lo fai… agisci in fretta.

Capitolo IV – Come riconoscere un traditore

Il traditore non arriva con un coltello. Arriva con buone intenzioni.
Parla di “ordine”, di “poteri superiori”, di “rivelazioni”.
Ride quando nessuno ha detto nulla.
Ha le mani fredde, anche d’estate.

Se un tuo collega torna da solo da una missione in due… osserva i suoi occhi. Se sembrano troppo lucidi, troppo normali, troppo presenti… non è più lui.

Capitolo V – Come trattare con l’Archivista

Non chiedere mai all’Archivista da dove venga o da quanto lavori qui.
Non tentare mai di leggere i suoi fascicoli.
Non chiedere mai perché abbia solo otto dita.

L’Archivista conserva tutto. Anche ciò che è stato cancellato. E ricorda anche ciò che non hai mai detto.

Capitolo VI – Quando puoi andartene

Non puoi.
Una volta firmato il patto (sia esso scritto, orale o solo mentale), sei parte dell’Archivio.
Puoi scegliere il silenzio.
Puoi fingere di dimenticare.
Ma se il tuo nome è su uno dei dossier… prima o poi sarai richiamato.

Alcune note marginali trovate sui margini del manuale originale:

“Non fidarti di chi beve solo tè. Nemmeno una goccia d’acqua.”

“Il caso Whitmore non è chiuso. Solo sepolto.”

“Declan aveva un codice. Trovalo.”

“Non toccare mai la settima chiave.”

Appendice finale (per i lettori del blog)

Questo articolo è un estratto dal Manuale delle Ombre, redatto da Edgar Blackwood a partire dal 1886 e aggiornato negli anni dai suoi colleghi. Naturalmente, non è mai stato ufficialmente pubblicato… ma in fondo, nessuno è mai davvero uscito vivo dall’Archivio.

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✝️ Il Reverendo Whitmore e i volti del tradimento

Dalla luce alla menzogna: anatomia di un uomo votato all’abisso

Ogni fede, se spinta oltre la soglia del dubbio, può diventare un altare al servizio del Male.”
— Lettera anonima ritrovata tra le carte del Reverendo Whitmore, dicembre 1888

In ogni storia gotica c’è una figura che si erge tra il sacro e il profano, tra la salvezza e la dannazione. Nella saga dell’Archivio Blackwood, questa figura prende un nome preciso: Aldous Whitmore, reverendo della Chiesa anglicana, predicatore brillante, uomo di parola… e infine, artefice del tradimento.

Ma chi è davvero Whitmore?
Un visionario corrotto? Un servo dell’oscurità? O qualcosa di più sottile e inquietante?

Il volto pubblico della redenzione

All’inizio, Whitmore è tutto ciò che ci si aspetterebbe da un pastore d’anime: voce calma, abiti impeccabili, parole misurate. È amato nelle comunità in difficoltà, ascoltato nei salotti dell’aristocrazia, rispettato persino nei corridoi di Scotland Yard.

Nessuno avrebbe potuto immaginare che dietro i suoi sermoni si nascondesse un’ossessione — una che lo legava a riti dimenticati, libri proibiti e antichi giuramenti sussurrati in lingue morte.

La verità sepolta nella giovinezza

Nel secondo volume della saga, Il Vangelo delle Ombre, iniziamo a intuire il passato oscuro del reverendo. Un viaggio missionario in Scozia. Un villaggio abbandonato. Un culto dimenticato dai registri ufficiali. È lì che Whitmore smette di pregare rivolto al cielo… e inizia a cercare risposte altrove.

Gli indizi raccolti da O’Connor, poi completati da Blackwood, mostrano un uomo profondamente trasformato. Non posseduto — no — ma convertito. E il suo Dio, ormai, non è più quello di Londra.

Il tradimento: una scelta lucida

Nel Capitolo 13, Whitmore getta la maschera. Ma il suo tradimento non è un errore. È una liturgia. Una scelta meditata. Offre Blackwood in sacrificio, tenta di aprire un varco tra i mondi, pronuncia parole che nessun essere umano dovrebbe conoscere.

Non c’è follia, solo convinzione.
È questo che lo rende davvero pericoloso.

Un’ombra che non si dissolve

Anche dopo la sua fuga, il reverendo continua a influenzare gli eventi. Lascia simboli, messaggi, visioni. Non è un antagonista che svanisce: è una minaccia persistente, come una ferita infetta che continua a pulsare nel buio.

E il dubbio resta: Whitmore è un servo… o un sacerdote di qualcosa di ancora più antico?

Nell’Archivio Blackwood, pochi tradimenti sono così profondi, e nessuna figura è così ambigua.

Whitmore è la prova vivente che il Male non sempre indossa maschere mostruose.
A volte, predica dalla sacrestia.


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"Ritratto gotico del Reverendo Aldous Whitmore, con espressione severa e crocifisso dorato, illuminato dalla luce di una candela in un'ambientazione ecclesiastica oscura e decadente."

La solitudine degli investigatori: Blackwood e la sua lotta interiore

Chi ha letto i romanzi dell’Archivio Blackwood sa che Edgar non è il classico detective infallibile. Sotto il cappello logoro e il mantello scuro si nasconde un uomo tormentato, segnato dalle perdite, dai dubbi e da una persistente solitudine.

Blackwood è un uomo che ha perso molto. L’amico Declan O’Connor, i legami familiari, la fiducia in un mondo razionale. Insegue il Male, ma sa di non poterlo mai estirpare del tutto. Eppure non si ferma. Non può farlo.

In Il Vangelo delle Ombre, questo lato emerge con più forza. Lo vediamo isolarsi, dubitare persino di chi gli è vicino. Non perché non voglia legami, ma perché sa che chi si avvicina a lui rischia di essere inghiottito dalle stesse tenebre che lui combatte ogni giorno.

Questa solitudine non è debolezza. È un peso che sceglie di portare, una forma di sacrificio. E in questo, credo, risiede la sua umanità. Blackwood non è un eroe. È un uomo che continua a cercare risposte, anche quando sa che potrebbero distruggerlo. E forse è proprio per questo che continuiamo a seguirlo. Perché nella sua lotta, rivediamo un po’ anche la nostra.