Chi cammina nei vicoli?

Le professioni dimenticate della Londra vittoriana


La Londra dell’Ottocento era una città che non dormiva mai, ma non nel modo romantico che piace raccontare oggi. Era sveglia perché doveva esserlo: il lavoro non concedeva tregua, le strade erano organismi viventi, e nei vicoli più bui esisteva un’umanità silenziosa che sfiorava i passanti senza lasciare traccia.
Molti di questi mestieri sono scomparsi, inghiottiti dallo stesso fumo dei camini che li alimentava. Altri sembrano quasi inventati, tanto è sottile il confine tra vita quotidiana e incubo sociale.

Eppure erano veri. E camminavano lì, proprio dove oggi Blackwood muoverebbe i suoi passi.


Lo spazzacamino bambino: il respiro rubato del mattino

Ne bastava uno sguardo, sui tetti dei quartieri poveri, per capire tutto: piccole sagome che si muovevano come ombre nel grigio dell’alba.
I bambini spazzacamino infilavano i loro corpi dentro canne fumaria strette come tombe verticali.
Venivano scelti per la loro magrezza, per la loro capacità di contorcersi, per la loro innocenza sacrificabile.

Era un lavoro sporco, nero di fuliggine, ma necessario. Londra viveva di carbone, e loro erano gli ingranaggi invisibili del grande motore industriale.


I raccoglitori di ossa: mercanti del macabro

Nel cuore dei vicoli, quando il traffico rallentava, potevi sentire il suono dei bastoni che rimestavano nelle fogne o nelle pile di scarti.
Erano i “bone pickers”, gli spigolatori delle ossa.
Raccoglievano resti animali per rivenderli all’industria della colla, del sapone o dei fertilizzanti.
L’odore non era lavoro: era condanna.

Eppure nessuno li guardava due volte. A Londra, tutto ciò che non brillava era automaticamente considerato parte del paesaggio.


Il night-soil man: l’uomo che portava via ciò che nessuno vuole nominare

Prima dei moderni sistemi fognari, qualcuno doveva occuparsi… di ciò che gli altri lasciavano nel secchio.
Entravano nelle case di notte, caricavano i contenitori pieni e li svuotavano fuori città.
Il lavoro era indispensabile, ma il loro nome era un soprannome, un insulto, un modo per non doverlo pronunciare.

In un mondo che si vantava della sua eleganza vittoriana, questi uomini custodivano la parte più materiale — e più negata — della vita quotidiana.


I venditori di ombrelli: i fantasmi delle piogge improvvise

Erano figure sottili, veloci, quasi teatrali.
Apparivano ai bordi delle strade non appena si alzava una pioggia improvvisa, offrendo ombrelli di seconda o terza mano.
Alcuni li riparavano sul momento, con dita veloci e un piccolo kit di ferri; altri arrivavano da magazzini illegali dove gli oggetti rubati cambiavano padrone.

A volte, nella nebbia, sembrava che vendessero non ombrelli… ma riparo dalle ombre stesse.


I cacciatori di ratti: eroi dimenticati del sottosuolo

Londra ne era invasa: milioni di ratti, più dei cittadini.
I rat-catchers erano metà lavoratori, metà acrobati: entravano in cantine, magazzini, fogne, armati di trappole, sacchi di tela e una sorprendente familiarità con gli animali che il resto del mondo evitava.

Alcuni portavano sempre con sé un furetto addestrato, più fedele di un cane e più silenzioso di un coltello.
Erano temuti, rispettati, tollerati. Fondamentali.


Mestieri che camminano ancora

Questi lavori dimenticati formavano lo scheletro invisibile della città: senza di loro, Londra non avrebbe respirato, mangiato, né mantenuto un’ombra di ordine.
Erano figure che oggi vivono solo nei registri, nei racconti… e nelle atmosfere dei romanzi gotici.

Quando immagino l’ispettore Blackwood camminare nella nebbia, penso spesso a loro.
Perché ogni passo nella Londra del 1800 era accompagnato da mestieri che nessuno voleva vedere, ma che tutti avevano bisogno di sentire.


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Dove indagherebbe oggi Edgar Blackwood?


Certe ombre non invecchiano.
Non appartengono solo al passato.
Cambiano forma. Si adattano. Ma restano.

Se l’ispettore Edgar Blackwood vivesse oggi, non camminerebbe più lungo i vicoli di Whitechapel col bavero alzato e il revolver in tasca. Ma il suo sguardo – quello sguardo ostinato, stanco e lucido – sarebbe lo stesso. E si troverebbe a inseguire ombre moderne in luoghi diversi… ma non meno oscuri.


1. Dove sarebbero oggi le sue indagini?

  • Nei sottopassi delle metropolitane, dove si accumulano graffiti, silenzi e occhi che sfuggono.
  • Negli istituti psichiatrici dismessi, dove qualcosa è rimasto chiuso più a lungo del necessario.
  • Nelle aule dei tribunali, dove il Male si traveste da retorica e si protegge dietro una cravatta.
  • Nei vicoli digitali, dove anime perdute si scambiano violenza sotto pseudonimi.

Blackwood non ha mai inseguito il colpevole: ha sempre inseguito ciò che lo rende tale. E quel qualcosa esiste ancora. Cambia linguaggio, abiti, volto. Ma puzza sempre di marcio.


2. Quali crimini indagherebbe?

Non più solo delitti rituali o possessioni. Ma anche:

  • Scomparse ignorate, perché “erano solo tossici”.
  • Morti senza autopsia, archiviate come “incidenti”.
  • Ragazzi sedotti dal culto di qualcosa che non comprendono.

Blackwood non è un detective che cerca giustizia.
È un uomo che cerca risposte.


3. E se fosse dalla parte sbagliata?

C’è un’altra possibilità. Forse, nel mondo di oggi, Blackwood non sarebbe un ispettore. Forse nessuno gli crederebbe. Forse verrebbe sospeso, deriso, curato.
Forse continuerebbe a scrivere appunti su un vecchio quaderno, guardando fuori da una finestra, mentre Londra (o qualsiasi altra città) brucia in silenzio.

Ma anche in quel caso, non smetterebbe.
Perché il Male non dorme mai.
E nemmeno lui.


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Il rituale del silenzio: quando uccidere è un messaggio


Certe morti non sono solo delitti. Sono simboli. Sono segnali tracciati con il sangue, destinati a chi sa leggere tra le righe di un corpo abbandonato, o nel gelo di una stanza sigillata.

Nel cuore di Il Carnefice del Silenzio, l’omicidio si trasforma in rituale, in codice, in profezia. Ogni vittima è una parte di un disegno più grande, ogni silenzio forzato è un eco che parla a chi ha orecchie abbastanza dannate per ascoltarlo.

Chi è davvero il carnefice? Un semplice assassino o un messaggero antico, legato a una voce che affonda le radici in un culto perduto?

Nel romanzo, l’ispettore Edgar Blackwood si trova a decifrare molto più che indizi: deve comprendere una lingua dimenticata, fatta di simboli, mutilazioni e silenzi rituali. Ma c’è di più. Ogni omicidio sembra risvegliare qualcosa che dormiva… nel cuore stesso di Londra.

La domanda non è più solo chi uccide. Ma perché il silenzio è diventato la vera arma?

Se non avete ancora letto Il Carnefice del Silenzio, vi consiglio di prepararvi a un’indagine che non vi darà risposte facili. Perché in fondo, come dice Blackwood:

“Le verità sussurrate sono le uniche a sopravvivere ai secoli.”


Il Vangelo delle Ombre sta per raggiungere la stampa!
Abbiamo superato le 250 copie preordinate, ma vogliamo accelerare l’editing e la pubblicazione finale.

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Il Viaggiatore e i sogni dei bambini


Archivio Blackwood – Fascicolo 41B, Allegato Sogni Ricorrenti – Dicembre 1888

Nei casi di possessione legati alla figura del Viaggiatore dell’Ombra, è stato segnalato un dettaglio inquietante che si ripete con una coerenza sinistra:
alcuni bambini scomparsi lo avevano sognato prima di sparire.
Altri, liberati in extremis, riportano visioni simili tra loro, come se attingessero a uno stesso pozzo.

Le frasi che ricorrono nelle lettere, nei deliri, nei racconti sono sempre spezzate, incomplete, ma si avverte un’unica voce dietro le parole:


“Cammina sulla notte… e la notte si fa viva.”

“Ha una valigia piena di nomi.”

“Non ha ombra, ma lascia ombre negli occhi.”


Padre Quinn ha raccolto, negli anni, testimonianze di sogni condivisi, tracciando un profilo frammentato dell’entità nota come Viaggiatore.
Nessuna delle vittime riesce a ricordare il volto.
Alcuni lo chiamano “L’Uomo del Tempo Perduto”, altri solo “Lui”.

Sogni e segnali

Nel Vangelo delle Ombre, Edgar Blackwood entra nel cuore di un caso in cui questi sogni diventano chiave e condanna.
Una bambina scrive con grafite rossa il nome “Viaggiatore” su una parete.
Un altro piccolo ripete una filastrocca mai sentita prima.
Una vedova posseduta pronuncia nomi che non dovrebbero esistere.

Ma il punto è uno solo:
Il Viaggiatore li vede prima ancora che lo incontrino.


Una storia che sta per diventare libro

Tutti questi elementi – sogni, bambini scomparsi, lettere non spedite – non sono solo suggestioni. Sono il cuore oscuro del mio nuovo romanzo gotico:
Il Vangelo delle Ombre, ambientato nella Londra del 1888.

Il libro è in campagna di crowdfunding con Bookabook, e siamo a meno di 20 copie dal traguardo.

Se raggiungiamo le 200 copie preordinate, sarà pubblicato, distribuito in libreria, e chi lo ordina lo riceverà per primo.

Se ti va di darmi una mano, anche solo condividendo il link, ecco dove sostenere la campagna:

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Il Vero Volto di Edgar Blackwood


Chi è davvero Edgar Blackwood?

Molti lettori mi hanno chiesto da dove nasca questo personaggio cupo, tormentato, solitario. C’è chi lo ha paragonato a Sherlock Holmes, chi a Van Helsing, chi a un detective decadente uscito da un romanzo di Poe. La verità è che Edgar Blackwood non nasce da un solo volto, ma da molte ombre. Alcune reali, altre letterarie. Tutte profondamente umane.

Un detective figlio del proprio tempo

Blackwood vive nella Londra del 1888, tra nebbie e lampioni a gas, poco dopo i delitti di Jack lo Squartatore. È un uomo che crede nei fatti, ma che ha imparato – a sue spese – che non tutto può essere spiegato con la ragione. A differenza di altri ispettori del suo tempo, ha visto ciò che si cela oltre la superficie delle cose: possessioni, sette, oggetti maledetti. Ed è sopravvissuto.

In lui si fondono la disciplina dello scienziato e l’intuizione dell’occultista. È un razionalista che si è sporcato le mani con il sovrannaturale. È l’uomo moderno che guarda in faccia l’abisso, e continua a camminare.

Le ispirazioni letterarie

Blackwood è, senza dubbio, figlio di una lunga tradizione narrativa. Nella sua mente acuta e nei suoi metodi d’indagine riecheggiano le orme di Holmes. Ma a differenza del grande detective, Edgar non è immune al dubbio, all’angoscia, alla fragilità. Ha amato, ha perso. E porta con sé il peso dei fantasmi che ha incontrato.

Al tempo stesso, in lui si riflette l’archetipo dell’investigatore esoterico: un personaggio caro alla letteratura gotica, che non indaga solo su delitti, ma su verità proibite. In questo senso, Blackwood può essere visto come un erede spirituale di Carnacki, di John Silence, e persino di Abraham Van Helsing.

L’umanità dietro l’oscurità

Nonostante l’aura misteriosa, Blackwood resta un uomo. Ha abitudini precise, manie, un’insonnia cronica, un gusto per i sigari economici e per i libri antichi. Ha amici fedeli (come Declan O’Connor o il sergente Monroe), e nemici che lo conoscono nel profondo.

Il suo dolore non è spettacolare, ma profondo e silenzioso, come i pozzi che esplora nei suoi casi. Non cerca vendetta. Cerca risposte. E forse, nel cuore di ogni indagine, cerca anche una redenzione personale.


Campagna di Crowdfunding – Il Vangelo delle Ombre

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Il Vangelo delle Ombre sta per cambiare casa

Carissimi lettori,
oggi non vi scrivo nei panni dell’Archivista, ma in quelli dell’autore.

Presto l’ebook de Il Vangelo delle Ombre verrà sospeso da Amazon, perché il libro sta per iniziare un nuovo cammino: una campagna di crowdfunding con la Casa Editrice Bookabook.

Perché una campagna?
Per portare il libro in libreria fisica, nei punti vendita reali, tra gli scaffali veri. Un passo importante, che richiede un piccolo sforzo collettivo, ma che può fare una grande differenza.

Come funziona?

A breve vi fornirò un link ufficiale, attraverso il quale sarà possibile prenotare una copia (cartacea o ebook) del romanzo direttamente sulla piattaforma della casa editrice.

Anche una sola prenotazione dell’ebook, da parte vostra, sarà un passo fondamentale per sostenere il progetto.

E se vi andrà di condividere quel link con amici, lettori appassionati, amanti del gotico o semplici curiosi, ve ne sarò profondamente riconoscente.

L’Archivio Blackwood continua…

Nel frattempo, le pagine dell’Archivio non si fermeranno. I racconti, gli articoli, le immagini, altri Libri… tutto continuerà ad arrivare, ogni settimana, come sempre. Ma questa campagna è una soglia concreta, un’occasione vera per portare Blackwood fuori dall’ombra, oltre il digitale.

Grazie per essere parte di tutto questo.

A presto con il link ufficiale!


Claudio Bertolotti
Autore de Il Vangelo delle Ombre

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Perché Edgar Blackwood non cambia

Il peso del silenzio e la coerenza narrativa nella saga dell’Archivio

Non era questione di evoluzione. Era questione di resistere.”
– Annotazione non datata ritrovata nei fascicoli di Limehouse, dicembre 1888

In un’epoca narrativa in cui l’evoluzione del personaggio è spesso considerata una regola aurea, Edgar Blackwood rappresenta un’eccezione deliberata. Non cede al cambiamento, non segue l’arco classico dell’eroe che “impara dai propri errori”.
Perché?
Perché Blackwood non è nato per cambiare, ma per ricordare. E custodire.

Il trauma come fondamento, non come transizione

Blackwood è un uomo segnato dalla guerra.
La Campagna di Crimea gli ha lasciato molto più di cicatrici fisiche: gli ha insegnato che il male, a volte, non viene punito. Viene solo registrato.
Da allora, egli non cerca redenzione, né perdono. Cerca ordine nel caos, e se necessario, lo impone con la forza.
Questo lo rende scomodo. Imperfetto. Spesso apatico, distante, ossessivo.
Ma reale.

Un’epoca che non perdona la sensibilità

La Londra del 1888 non è terreno fertile per introspezioni e mutamenti interiori. È una città che mastica e sputa chiunque tenti di salvarla.
Blackwood lo sa. E si è adattato.
Non diventando più umano, ma indurendosi al punto da diventare strumento. Uno strumento dell’Archivio.
Un archivista del male.

Una coerenza narrativa voluta

Nella costruzione della saga, la staticità apparente di Blackwood è un pilastro strutturale, non un limite.

Ogni personaggio che gli ruota attorno – Declan, Monroe, Quinn, Moira – rappresenta un movimento: fede, disperazione, lealtà, empatia.
Lui no.
Blackwood è il perno. L’uomo che assorbe, osserva, cataloga.
Non si concede il lusso di cambiare perché il suo ruolo non è evolvere, ma resistere al Male. Anche quando lo guarda negli occhi. Anche quando lo vede dentro di sé.

Un detective dell’occulto… o solo della verità?

Molti lettori si chiedono: Blackwood crede davvero nel soprannaturale?

La risposta è… irrilevante.
Ciò che conta è che agisce. Interviene dove nessuno vuole guardare.
Che si tratti di possessioni o follia, di reliquie o manipolazioni mentali, Blackwood non si chiede “perché?” ma “come lo fermo?”.
E non è forse questa la forma più pura di responsabilità?

In conclusione

Blackwood non cambia perché è costruito per resistere.
Ogni sua risposta fredda. Ogni silenzio. Ogni gesto metodico e imperturbabile è parte di un codice più grande.
Un codice che tiene in piedi l’Archivio.
Un codice che dice:

“Non è necessario comprendere il male. È sufficiente riconoscerlo.”

Hai una domanda sull’Archivio o un personaggio che ti ossessiona?
Scrivila nei commenti del blog o su Instagram: potresti ricevere risposta nel prossimo episodio di Domande all’Archivista.

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I LIBRI

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Domande all’Archivista – Ogni giovedì su Facebook

A partire da settimana prossima, inauguriamo una nuova rubrica dedicata a voi lettori, curiosi, appassionati e investigatori dell’oscuro: “Domande all’Archivista”.

Ogni giovedì pubblicherò sulla mia pagina Facebook un post dedicato, dove potrete scrivere domande, curiosità, teorie o anche semplici riflessioni sul mondo di Blackwood, sulla Londra vittoriana, sulla scrittura gotica, sui personaggi o su qualsiasi elemento che vi abbia colpito tra le mie opere.

Alcuni esempi:

“Blackwood è ispirato a un personaggio reale?”

“Ci sono documenti autentici dietro i racconti?”

“Qual è stata la scena più difficile da scrivere?”

“Perché quel simbolo appare sempre nei tuoi racconti?”

Ogni settimana sceglierò 3 domande, quelle che più mi colpiranno o stimoleranno una riflessione, e risponderò direttamente sotto al post.

Regole semplici ma importanti:

No offese.

No contenuti volgari o fuori tema.

Chi non rispetta le prime due regole verrà cancellato e bannato.

Sarà un modo per dialogare, approfondire, e magari… scoprire nuovi indizi nascosti tra le pagine.

Appuntamento ogni giovedì su Facebook!

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Bethnal Green e il suo silenzio assassino

Viaggio nell’ombra di un quartiere dimenticato

Ci sono luoghi a Londra in cui il silenzio pesa più del rumore. Dove il passo dell’uomo si smorza nella nebbia, e ogni strada sembra condurre a una verità taciuta. Uno di questi è Bethnal Green, incastonata tra le maglie fatiscenti dell’East End, quartiere operaio e violento, abitato da spettri in carne e ossa.

Nel 1885, l’anno in cui si svolgono i fatti de Il Macellaio di Bethnal Green, questa zona era già nota per i suoi vicoli infestati, le bettole maledette e i locali opachi che odoravano di alcool, sangue e disperazione. Chi ci abitava diceva che certe notti non appartenevano più agli uomini, ma a qualcosa che camminava sotto pelle, nei muri, nei condotti dell’acqua, nei battiti accelerati di chi si accorgeva troppo tardi di essere seguito.

Il quartiere che inghiotte

Bethnal Green non si limita a nascondere: inghiotte.
Persone, voci, memorie. E quando restituisce qualcosa, non è mai ciò che si era perso, ma una versione distorta.
Molti riferiscono ancora oggi di un odore dolciastro, simile a carne lasciata troppo a lungo sul banco. E quel tanfo compare solo in alcune strade, vicino a porte murate da tempo o botole arrugginite. Nessuno le apre. Nessuno ha mai voluto sapere.

Il caso del Macellaio

Nel racconto, una serie di sparizioni e ritrovamenti mutilati scuote l’intera città, ma la verità sembra volersi nascondere proprio sotto il suolo di Bethnal Green.
E non è una metafora.
Nei documenti dell’epoca – alcuni autentici, altri deformati dalle leggende – si parla di un certo “uomo dalla giacca macchiata”, che portava con sé sacchi di iuta gocciolanti e che scendeva ogni notte nei sotterranei di un magazzino dismesso.

I bambini lo chiamavano “il Cuocitore”, e chi osava nominarlo, finiva col non dormire più.

Il silenzio è un personaggio

Bethnal Green ha un’anima.
Nel mio racconto, non è solo un’ambientazione: è il testimone muto di eventi troppo indicibili per restare nei registri della polizia. È il palcoscenico insanguinato di un male che non si annuncia con grida, ma con assenze.

Perché il vero orrore, spesso, non fa rumore.
E continua a tagliare anche quando le lame sono sparite da un pezzo.

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Sulle tombe di pietra, con la nebbia alle calcagna

Highgate Cemetery, Londra – inverno 1888

Mi trovavo a Highgate prima che sorgesse il sole.
Non so bene perché ci fossi andato. Un impulso.
Un nome trovato su un vecchio foglio macchiato d’inchiostro, forse. Una promessa sussurrata da qualcuno che non ricordo.

Le prime luci dell’alba non riuscivano a penetrare la cortina spessa della nebbia. Ogni passo produceva un suono ovattato contro il muschio bagnato. Il cancello cigolava alle mie spalle, come a chiudermi dentro qualcosa di più antico del tempo stesso.

Lì dentro, la morte non riposava.
Ti osservava.

Le statue erano consumate, alcune prive di volto. Altre sembravano averne uno nuovo, scolpito dal tempo. Le lapidi oblique, ricoperte di licheni, portavano nomi cancellati dall’umidità. Nessuno veniva a piangere quelle tombe. Nessuno… tranne forse me.

Percorsi il viale principale, lasciandomi guidare da un sentiero che sembrava volermi condurre da qualche parte.
C’erano impronte. Non le mie. Troppo piccole. Troppo leggere.
Seguirle fu istintivo. E sbagliato.

Arrivai a una cripta.
Le porte in ferro erano aperte.
All’interno, il freddo era diverso. Vivo.
C’erano fiori secchi, candele consumate, e… un nome inciso nel marmo, identico a quello che avevo visto sul foglio la sera prima.
Non era possibile.

Poi udii un sussurro.
Non proveniva dall’esterno. Nemmeno dall’interno.
Proveniva da sotto.

Fuggii.
O almeno credo. Il ricordo di quel momento è rotto, come vetro.
So solo che, quando mi voltai, la cripta non c’era più.
Solo una lapide annerita dal tempo.

Oggi, ogni volta che passo da Highgate, evito quel sentiero.
Ma a volte, giuro…
Vedo le stesse impronte nella ghiaia.

**

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