Bethnal Green e il suo silenzio assassino

Viaggio nell’ombra di un quartiere dimenticato

Ci sono luoghi a Londra in cui il silenzio pesa più del rumore. Dove il passo dell’uomo si smorza nella nebbia, e ogni strada sembra condurre a una verità taciuta. Uno di questi è Bethnal Green, incastonata tra le maglie fatiscenti dell’East End, quartiere operaio e violento, abitato da spettri in carne e ossa.

Nel 1885, l’anno in cui si svolgono i fatti de Il Macellaio di Bethnal Green, questa zona era già nota per i suoi vicoli infestati, le bettole maledette e i locali opachi che odoravano di alcool, sangue e disperazione. Chi ci abitava diceva che certe notti non appartenevano più agli uomini, ma a qualcosa che camminava sotto pelle, nei muri, nei condotti dell’acqua, nei battiti accelerati di chi si accorgeva troppo tardi di essere seguito.

Il quartiere che inghiotte

Bethnal Green non si limita a nascondere: inghiotte.
Persone, voci, memorie. E quando restituisce qualcosa, non è mai ciò che si era perso, ma una versione distorta.
Molti riferiscono ancora oggi di un odore dolciastro, simile a carne lasciata troppo a lungo sul banco. E quel tanfo compare solo in alcune strade, vicino a porte murate da tempo o botole arrugginite. Nessuno le apre. Nessuno ha mai voluto sapere.

Il caso del Macellaio

Nel racconto, una serie di sparizioni e ritrovamenti mutilati scuote l’intera città, ma la verità sembra volersi nascondere proprio sotto il suolo di Bethnal Green.
E non è una metafora.
Nei documenti dell’epoca – alcuni autentici, altri deformati dalle leggende – si parla di un certo “uomo dalla giacca macchiata”, che portava con sé sacchi di iuta gocciolanti e che scendeva ogni notte nei sotterranei di un magazzino dismesso.

I bambini lo chiamavano “il Cuocitore”, e chi osava nominarlo, finiva col non dormire più.

Il silenzio è un personaggio

Bethnal Green ha un’anima.
Nel mio racconto, non è solo un’ambientazione: è il testimone muto di eventi troppo indicibili per restare nei registri della polizia. È il palcoscenico insanguinato di un male che non si annuncia con grida, ma con assenze.

Perché il vero orrore, spesso, non fa rumore.
E continua a tagliare anche quando le lame sono sparite da un pezzo.

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Disegni rituali rinvenuti nella soffitta del Reverendo Whitmore

Rubrica: Dossier Segreti n. 24 – Kensington, 12 dicembre 1888
A cura dell’Archivio Blackwood – Materiale riservato

Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre 1888, durante l’ispezione nella casa signorile della famiglia Fairweather a Kensington, l’ispettore Edgar Blackwood e padre Marcus Quinn scoprirono un passaggio occulto dietro a una libreria nel vecchio studio dei padroni di casa.

Il passaggio conduceva a una stretta scala di servizio in pietra, la cui cima portava a una soffitta dimenticata, soffocata dalla polvere e dall’odore di carta bruciata. Lì, celati tra travi annerite e scatole di legno inchiodate, furono rinvenuti cinque disegni rituali incisi a mano su fogli di pergamena.

Descrizione dei disegni

I documenti, danneggiati dal tempo e da tentativi evidenti di distruzione (angoli strappati, cera fusa, fori da bruciature), riportano simboli non riconducibili a culti cristiani, e anzi in aperto contrasto con ogni dottrina teologica.

1. Il Nodo dell’Offerta
Un intreccio di linee concentriche che rappresentano il legame tra il corpo umano e ciò che vive “sotto”, come descritto nel Codex Tenebris.

2. Il Cuore Rovesciato
Un organo stilizzato con lettere latine scritte al contrario, contornato da croci capovolte e da una frase incompleta: “Et sanguis eius fiet apertura…”

3. La Chiave della Bocca
Disegno disturbante di una bocca cucita, simile a quella delle bambole rituali, con tre chiavi pendenti da una linea sottile come un capello.

4. Il Viaggiatore
Figura umanoide schematica, priva di volto, ma con un simbolo circolare sul petto (già comparso nei casi di possessione).

5. Schema per un’offerta viva
Un corpo umano steso su un altare di pietra. La testa è cerchiata tre volte, e l’annotazione a lato recita:
“Non il corpo, ma la parola. Non la vita, ma la voce.”

L’ipotesi

Secondo padre Quinn, questi disegni farebbero parte di un vecchio rituale interrotto, che il reverendo Whitmore avrebbe tentato di ricostruire. Ma da dove ha tratto questi simboli? E perché conservarli in un luogo così segreto?

Note dell’Archivio

I simboli combaciano parzialmente con quelli rinvenuti in una missione giovanile di Whitmore in Scozia, nel 1872, durante l’episodio conosciuto come “La Veglia Nera di Glamis”, finora classificato come leggenda.
Ciò indicherebbe una lunga pianificazione, e forse una rete più estesa di adepti.

Il caso resta aperto nei fascicoli riservati dell’Archivio Blackwood.
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Esorcismo nell’800: rituali, documenti e cronache autentiche

Nel cuore della Londra vittoriana, dietro la coltre di nebbia e il battito di una città che si credeva moderna, sopravvivevano rituali antichi. Lungi dall’essere relegati alla superstizione rurale, gli esorcismi erano ancora praticati, spesso nell’ombra, altre volte persino tollerati ufficialmente, purché ben nascosti sotto il velo del silenzio ecclesiastico.

Una fede incerta… ma pronta ad agire

Sebbene la Chiesa Anglicana non approvasse formalmente l’esorcismo, esistevano libri liturgici paralleli e manuali ad uso interno del clero, con formule per scacciare “spiriti impuri” e “presenze non identificate”. In alcune diocesi particolarmente conservatrici, vescovi e sacerdoti permisero (o chiusero un occhio su) interventi non ufficiali, purché condotti con discrezione.

Un documento conservato al Lambeth Palace Library, datato 1874, descrive un caso verificatosi a Deptford: una giovane donna che, secondo la cronaca manoscritta di un curato, «parlava latino senza averlo mai studiato e si contorceva come se mille aghi la trafiggessero».

I rituali: tra sacro e inquietante

I riti dell’epoca combinavano litanie antiche (riprese dal Rituale Romano) con elementi locali, come la benedizione dell’acqua in modo “modificato” e l’uso del sale posto sulla soglia della casa.

In alcuni casi, i diari di preti missionari — tornati dalle colonie — raccontano di possessioni inedite, in cui il male non si manifestava solo con urla o levitazioni, ma con mutamenti nel volto, odore di zolfo, e soprattutto presagi inspiegabili: un bambino che cantava una filastrocca mai sentita, il sangue che colava dalle pareti di una stanza sigillata.

Un mondo che ha ispirato l’Archivio Blackwood

Molti degli elementi presenti in Il Vangelo delle Ombre e Il Carnefice del Silenzio derivano proprio da queste cronache dimenticate. Il personaggio di padre Marcus Quinn, ad esempio, prende ispirazione da una figura reale: un prete irlandese di nome Padraig MacQuinn, che visse a Whitechapel e fu ritenuto un “guaritore delle anime infestate”.

In una lettera del 1887, MacQuinn scrive:

Il male non ha voce, ma quando prende corpo… urla con quella dei viventi.”

Lontani dall’immaginario hollywoodiano, gli esorcismi vittoriani erano eventi carichi di tensione, mistero e paura autentica. I preti si confrontavano con ciò che non riuscivano a spiegare, tra fedi in crisi e presenze che sfidavano ogni logica.

Una verità che, come le ombre di Londra, non è mai del tutto scomparsa.

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La vera Londra dei fantasmi – Luoghi infestati e leggende dimenticate

Londra è una città di pietra e memoria. Ogni vicolo cela un sussurro, ogni palazzo custodisce un’ombra. Ma dietro i mattoni anneriti dalla pioggia e dal tempo, ci sono storie documentate, tramandate da secoli, che ancora oggi fanno rabbrividire anche i più scettici. Ecco alcuni dei luoghi realmente ritenuti infestati nella Londra vittoriana e moderna, dove il confine tra leggenda e cronaca sembra sfumare.

1. 50 Berkeley Square – La casa più infestata di Londra

Situata nel cuore elegante di Mayfair, questa casa fu già nel 1800 teatro di racconti terrificanti. La stanza al secondo piano, in particolare, era evitata perfino dai domestici. Si racconta che chi vi passasse la notte ne uscisse impazzito… o non ne uscisse affatto.
Testimonianze dell’epoca parlano di una presenza che si manifestava con urla disumane e apparizioni deformi.

La casa oggi è sede di un’agenzia antiquaria, ma i racconti non si sono mai spenti.

2. The Ten Bells Pub – Il pub di Jack lo Squartatore

Situato a Spitalfields, è il pub dove diverse vittime dello Squartatore furono viste per l’ultima volta. Oltre alla sua connessione con i delitti, è noto per i fenomeni paranormali segnalati dai gestori: voci nel nulla, oggetti che si muovono da soli, passi sulle scale quando il locale è vuoto.

L’insegna originale è ancora visibile: un invito per appassionati… e spiriti.

3. Il Teatro Drury Lane – Il fantasma dell’attore

Uno dei teatri più antichi di Londra, e anche uno dei più infestati. Da secoli si parla del fantasma di un attore ucciso nel teatro, che appare vestito con un cappotto grigio.
Curiosamente, gli attori considerano la sua apparizione come un presagio di successo.

L’interno barocco e decadente lo rende ancora più suggestivo nelle notti silenziose.

4. Highgate Cemetery – Non solo tombe

Tra statue angeliche e sentieri invasi dall’edera, si aggira una figura alta, con mantello scuro e occhi rossi: il “Vampiro di Highgate”, noto tra gli anni ’70 e ’80, ma la leggenda è ben più antica.
Molti visitatori hanno riferito svenimenti improvvisi, sensazioni di panico e figure che si dissolvono nella nebbia.

Il cimitero è visitabile ancora oggi. Ma evitate i vialetti secondari…

5. Il tunnel di Bethnal Green – Il pianto dei bambini

Durante la Seconda guerra mondiale, un bombardamento provocò la morte di oltre 170 persone nel rifugio sotterraneo di Bethnal Green.
Anche se più recente, i racconti di lamenti e pianti infantili si sono moltiplicati già dagli anni ’50. Il tunnel è oggi chiuso, ma ancora sorvegliato.

Una città costruita su segreti

Passeggiare per Londra è camminare sulla storia… e sulle sue ombre. Questi luoghi sono solo una piccola parte delle leggende che hanno alimentato il folklore inglese. Ma ricordate: ogni storia nasce da qualcosa di vero.

E come direbbe Edgar Blackwood:
“Se l’ombra si allunga… forse è perché qualcosa si è mosso.”

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Gli Oggetti Maledetti nella Storia e nella Narrativa

Tra mito, cronaca e ombra…

C’è un filo sottile, quasi invisibile, che collega i mercati polverosi dell’antiquariato, le sale ovattate dei musei e i racconti sussurrati nelle notti senza luna. È il filo della maledizione. Oggetti che sembrano muti e inerti, ma che, secondo antiche dicerie, custodiscono più di un ricordo… custodiscono un’ombra.

Nella storia, la lista è inquietante e variegata. C’è la Dibbuk Box, un’innocente scatola di legno per il vino, resa famigerata da racconti di malattie improvvise, incubi e presenze oscure dopo ogni cambio di proprietario. O la bambola di Robert, oggi chiusa in una teca a Key West, accusata di muoversi da sola e di ridere di notte, lasciando dietro di sé un odore dolciastro di muffa e polvere.

E poi ci sono i gioielli maledetti, come il diamante Hope, il cui splendore ha attraversato secoli di ricchezza e morte, passando di mano in mano come un sussurro velenoso.

La narrativa gotica e horror non ha fatto altro che amplificare e reinterpretare queste paure ataviche. Da Il Ritratto di Dorian Gray, dove un’opera d’arte custodisce la corruzione dell’anima, fino ai miei racconti dell’Archivio Blackwood, in cui reliquie, cimeli e suppellettili si rivelano essere molto più di semplici oggetti: sono testimoni e custodi di segreti inconfessabili.

La forza di questi oggetti, reali o inventati, sta nella loro ambiguità. Non sono mostri che si muovono nell’ombra, ma presenze immobili che sanno attendere. Non attaccano: attirano. Non gridano: sussurrano.

In un’epoca come la nostra, in cui tutto sembra spiegabile e razionale, forse è proprio questo il motivo per cui continuano a inquietarci: ci ricordano che la vera paura non sempre viene da ciò che possiamo vedere… ma da ciò che crediamo di possedere.

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5 curiosità oscure sulla Londra dell’Ottocento che (forse) non conosci

“Non era solo la nebbia a soffocare Londra. Erano i peccati sepolti nelle sue fondamenta.”

Passeggiare per le vie della capitale vittoriana significava camminare sopra un passato insanguinato, tra vicoli impregnati di segreti e respiri che non appartenevano più ai vivi.

Ecco 5 curiosità storiche reali, tanto inquietanti quanto affascinanti, che hanno ispirato anche le atmosfere de L’Archivio Blackwood.

1. Il cimitero dei corpi senza nome (Cross Bones Graveyard)

Nel cuore di Southwark, dietro cancelli decorati con nastri e teschi, si nasconde Cross Bones Graveyard: un cimitero non consacrato per prostitute, poveri e “bambini bastardi”.

Tra il 1500 e l’Ottocento, furono sepolti qui migliaia di corpi senza nome. Nessuna preghiera. Nessuna lapide. Solo calce e silenzio.

Oggi è un luogo di memoria… ma alcuni giurano di sentire ancora pianti sotto terra.

2. Le gabbie degli impiccati di Execution Dock

Fino al 1830, i pirati catturati venivano impiccati lungo il Tamigi, presso l’Execution Dock. Ma l’esecuzione non era la fine.

I cadaveri venivano rinchiusi in gabbie di ferro e lasciati penzolare per giorni, come monito per chiunque osasse sfidare la legge. Le maree li bagnavano due volte al giorno. I gabbiani finivano il resto.

Un’usanza barbara, che ispirò molti racconti macabri… e incubi.

3. Il Club dei Cadaveri

Nel cuore della City, si dice che alcuni membri dell’élite frequentassero un club segreto dove si organizzavano cene con corpi umani rubati dagli obitori.

Non esistono prove documentali certe, ma tra il 1840 e il 1860 sparirono numerosi corpi da ospedali e fosse comuni.

Molti attribuirono i furti ai medici. Altri parlarono di un culto privato dedito al consumo rituale dei morti.

4. La vera Bedlam: l’ospedale dei folli

Il manicomio di Bethlem Royal Hospital, noto come Bedlam, era già famoso nel Medioevo. Ma è nell’Ottocento che raggiunse l’apice dell’orrore.

I malati venivano incatenati, immersi in acqua gelida o costretti a digiunare per “espellere i demoni”. E il peggio? Fino al 1815, si poteva pagare un biglietto per entrare a guardarli. Uno spettacolo dell’orrore.

Molti uscirono da Bedlam più folli di quando vi erano entrati.

5. I topi delle fogne e i bambini scomparsi

Secondo alcune cronache minori, tra il 1860 e il 1880 oltre 40 bambini poveri scomparvero senza lasciare traccia.

Alcuni giornali accusarono bande criminali. Ma si diffuse anche una leggenda urbana: che i bambini fossero attirati nelle fogne da un uomo deforme, poi divorati da colonie di ratti carnivori cresciuti sotto Londra.

Una fantasia? Forse. Ma nel 1871, un corpo mutilato fu davvero ritrovato vicino a un condotto fognario a Bethnal Green…

La Londra di Blackwood esiste davvero. Basta guardare nei punti oscuri.

Nei miei racconti, l’inquietudine non è solo invenzione: attinge dalla Storia, dalle leggende nere e dalle verità dimenticate sotto strati di nebbia e ipocrisia vittoriana.

Se ami queste atmosfere, esplora il mondo de L’Archivio Blackwood. Ogni pagina è una lanterna accesa in un vicolo dimenticato.

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Il Club dei Suicidi di Soho

Tra leggenda e cronaca nera nella Londra ottocentesca

Nel cuore pulsante e decadente della Londra vittoriana, tra i vicoli illuminati da lampioni a gas e i locali fumosi di Soho, si racconta di un luogo proibito: il Club dei Suicidi.

Non era un circolo letterario, né un ritrovo per libertini. Chi vi entrava sapeva che prima o poi sarebbe morto… e che non sarebbe stato lui a scegliere quando.

Le prime menzioni compaiono negli articoli di giornale tra il 1872 e il 1874: poche righe, spesso relegate alle pagine di cronaca, che parlavano di “giovani gentiluomini trovati morti dopo cene riservate” o di “un gioco d’azzardo con conseguenze definitive”.

Il presunto rituale era tanto semplice quanto spietato: ogni membro versava una quota in un fondo comune. A turno, una sera a settimana, si estraeva una carta nera. Chi la pescava aveva sette giorni di tempo per “onorare il patto”. Se non lo faceva, un “delegato del club” si occupava di lui. Nessuno usciva mai dal contratto.

Molti storici liquidano la storia come leggenda urbana, un racconto amplificato dai giornalisti per vendere copie. Ma alcuni dettagli inquietanti restano:

Due suicidi documentati in Greek Street avvenuti a distanza di giorni l’uno dall’altro, entrambi membri di una stessa società privata.

Un investigatore di Bow Street che dichiarò, in un rapporto interno mai pubblicato, di aver trovato in una soffitta di Soho un tavolo rotondo con 13 sedie, una delle quali recava ancora macchie di sangue secco.

Una lista di nomi, oggi dispersa, che secondo le voci sarebbe stata nascosta negli archivi della polizia fino alla metà del ‘900.

Non sapremo mai se il Club dei Suicidi sia stato reale o frutto della fantasia morbosa dell’epoca. Ma ancora oggi, passeggiando di notte per Soho, alcuni giurano di aver intravisto, dietro le tende socchiuse di un piano superiore, un brindisi silenzioso con tredici calici.

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Lo Spiritismo nella Londra dell’Ottocento: tra sedute oscure e la fede di Conan Doyle

Nel cuore della Londra vittoriana, tra nebbie industriali e lampioni a gas, una nuova febbre si diffuse tra aristocratici, borghesi e intellettuali: lo spiritismo. In un’epoca segnata da guerre, epidemie e altissima mortalità infantile, l’ossessione per l’Oltretomba divenne un fenomeno sociale e culturale.

Tavole Ouija, medium e illusioni

Nato negli Stati Uniti negli anni ’40 dell’Ottocento con le sorelle Fox, lo spiritismo approdò in Inghilterra entro il 1852, prendendo piede rapidamente nella capitale. Le “sedute” si tenevano in case borghesi e salotti privati, dove le tavole Ouija, i bicchieri che si muovevano, i colpi sui muri e le luci danzanti offrivano l’illusione di un contatto con i defunti.

Madame d’Esperance, Daniel Dunglas Home, Florence Cook e molti altri medium divennero vere celebrità. Alcuni erano abili illusionisti; altri, sinceramente convinti di essere canali tra i due mondi. Le riviste dell’epoca come The Spiritualist e Light pubblicavano resoconti dettagliati delle manifestazioni spiritiche, spesso con disegni inquietanti e testimonianze oculari.

Lo spiritismo non fu solo una moda. Fu anche un modo per affrontare il dolore e la perdita, in un’epoca in cui la morte era onnipresente ma il lutto ancora privo di risposte.

L’uomo razionale che parlava coi morti

Tra i più celebri sostenitori dello spiritismo si annovera Sir Arthur Conan Doyle, il creatore del razionalissimo Sherlock Holmes. Sembrerebbe un controsenso: l’uomo che incarnò la logica assoluta, nella vita reale parlava con i morti.

Doyle si avvicinò allo spiritismo attorno al 1887, ma fu dopo la tragica morte del figlio Kingsley nella Prima Guerra Mondiale che abbracciò con fervore questa dottrina. Partecipò a decine di sedute spiritiche, scrisse The New Revelation (1918) e The Vital Message (1919), opere in cui sosteneva apertamente la realtà del contatto con l’aldilà.

Nel 1920 intraprese un vero e proprio tour internazionale per promuovere il movimento. Difese la veridicità delle fotografie delle fate di Cottingley e si inimicò il celebre illusionista Harry Houdini, che cercava invece di smascherare ogni truffa spiritica.

Una Londra intrisa di fantasmi e speranza

Lo spiritismo nella Londra vittoriana non fu solo un rifugio per i sofferenti. Fu anche un crocevia di illusionismo, religione, scienza nascente e letteratura. Sulla sua scia si formarono società come la Society for Psychical Research (1882), che cercavano un approccio scientifico ai fenomeni paranormali.

L’immaginario gotico della capitale ne uscì potenziato: dai vicoli di Whitechapel alle cripte di Highgate, il confine tra vita e morte non era mai stato così sottile. E in mezzo a tutto questo, anche lo sguardo gelido e razionale di Holmes sembrava doversi piegare, per un momento, all’invisibile.

Molti di questi temi ispirano ancora oggi la narrativa gotica contemporanea e, non a caso, tornano ciclicamente nei romanzi dell’Archivio Blackwood. Il fascino per l’ignoto, la morte e la sopravvivenza dell’anima restano interrogativi vivi, capaci di unire epoche, lettori e scrittori.


Fonti storiche:

  • Owen, A. (2004). The Darkened Room: Women, Power, and Spiritualism in Late Victorian England. University of Chicago Press.
  • Doyle, A. C. (1918). The New Revelation.
  • Noakes, R. (1999). “Telegraphy is an Occult Art: Cromwell Fleetwood Varley and the Diffusion of Electricity to the Other World”. The British Journal for the History of Science, 32(4).
  • Barrow, L. (1986). Independent Spirits: Spiritualism and English Plebeians, 1850-1910.

Scopri l’universo gotico dell’Archivio Blackwood:

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Dietro Il Carnefice del Silenzio: Ricerche storiche, riti dimenticati e luoghi reali della Londra del 1800

Scrivere Il Carnefice del Silenzio ha significato, per me, intraprendere un viaggio oscuro tra le pieghe più remote della Londra ottocentesca. Non bastava immaginare una storia gotica e disturbante: era necessario darle radici profonde, collocarla in una realtà che esiste, o che è esistita. Questo articolo è un piccolo sguardo sul lavoro di ricerca che ha preceduto la stesura del nuovo capitolo dell’Archivio Blackwood.

Riti oscuri e culti reali dell’epoca vittoriana

Una parte fondamentale della trama de Il Carnefice del Silenzio ruota attorno a riti dimenticati, simboli occulti e culti che operavano tra le crepe della società londinese. Durante la mia ricerca ho consultato:

Documenti storici dell’epoca vittoriana riguardanti il culto dell’Angelo del Silenzio, una figura realmente citata in alcuni pamphlet religiosi apocrifi del 1840–50;

Tracce di riti funebri deviati, usati in alcune sette spiritualiste nate nel periodo post-romantico, in cui il silenzio assoluto durante la veglia funebre era considerato il passaggio per “non svegliare l’Altro”;

Il legame tra cuciture rituali (come quelle su labbra e occhi) e la simbologia dell’obbedienza nel folklore scozzese e gaelico, poi ripreso nel libro.

Limehouse, il quartiere delle ombre

Per ambientare scene chiave del romanzo, ho studiato Limehouse (ed altri quartieri), quartiere fluviale nel cuore dell’East End londinese. A cavallo tra realtà e leggenda, Limehouse è:

Un luogo di marginalità sociale e spirituale nel 1800, noto per i suoi oppiacei e le società clandestine;

Sede di case murate, magazzini abbandonati, cripte sconsacrate e cunicoli sommersi che alimentano l’immaginario del romanzo;

Un crocevia tra oriente e occidente: è qui che si creavano leggende su “riti importati” e sulla contaminazione del Male antico con quello urbano.

Le fonti segrete dell’Archivio Blackwood

Ogni elemento inserito nella trama – dai manoscritti cuciti con filo rosso, agli specchi rituali, fino al concetto di “voce vietata” – nasce da una commistione tra:

Rituali documentati in fonti rare (es. Il Libro del Silenzio, anonimo, 1857);

Racconti folkloristici di origine scozzese e irlandese, in particolare quelli su “chi parla nel sogno”;

Riflessioni psicologiche sul trauma e la repressione, per dare profondità umana ai personaggi.

Narrativa sì, ma con radici nel reale

Ogni parte de Il Carnefice del Silenzio è frutto di finzione. Ma le sue radici affondano in archivi veri, in libri dimenticati e in mappe annerite dal tempo. Questa è la mia missione: trasformare la realtà in incubo, e l’incubo in una pagina che non si dimentica.

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Giochi e simboli infantili come portali maledetti

L’infanzia nell’universo gotico dell’Archivio Blackwood

C’è qualcosa di profondamente inquietante nei giochi dei bambini. Una corda che gira e gira nel cortile, una ninna nanna ripetuta a bassa voce, un disegno grezzo inciso nel fango. Sono gesti semplici, antichi, ma quando li si osserva nel contesto giusto — o sbagliato — diventano tutt’altro: rituali in miniatura, portali verso ciò che abbiamo dimenticato di temere.

Nel mondo di Edgar Blackwood, i bambini non sono solo vittime o testimoni. Sono custodi inconsapevoli di antichi poteri, strumenti — o resistenze — del male. E i giochi che usano, le filastrocche che recitano, i simboli che tracciano, spesso non sono invenzioni innocenti, ma ripetizioni inconsapevoli di liturgie sepolte.

Il Cerchio, il Nodo, la Spirale

Molti racconti dell’Archivio Blackwood iniziano con qualcosa di piccolo: un disegno tracciato sul pavimento da una bambina muta (“Il Sussurro del Pozzo”), un nodo intrecciato con spago e capelli, o un cerchio segnato con la cenere da un gruppo di bambini di strada.

In ogni caso, si tratta di forme ricorrenti, archetipi potenti. Nel folklore europeo, il cerchio protegge — o imprigiona. Il nodo sigilla — o lega un’anima. La spirale conduce — ma non sempre si sa dove.

Il gioco dei bambini diventa un’evocazione inconsapevole. Forse imitano ciò che hanno visto. Forse ricordano ciò che è stato dimenticato. Ma la forma resta. E la forma, nel gotico, è significato.

Ninnenanne e Filastrocche

Alcune delle frasi più inquietanti dell’intera saga di Blackwood non sono dette da cultisti o assassini. Sono canticchiate da bambini. Frasi in latino, versi spezzati, richiami a “colei che abita sotto la soglia”.

Non è un’invenzione. In molte tradizioni popolari, le ninnenanne contengono minacce o invocazioni. Non per crudeltà, ma per memoria. Ricordare al bambino cosa c’è fuori. O cosa è già dentro.

Oggetti Maledetti, Simboli Per Dimenticare

Un carillon trovato sotto un letto. Un pupazzo con cuciture straniere. Un diario infantile scritto con grafia adulta.
In L’Archivio Blackwood – Volume II: I Racconti, questi oggetti non sono solo cornici narrative, ma veri e propri nodi della storia.

Il giocattolo non serve a giocare.
Serve a contenere.
Serve a proteggere.
Serve a sigillare.

Ma cosa succede quando un oggetto si rompe, viene gettato, o semplicemente dimenticato?

L’Infanzia come Soglia

Ciò che spaventa nei giochi e nei simboli infantili non è il loro contenuto, ma la loro sopravvivenza.
Come fanno a rimanere, identici, nei secoli? Perché certe cantilene non spariscono? Perché i bambini, ancora oggi, tracciano spirali nella polvere o ripetono i gesti delle mani che si intrecciano?

Forse non è solo memoria culturale.
Forse qualcuno li osserva, da dietro il velo.
E li guida.
E li ascolta.

Vuoi scoprirne di più?

Nel mondo dell’Ispettore Blackwood, i segreti più antichi non si leggono in un libro, ma si sussurrano in una strada secondaria, in una cantina dimenticata, in un gioco infantile che non dovresti ripetere.

Ti senti pronto a guardarci dentro?

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