Le vere cripte di Limehouse


Tra nebbia, misticismo e sepolture dimenticate

C’è qualcosa, in Limehouse, che non lascia scampo.

Chi ha letto i miei Libri sa che questa zona della Londra vittoriana è uno degli epicentri del Male. Ma la verità è che Limehouse è sempre stata un quartiere liminale: un crocevia tra mondi, tra superstizione e realtà, tra povertà estrema e segreti inconfessabili.

Cripte, chiese e cunicoli dimenticati

Nel sottosuolo di Limehouse si snoda una rete di cripte e gallerie sotterranee oggi quasi del tutto dimenticata. Alcune risalgono al XVII secolo, altre sono più recenti, costruite sotto le chiese sconsacrate o distrutte dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale.

Molti documenti – compresi alcuni dossier ecclesiastici mai divulgati – parlano di spostamenti irregolari di resti umani, di cripte mai registrate ufficialmente e di riti privati tenuti in notturna, in epoche in cui il confine tra spiritualità e superstizione era sottilissimo.

Limehouse Hole: una leggenda che affonda nel fango

Una delle storie più note (ma mai confermate) è quella del cosiddetto “Limehouse Hole”, un’antica apertura nel terreno che secondo i racconti popolari non poteva essere riempita. Ogni tentativo di murarla o interrarla falliva: il giorno dopo, era di nuovo aperta.

Si dice che, nei primi dell’Ottocento, un gruppo di bambini scomparve nei pressi di quel buco. E che una veggente del tempo, conosciuta solo come Miss Eleanor, avesse affermato:

“Non sono morti. Sono stati raccolti.”

Un’espressione inquietante, che ricorda molto le tematiche trattate nei miei romanzi.

Quando la realtà ispira la finzione

Molti lettori mi chiedono se le cripte che appaiono nei miei libri esistano davvero. La risposta è: in parte, sì.

La cripta sotto la chiesa di St. Dismas (inventata) prende spunto da diverse fonti reali:

  • la cripta di St. Anne a Limehouse (reale),
  • alcuni tunnel murati scoperti nel 1892 durante i lavori per la rete fognaria,
  • e testimonianze raccolte in vecchi articoli del Pall Mall Gazette.

La finzione prende forma proprio da queste tracce: una frase, un dettaglio, un nome dimenticato diventano semi narrativi da cui germogliano storie oscure.

Perché ci affascinano le cripte?

Le cripte sono simboli. Sono l’inconscio urbano, il luogo dove la società nasconde ciò che non può spiegare o accettare. Sono tombe, ma anche passaggi. Rappresentano il passato che non smette di parlare e il silenzio che diventa assordante.

In Il Vangelo delle Ombre, le cripte non sono solo spazi fisici. Sono zone liminali, in cui il Male può emergere, ma anche in cui la verità può venire alla luce, se si ha il coraggio di guardare.


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Il fascino dell’incompiuto


Perché lascio porte aperte nei miei romanzi

Ci sono storie che iniziano e finiscono nello spazio definito di una copertina. E poi ci sono racconti che si ramificano, che non si chiudono mai davvero, che lasciano dietro di sé una scia di domande, simboli e sussurri.

Ne L’Archivio Blackwood ho scelto consapevolmente di lasciare delle porte aperte. Alcune conducono a segreti futuri, altre forse non verranno mai aperte del tutto. Ma tutte hanno uno scopo: alimentare l’immaginazione.


Non tutte le verità vanno spiegate

Il lettore moderno è spesso abituato a ricevere risposte. A pretendere una spiegazione per ogni evento, una motivazione per ogni azione, un epilogo per ogni personaggio. Ma nella narrativa gotica – quella vera – ciò che non viene detto ha spesso più potere di ciò che viene svelato.

Un nome inciso in una pagina.
Un oggetto dimenticato in una scena.
Un sussurro che non trova risposta.

Tutto questo genera inquietudine, perché va contro l’ordine naturale delle cose. E il gotico vive proprio lì: nel disordine dell’anima.


Il mondo di Blackwood è un archivio… e gli archivi non finiscono mai

I romanzi che compongono L’Archivio Blackwood non sono semplici thriller d’epoca. Sono capitoli di una mitologia personale e condivisa, in cui ogni indizio, ogni reliquia, ogni personaggio minore può essere l’inizio di un nuovo sentiero.

Quando scrivo, non mi domando: “Come finisce?”.
Mi domando: “Cosa resterà?”
Cosa resterà in chi legge, quando spegnerà la luce?


Il valore della rilettura

Un altro motivo per cui amo l’incompiuto è che rende ogni lettura diversa dalla precedente. Un lettore attento potrà notare, nei miei libri, la presenza di:

  • simboli ripetuti,
  • oggetti che passano inosservati ma tornano nei volumi successivi,
  • dettagli apparentemente inutili che assumono senso dopo 100 pagine… o 3 libri.

Non è una strategia. È il mio modo di scrivere: stratificato, contaminato, volutamente imperfetto. Ma autentico.


La verità non sta mai tutta in superficie

Declan, Moira, Quinn, Monroe, Fitzroy, Whitmore…
Ognuno di loro ha una storia che non ho ancora raccontato tutta. Alcuni perché non è ancora il momento. Altri perché non lo sarà mai.

Perché in fondo, il vero archivista non distrugge ciò che non capisce. Lo conserva.
E così faccio io, scena dopo scena. Libro dopo libro.
Per chi ha voglia di restare. E di rileggere.


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Dentro le Stanze Proibite – Come nascono i luoghi dell’Archivio Blackwood


Ci sono luoghi che non esistono sulle mappe. Non servono coordinate per trovarli: basta chiudere gli occhi, trattenere il respiro… e ricordare.
Nei romanzi dell’Archivio Blackwood, i luoghi non sono semplici scenografie. Sono personaggi. Parlano, ascoltano, osservano. Alcuni si nutrono della paura, altri della memoria. Ma nessuno è mai neutro.

La regola del luogo-vivente

Quando creo un’ambientazione, non penso solo a cosa si vede. Penso a cosa si sente. Che odore c’è nell’aria? Che rumore fa il silenzio? Dove va la polvere quando si alza il vento?

Ogni ambiente deve avere:

  • una storia dimenticata
  • una presenza muta
  • una minaccia invisibile


Londra, 1888: la città che inghiotte

Londra è il cuore pulsante dell’intera saga. Ma non quella da cartolina. La mia Londra è una bestia che si contorce sotto la nebbia, una città che nasconde più di quanto riveli.
I quartieri non sono semplici luoghi: sono ecosistemi morali.

  • Whitechapel è la fame, la malattia, il peccato.
  • Limehouse è l’esilio, il veleno, l’attesa.
  • Bethnal Green è la follia, l’eco, il pozzo.

Ogni strada ha un’anima. E ogni anima… un prezzo.


Come nasce un luogo oscuro?

Dietro ogni ambientazione c’è uno studio. Non solo geografico, ma psicologico. Ecco il mio metodo:

  1. Parto da un concetto: l’oblio, la colpa, l’infanzia, il sangue.
  2. Lo trasformo in spazio: un orfanotrofio, un sotterraneo, un archivio murato.
  3. Aggiungo un “respiro”: qualcosa che il lettore non vede, ma percepisce.

Ogni stanza proibita deve avere una porta che non si dovrebbe aprire.
E ogni luogo, almeno una cosa che non vuole essere scoperta.


Ispirazioni visive e letterarie

Per costruire i luoghi dell’Archivio Blackwood mi ispiro a:

  • Le descrizioni di Lovecraft, dove l’indicibile è più forte di ciò che si mostra.
  • Il gotico vittoriano, dove l’architettura riflette l’anima.
  • Il cinema horror classico, da The Others a The Innocents, dove l’ambiente è protagonista.

Ma anche le fotografie d’epoca, i registri ospedalieri, gli archivi ecclesiastici… tutto è materia viva.


E oggi?

Sto lavorando a nuovi luoghi ancora più oscuri:

  • un pozzo al centro di un orfanotrofio, che cambia a ogni sogno.
  • una cappella sommersa, riemersa solo dopo un temporale.
  • un manoscritto nascosto nella cripta di una famiglia maledetta.

Perché ogni storia gotica merita il suo labirinto.


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Le Radici del Terrore – Omaggio a Edgar Allan Poe


Recensione e riflessione su “Il cuore rivelatore”

Prima ancora che nascesse L’Archivio Blackwood, prima che prendessero forma i miei personaggi e i loro tormenti, c’era lui: Edgar Allan Poe.
Un nome che non è solo un riferimento letterario, ma una fessura nella parete del tempo, da cui filtra una voce. È una voce disturbata, disturbante, ossessiva.
Una voce che ho ascoltato più volte prima di iniziare a scrivere.

Tra i suoi racconti più celebri, ce n’è uno che, ancora oggi, mi stringe lo stomaco come una morsa: “Il cuore rivelatore” (The Tell-Tale Heart, 1843).
Un racconto breve, secco, ma spietato. Una discesa in prima persona nella follia, nella paranoia, nel suono costante di una colpa che non vuole essere sepolta.

La trama in breve (senza spoiler)

Un uomo, ossessionato dall’occhio di un vecchio, decide di eliminarlo. Ma ciò che lo distruggerà non sarà la giustizia umana, bensì il battito insistente di un cuore che non smette di pulsare.

Perché questo racconto mi ha influenzato

Ciò che rende questo testo immortale non è il fatto in sé, ma la voce del narratore.
Non sappiamo chi sia. Non sappiamo nemmeno se ciò che racconta sia reale.
Ma sentiamo la sua angoscia, le sue giustificazioni, il suo delirio.

Questa ambiguità tra realtà e follia è una delle cifre che ho portato nei miei racconti.
In Il Vangelo delle Ombre o in Il Carnefice del Silenzio, il lettore è spesso lasciato sospeso tra ciò che è accaduto e ciò che si crede sia accaduto.
Poe mi ha insegnato che la vera paura non nasce dal mostro…
ma dal dubbio.

Una scrittura che parla all’inconscio

La lingua di Poe è musicale e ipnotica.
Ogni parola è un passo verso l’abisso, ogni frase è costruita come una spirale che ti stringe.
Eppure è semplice. Mai pretenziosa. Mai sterile.

Da lui ho imparato che non serve spiegare il male.
Basta lasciarlo parlare con la propria voce.
Una voce che, a volte, suona troppo simile alla nostra.


Se non avete mai letto “Il cuore rivelatore”, fatelo.
Se lo avete letto, rileggetelo.
E poi… ascoltate.
Perché là fuori, o forse dentro di voi, un cuore batte ancora.


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Il rituale del silenzio: quando uccidere è un messaggio


Certe morti non sono solo delitti. Sono simboli. Sono segnali tracciati con il sangue, destinati a chi sa leggere tra le righe di un corpo abbandonato, o nel gelo di una stanza sigillata.

Nel cuore di Il Carnefice del Silenzio, l’omicidio si trasforma in rituale, in codice, in profezia. Ogni vittima è una parte di un disegno più grande, ogni silenzio forzato è un eco che parla a chi ha orecchie abbastanza dannate per ascoltarlo.

Chi è davvero il carnefice? Un semplice assassino o un messaggero antico, legato a una voce che affonda le radici in un culto perduto?

Nel romanzo, l’ispettore Edgar Blackwood si trova a decifrare molto più che indizi: deve comprendere una lingua dimenticata, fatta di simboli, mutilazioni e silenzi rituali. Ma c’è di più. Ogni omicidio sembra risvegliare qualcosa che dormiva… nel cuore stesso di Londra.

La domanda non è più solo chi uccide. Ma perché il silenzio è diventato la vera arma?

Se non avete ancora letto Il Carnefice del Silenzio, vi consiglio di prepararvi a un’indagine che non vi darà risposte facili. Perché in fondo, come dice Blackwood:

“Le verità sussurrate sono le uniche a sopravvivere ai secoli.”


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Il suono dell’orrore


Playlist gotica per scrittori (e lettori) dell’Archivio Blackwood

Certe storie hanno bisogno del silenzio.
Altre, invece, chiedono un sottofondo.

Quando scrivo, non cerco solo la parola giusta: cerco la vibrazione giusta.
Una nota, un riverbero, un battito sommesso come un cuore nascosto sotto il pavimento (grazie Poe).
E così, negli anni, ho costruito una playlist gotica personale, fatta di brani che si adattano alle atmosfere cupe e vittoriane dell’Archivio Blackwood.

Ecco alcune delle tracce che ascolto davvero, mentre scrivo o rileggo. Provale anche tu mentre leggi Il Vangelo delle Ombre o Il Carnefice del Silenzio.


1. “Dies Irae” – Mozart / Verdi / Gothic versions

L’ira divina ha sempre un posto d’onore in ogni possessione.
Perfetto per le scene rituali o per quando la luce tremola e i simboli si risvegliano.


2. “Foggy Streets of London” – Gothic instrumental

Brani ambient ispirati alla nebbia e ai vicoli. Cercali con queste parole chiave su YouTube o Spotify:
“Dark Victorian London ambient” / “Gaslight music”
Ideale per i momenti in cui Blackwood cammina da solo, sigaro in bocca e ombre alle spalle.


3. “Omen” – The Omen Soundtrack / Jerry Goldsmith

Un classico che mette i brividi già dalle prime note.
Sconsigliato a cuori deboli. Ottimo per le rivelazioni finali o le apparizioni.


4. “Ritual” – Wardruna / Dead Can Dance / Nox Arcana

Musica etnica o liturgica reinterpretata in chiave oscura.
Ti farà pensare a candele accese, simboli tracciati col sangue, e libri che non dovrebbero essere letti.


5. “Mors Vincit Omnia” – Dark academic piano playlist

Una selezione di brani pianistici cupi ma malinconici.
Perfetta per scrivere o leggere quei passaggi in cui la morte non fa paura, ma sembra quasi un sollievo.


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Librerie, tomi e codici – I libri dentro i miei libri


Nel cuore dell’universo narrativo dell’Archivio Blackwood non ci sono solo omicidi rituali, sette oscure e simboli indecifrabili. C’è qualcosa di più antico, più fragile e allo stesso tempo più potente: i libri.

Spesso, nei miei racconti, i libri non sono semplici oggetti di scena. Sono strumenti di potere, portatori di verità scomode, porte verso l’indicibile. A volte bastano poche righe vergate su pergamena per cambiare il corso della storia. Altre volte, è la sola esistenza di un volume proibito a far vacillare la mente di chi lo trova.

Ecco alcuni dei volumi più emblematici comparsi nei miei romanzi.


Il Vangelo delle Ombre

Il più noto e allo stesso tempo il più temuto. Non è solo il titolo di un libro: è un oggetto reale nel mondo di Blackwood, un manoscritto rilegato in pelle annerita, segnato da croci antiche e lettere consumate. Le sue pagine non sono tutte leggibili. Alcune mutano, altre scompaiono. È un libro che sceglie chi può leggerlo, e che cambia chi osa farlo.


Il Diario di Vivian Ashcroft (Racconto inedito non ancora pubblicato)

Comparso ne Le Ultime Stanze di Millburn Asylum, è un quaderno pieno di schizzi, poesie deliranti e pagine strappate. Ma ogni frammento custodisce indizi sottili. Le sue annotazioni, scritte con grafia sempre più irregolare, raccontano una discesa nell’incubo. Un diario che è anche un testamento.


Codex Inversus

Citato di sfuggita in più racconti, si dice sia un libro scritto al contrario, da destra a sinistra, le cui frasi diventano comprensibili solo se lette allo specchio. Alcuni credono sia solo leggenda, altri che sia il testo originale da cui nacquero i rituali della Muta dei Santi. Nessuno sa dove si trovi. Forse è meglio così.


Lettere Nere

Non un libro, ma un insieme di messaggi mai spediti, raccolti in un fascicolo rilegato in cuoio, rinvenuto in un convento sconsacrato. I mittenti? Bambini scomparsi. I destinatari? Nessuno. Le parole? Piene di simboli, giochi fonetici, paure infantili. Un libro che non parla a chi lo legge, ma a chi lo ascolta.


Archivio B – Sezione Eretica

Nascosto tra i dossier ufficiali di Scotland Yard, questa sezione è ufficialmente inesistente. Ma esiste. È lì che Blackwood custodisce i casi più anomali, i documenti più impuri, le prove che nessun tribunale accetterebbe, ma che nessuna coscienza dovrebbe ignorare.

In un mondo dove la verità è spesso sepolta sotto veli di cenere e sangue, i libri restano testimoni silenziosi. Ma attenti: nei miei racconti, leggere può essere pericoloso. Perché alcune pagine non si limitano a raccontare. Alcune… osservano.


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Il Male nei vicoli: perché la Londra vittoriana è perfetta per l’horror gotico


C’è un’oscurità che non ha bisogno di mostri per far paura. Basta la nebbia, il silenzio, un lampione che trema nel vento. Londra, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, è stata il palcoscenico ideale per ogni storia di orrore, mistero e occultismo. Ma perché proprio questa città, in questo periodo storico, continua a evocare brividi e fascino?

✦ Nebbia, gas e decadenza

Il cuore della capitale vittoriana batteva al ritmo delle lanterne a gas, dei cavalli che scalpitavano sul selciato umido, delle urla lontane nei vicoli. Non è un caso se molte delle storie più celebri del terrore gotico — da Dracula a Jekyll e Hyde, ai fantasmi del Tamigi — siano nate qui. Londra era viva, ma soprattutto vibrava di un’energia ambigua, contesa tra progresso e superstizione.

✦ La paura del cambiamento

L’era vittoriana fu un’epoca di grandi trasformazioni: scoperte scientifiche, rivoluzioni industriali, nuove teorie religiose e filosofiche. Ma con il cambiamento arrivarono anche il timore, la perdita di certezze, l’idea che qualcosa di antico e oscuro stesse per essere risvegliato. È su queste crepe che si innestano molte delle storie gotiche: il Male non è mai lontano, è solo in attesa.

✦ L’Archivio Blackwood e l’eco dell’oscurità

Ne Il Vangelo delle Ombre, seconda opera dell’Archivio Blackwood, ho voluto spingere ancora di più su questo senso di smarrimento e angoscia. L’ambientazione — Londra, dicembre 1888 — non è un semplice sfondo, ma una creatura vivente, fatta di scricchiolii, fumi, sguardi invisibili. I vicoli parlano. Le case tacciono. E il confine tra fede e follia si dissolve tra le pagine.

Se amate l’atmosfera decadente, i misteri senza tempo e le ombre che parlano, Il Vangelo delle Ombre vi condurrà proprio lì: dove la luce dei lampioni non arriva mai.

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Manoscritti e follia: quando la scrittura consuma chi scrive


C’è un confine sottile tra l’atto della scrittura e l’ossessione. Tra l’inchiostro e il sangue. Tra chi racconta e chi viene raccontato.

Nei corridoi dell’Archivio Blackwood, questo confine è spesso superato. I diari si scrivono da soli. Le lettere non arrivano mai. E i manoscritti… a volte sussurrano.

Ma questa non è solo finzione gotica. Esistono casi documentati, realmente accaduti, in cui la scrittura ha condotto alla pazzia, al silenzio eterno o a gesti inspiegabili.

Quando la penna scava nell’abisso

Nel 1865, lo scrittore britannico Richard Dadd, autore di poesie e schizzi fiabeschi, fu internato a Bethlem Hospital dopo aver ucciso il padre. Nelle sue lettere dal manicomio, scrisse che “l’inchiostro era la lingua di un altro”. Le sue opere più tarde erano fitte di simboli e calligrafie spezzate, come se il testo tentasse di fuggire da sé stesso.

Altri, come il gallese Reverendo Glynn, scomparso nel 1892, lasciarono dietro di sé centinaia di pagine scritte in una lingua inventata, sepolte sotto assi marce di una chiesa in rovina. L’unica frase tradotta: “Non è Dio che ascolta. È qualcun altro.”

L’ossessione del dettaglio

Molti scrittori, soprattutto nel XIX secolo, credevano che ogni parola possedesse una vibrazione. Alcuni stilavano le proprie opere in più copie, a mano, convinti che la macchina da stampa potesse “contaminare” il significato originale. Altri, come l’enigmatico autore di Il Codex Umbrae (volume mai ufficialmente pubblicato), annotavano le correzioni sulla pelle animale, anziché sulla carta, “per renderle vive”.

Questo tipo di follia ha ispirato anche la mia scrittura. Nei racconti dell’Archivio Blackwood esistono manoscritti che non si possono rileggere, lettere che cambiano testo da sole, preghiere scritte al contrario, e testamenti pieni di parole cancellate con sangue.

Sono simboli. Ma anche avvertimenti.

Chi scrive si consuma

Scrivere significa evocare. Richiamare alla luce qualcosa che non vuole essere visto. E, a volte, ciò che si evoca… guarda indietro.

Nel mondo dell’Archivio Blackwood, i manoscritti non sono semplici oggetti narrativi: sono portali. Mappe del trauma. Tracce della mente che ha osato troppo.

Chi scrive, lascia una parte di sé sulla pagina. Ma attenzione: non sempre si ha il permesso di riprenderla.

Il Vangelo delle Ombre è il nuovo romanzo gotico che prosegue l’indagine nelle ombre.

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L’Inquisizione, i riti e l’occulto: cosa c’è di vero nelle fonti usate

Nel cuore dei racconti dell’Archivio Blackwood si nascondono simboli, rituali e riferimenti oscuri che affondano le radici in documenti reali. Ma quanto c’è di vero nei testi inquisitoriali, nei grimori citati, nei rituali descritti nelle pagine di Il Vangelo delle Ombre o Le Ombre di Whitechapel?

La risposta è disturbante: più di quanto si pensi.

I manuali dell’Inquisizione

Molti dialoghi tra Blackwood e padre Quinn sono ispirati direttamente al Malleus Maleficarum, al Directorium Inquisitorum e ai processi originali della Santa Inquisizione. Nei miei appunti ho spesso consultato testi latini che elencano formule per riconoscere i “posseduti“, interrogatori sui “segni del demonio“, e perfino modalità rituali per “chiudere i varchi“. Alcune frasi presenti nei romanzi sono citazioni quasi letterali, tradotte per essere comprese nel racconto.

I riti (non sempre) inventati

Non tutti i rituali descritti sono frutto di fantasia. Alcuni provengono da testi come il Clavicula Salomonis o il Lemegeton, usati realmente da alchimisti e occultisti tra Medioevo e Ottocento. Altri sono mescolanze, rielaborati per dare coerenza alla narrazione gotica.

La paura del corpo, il mistero dell’anima

L’orrore dell’epoca non era solo nella superstizione, ma anche nella scienza primitiva. Molte possessioni erano in realtà crisi epilettiche, isteria o traumi psichici. Ma l’Inquisizione, e gran parte della popolazione, vi vedeva la mano del diavolo. Nei miei romanzi ho cercato di mantenere questa ambiguità: non tutto è spiegabile, ma nulla è puramente fantastico.

Perché usare fonti reali?

Perché la paura più potente nasce dal dubbio. Se leggendo un rituale ti chiedi: “E se fosse esistito davvero?”, allora l’immaginazione è già in trappola.
E Blackwood sa bene che il confine tra realtà e incubo è sottile come un filo di cera sciolta.

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