Librerie, tomi e codici – I libri dentro i miei libri


Nel cuore dell’universo narrativo dell’Archivio Blackwood non ci sono solo omicidi rituali, sette oscure e simboli indecifrabili. C’è qualcosa di più antico, più fragile e allo stesso tempo più potente: i libri.

Spesso, nei miei racconti, i libri non sono semplici oggetti di scena. Sono strumenti di potere, portatori di verità scomode, porte verso l’indicibile. A volte bastano poche righe vergate su pergamena per cambiare il corso della storia. Altre volte, è la sola esistenza di un volume proibito a far vacillare la mente di chi lo trova.

Ecco alcuni dei volumi più emblematici comparsi nei miei romanzi.


Il Vangelo delle Ombre

Il più noto e allo stesso tempo il più temuto. Non è solo il titolo di un libro: è un oggetto reale nel mondo di Blackwood, un manoscritto rilegato in pelle annerita, segnato da croci antiche e lettere consumate. Le sue pagine non sono tutte leggibili. Alcune mutano, altre scompaiono. È un libro che sceglie chi può leggerlo, e che cambia chi osa farlo.


Il Diario di Vivian Ashcroft (Racconto inedito non ancora pubblicato)

Comparso ne Le Ultime Stanze di Millburn Asylum, è un quaderno pieno di schizzi, poesie deliranti e pagine strappate. Ma ogni frammento custodisce indizi sottili. Le sue annotazioni, scritte con grafia sempre più irregolare, raccontano una discesa nell’incubo. Un diario che è anche un testamento.


Codex Inversus

Citato di sfuggita in più racconti, si dice sia un libro scritto al contrario, da destra a sinistra, le cui frasi diventano comprensibili solo se lette allo specchio. Alcuni credono sia solo leggenda, altri che sia il testo originale da cui nacquero i rituali della Muta dei Santi. Nessuno sa dove si trovi. Forse è meglio così.


Lettere Nere

Non un libro, ma un insieme di messaggi mai spediti, raccolti in un fascicolo rilegato in cuoio, rinvenuto in un convento sconsacrato. I mittenti? Bambini scomparsi. I destinatari? Nessuno. Le parole? Piene di simboli, giochi fonetici, paure infantili. Un libro che non parla a chi lo legge, ma a chi lo ascolta.


Archivio B – Sezione Eretica

Nascosto tra i dossier ufficiali di Scotland Yard, questa sezione è ufficialmente inesistente. Ma esiste. È lì che Blackwood custodisce i casi più anomali, i documenti più impuri, le prove che nessun tribunale accetterebbe, ma che nessuna coscienza dovrebbe ignorare.

In un mondo dove la verità è spesso sepolta sotto veli di cenere e sangue, i libri restano testimoni silenziosi. Ma attenti: nei miei racconti, leggere può essere pericoloso. Perché alcune pagine non si limitano a raccontare. Alcune… osservano.


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La vera Londra dei fantasmi – Luoghi infestati e leggende dimenticate

Londra è una città di pietra e memoria. Ogni vicolo cela un sussurro, ogni palazzo custodisce un’ombra. Ma dietro i mattoni anneriti dalla pioggia e dal tempo, ci sono storie documentate, tramandate da secoli, che ancora oggi fanno rabbrividire anche i più scettici. Ecco alcuni dei luoghi realmente ritenuti infestati nella Londra vittoriana e moderna, dove il confine tra leggenda e cronaca sembra sfumare.

1. 50 Berkeley Square – La casa più infestata di Londra

Situata nel cuore elegante di Mayfair, questa casa fu già nel 1800 teatro di racconti terrificanti. La stanza al secondo piano, in particolare, era evitata perfino dai domestici. Si racconta che chi vi passasse la notte ne uscisse impazzito… o non ne uscisse affatto.
Testimonianze dell’epoca parlano di una presenza che si manifestava con urla disumane e apparizioni deformi.

La casa oggi è sede di un’agenzia antiquaria, ma i racconti non si sono mai spenti.

2. The Ten Bells Pub – Il pub di Jack lo Squartatore

Situato a Spitalfields, è il pub dove diverse vittime dello Squartatore furono viste per l’ultima volta. Oltre alla sua connessione con i delitti, è noto per i fenomeni paranormali segnalati dai gestori: voci nel nulla, oggetti che si muovono da soli, passi sulle scale quando il locale è vuoto.

L’insegna originale è ancora visibile: un invito per appassionati… e spiriti.

3. Il Teatro Drury Lane – Il fantasma dell’attore

Uno dei teatri più antichi di Londra, e anche uno dei più infestati. Da secoli si parla del fantasma di un attore ucciso nel teatro, che appare vestito con un cappotto grigio.
Curiosamente, gli attori considerano la sua apparizione come un presagio di successo.

L’interno barocco e decadente lo rende ancora più suggestivo nelle notti silenziose.

4. Highgate Cemetery – Non solo tombe

Tra statue angeliche e sentieri invasi dall’edera, si aggira una figura alta, con mantello scuro e occhi rossi: il “Vampiro di Highgate”, noto tra gli anni ’70 e ’80, ma la leggenda è ben più antica.
Molti visitatori hanno riferito svenimenti improvvisi, sensazioni di panico e figure che si dissolvono nella nebbia.

Il cimitero è visitabile ancora oggi. Ma evitate i vialetti secondari…

5. Il tunnel di Bethnal Green – Il pianto dei bambini

Durante la Seconda guerra mondiale, un bombardamento provocò la morte di oltre 170 persone nel rifugio sotterraneo di Bethnal Green.
Anche se più recente, i racconti di lamenti e pianti infantili si sono moltiplicati già dagli anni ’50. Il tunnel è oggi chiuso, ma ancora sorvegliato.

Una città costruita su segreti

Passeggiare per Londra è camminare sulla storia… e sulle sue ombre. Questi luoghi sono solo una piccola parte delle leggende che hanno alimentato il folklore inglese. Ma ricordate: ogni storia nasce da qualcosa di vero.

E come direbbe Edgar Blackwood:
“Se l’ombra si allunga… forse è perché qualcosa si è mosso.”

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Il lato oscuro dei riti funebri vittoriani

“Perché in alcune bare mettevano un martello?”

Ci sono dettagli che la storia ha sepolto per pudore.
Uno di questi è l’ossessione vittoriana per la morte apparente.

Nella Londra di fine Ottocento, il timore di essere sepolti vivi non era un’invenzione gotica. Era una paranoia diffusa, alimentata da una medicina incerta, da diagnosi affrettate e da un’abitudine sinistra: sigillare tutto in fretta. Le epidemie, il freddo, la povertà: ogni cadavere era un rischio. Meglio interrare subito. Meglio non aspettare che si svegliasse.

Le bare di sicurezza

Tra le classi agiate si diffuse una moda macabra: le “coffin alarms”, bare con sistemi d’allarme meccanici.
Un filo, collegato a un campanello o a una campana, partiva dalla mano del defunto e arrivava alla superficie.
Se il morto si fosse svegliato… avrebbe potuto suonare.

Nel cimitero di Kensal Green ci sono ancora tracce di questi dispositivi. Alcuni giornali dell’epoca parlano anche di bare con martelli, leve, o fialette di acido per uccidersi “in caso di risveglio”.

Il timore non era irrazionale. Documenti medici riportano casi di esumazioni con graffi sui coperchi interni, dita spezzate, crani lesionati per il panico e l’angoscia.

Riti, superstizioni e silenzi

La borghesia londinese organizzava funerali lunghi, carichi di simboli:
Candele legate in numero dispari,
– Specchi coperti con teli neri,
– Campane silenziate,
– Finestre aperte solo per far uscire l’anima.

Nelle case più povere invece bastava un telo, una bara presa a noleggio, e una monetina sul petto per pagare l’aldilà.

Ma in ogni caso, lo spettro era sempre lo stesso:
“E se non fosse davvero morto?”

La morte, nella Londra vittoriana, non era mai un confine netto. Era una zona grigia.
Silenziosa.
In attesa.

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LA STANZA MURATA

Quando i vivi diventano guardiani dei morti

C’è qualcosa di profondamente inquietante nell’idea che dietro un muro della nostra casa possa esserci… una stanza dimenticata.
Ma ciò che inquieta ancora di più è quando quella stanza non è semplicemente “dimenticata”. È murata.
Chiusa.
Sigillata.

E dietro quel muro…
un corpo.

Una pratica reale, dal Medioevo all’Ottocento

Nel corso della storia, in molte parti d’Europa, murare vivi criminali, presunti indemoniati, donne accusate di stregoneria o persone colpevoli di “peccati inconfessabili” era una punizione estrema, spesso non registrata ufficialmente.
Ma anche murare i morti era pratica rituale.

Nei sotterranei di Napoli, a Palermo, nelle cripte francesi e persino in alcune dimore signorili della Londra vittoriana, sono stati scoperti ambienti murati con resti umani:

Cadaveri seduti, vestiti di nero o di saio.

Manufatti religiosi deformati accanto a loro.

Simboli apotropaici incisi sulla pietra.

In certi casi, una candela consumata a metà.

Come se qualcuno li avesse sepolti consapevolmente… per tenerli lì.

Quando murare è esorcizzare

Le “stanze murate” erano in certi casi usate come:

Confinamento post mortem per chi era sospettato di essere “ritornato”.

Sigillo spirituale: alcune credenze dicevano che murare il corpo impedisse all’anima di vagare.

Punizione eterna: per chi si era macchiato di empietà o aveva parlato troppo.

Contenimento: nei rari (ma reali) casi in cui si pensava che il corpo fosse posseduto anche da morto.

Un caso noto riguarda una villa nei dintorni di Ancona, dove fu scoperta nel 1879 una stanza sigillata con dentro il cadavere di una giovane donna, avvolta in veli neri e con la bocca cucita. Accanto, una preghiera scritta al contrario, incisa sul muro.

Dove cercare la verità

Riferimenti a queste pratiche si trovano in:

Documenti ecclesiastici del XVII secolo (soprattutto nei processi per possessione).

Archivi diocesani e lettere private dei confessori.

Testimonianze nei diari di medici legali del primo Ottocento.

Ritrovamenti archeologici in Francia e nel Meridione d’Italia.

Molte di queste storie furono taciute per evitare scandali.

Ma i muri non mentono.
E le stanze murate sono lì, ancora oggi, nascoste sotto i nostri piedi.
O magari, dietro la parete della vostra stanza da letto.

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Case con una memoria: architettura e presenza nel gotico

Quando le stanze ascoltano. Quando i muri ricordano.

Nella narrativa gotica, una casa non è mai solo un edificio.
È un contenitore di memoria, un corpo silenzioso che respira, assorbe e — talvolta — restituisce.

Nell’universo di Archivio Blackwood, le case non sono semplicemente ambientazioni: sono personaggi muti, testimoni involontari, archivisti delle ombre.
Ogni parete, ogni scala, ogni armadio lasciato socchiuso racconta qualcosa che non può essere detto a voce alta.

Luoghi costruiti per proteggere, ma anche per nascondere

La casa Fairweather, il convento abbandonato, la canonica, l’archivio interrato: non sono solo scenografie.
Sono luoghi che conservano.
Ma non si limitano a custodire oggetti o documenti: custodiscono assenze, silenzi, colpe.
E come ogni organismo vivente, reagiscono.
A volte con scricchiolii.
A volte con sogni.
A volte… con apparizioni.

La soglia come scelta narrativa

Nel gotico, la soglia (la porta chiusa, la stanza vietata, la scala che scende) è un elemento chiave.
È lì che il protagonista decide di oltrepassare, nonostante la paura.
E ogni soglia attraversata attiva il luogo: la casa prende coscienza, diventa inquieta.

Blackwood non apre una porta a caso.
Quando lo fa, sa di entrare nella memoria della stanza.
E la memoria, come sappiamo, non dimentica.

La materia che reagisce

In Il Vangelo delle Ombre, una finestra appannata riporta una scritta che nessuno ha inciso.
Nel monastero, una parete prega in silenzio.
In Il Carnefice del Silenzio, le mura del dormitorio sembrano assorbire le preghiere e restituirle distorte.

Questi non sono “effetti speciali”: sono la prova che l’architettura gotica è viva.
Non perché stregata, ma perché impregnata.
Dalla fede. Dal dolore. Dalla colpa.

Case costruite per chi non può parlare

Ogni stanza dell’Archivio è un luogo che parla per qualcun altro.
Per chi è stato messo a tacere.
Per chi ha perso la voce.
Per chi è morto… ma ha lasciato un segno.

La narrativa gotica non cerca case spaventose.
Cerca case che ricordano.
E a volte, ricordare è la cosa più spaventosa di tutte.