Un progetto che segna un passo importante nel mio percorso
Il 9 dicembre arriverà un nuovo libro pubblicato da Delos Digital, all’interno della collana “I Coriandoli”. È un progetto che ho curato con attenzione, pagina dopo pagina, e che rappresenta una tappa significativa del mio lavoro come autore: una fusione tra ricerca, scrittura e identità narrativa, pensata per chi segue da tempo il mio percorso e per chi ama addentrarsi nelle zone d’ombra della mente umana.
Non anticipo nulla del contenuto. Non c’è trama da scoprire in anticipo, nessun dettaglio rivelato. Questo annuncio non è un’anteprima della storia, ma l’apertura di una finestra sul lavoro che c’è dietro. Ogni libro, prima ancora di essere letto, è un viaggio creativo fatto di scelte, rinunce, revisioni e intuizioni che arrivano nei momenti meno prevedibili.
Pubblicare con Delos Digital significa inserirsi in un catalogo ricco di voci e di stili, in una casa editrice che valorizza l’identità dell’autore e permette di sperimentare con libertà e precisione. Per me è un traguardo, ma anche un nuovo punto di partenza.
Nei prossimi giorni condividerò cover reveal, curiosità editoriali e retroscena del processo creativo, sempre senza svelare ciò che troverete tra le pagine. Sarà un percorso graduale, pensato per accompagnare i lettori fino al giorno dell’uscita.
Per ora, mi fermo qui: una data, un editore, e l’emozione di ciò che sta per arrivare.
Il mondo editoriale italiano è un territorio complesso, pieno di sfumature e zone grigie. Negli ultimi anni, sempre più autori e autrici che incontro mi raccontano la stessa esperienza: una Casa Editrice risponde entusiasta al manoscritto… ma aggiunge una richiesta economica per procedere. È qui che inizia il mio personale punto di vista, maturato negli anni e con diversi contratti editoriali alle spalle.
Non ho mai avuto pregiudizi verso nessuno, ma ho imparato a riconoscere certe dinamiche. E oggi posso dirlo con serenità: non sono favorevole alle Case Editrici a pagamento.
1. Quando l’autore paga, il rischio sparisce
L’editoria tradizionale funziona così: la CE investe su un testo perché ci crede. Se il libro vende, guadagnano entrambi. Se non vende, è l’editore ad assumersi il rischio, non l’autore.
Nelle CE a pagamento, invece, questo principio fondamentale crolla.
L’autore paga per pubblicare, la CE incassa a prescindere, il rischio di mercato non esiste.
E quando non esiste rischio, svanisce anche la vera selezione editoriale. A quel punto, la CE non deve più scegliere il “miglior libro”, ma semplicemente un libro che accetti di finanziare la pubblicazione.
2. Un libro accettato solo perché “paga”
non è un libro creduto davvero
Una CE che seleziona senza rischio d’impresa è una CE che spesso si limita a “prendere tutto”, purché arrivi l’assegno. La qualità del testo, la storia, lo stile, la struttura… finiscono in secondo piano.
L’autore, però, vive l’esperienza esattamente al contrario: pensa di essere stato scelto per la qualità. In realtà, è stato scelto per il preventivo.
Questa è la prima grande illusione che voglio evitare a me stesso e a chi mi segue.
3. Il valore dell’editing professionale
Una CE tradizionale investe tempo, editor, impaginatori, grafici, ufficio stampa. L’autore non paga per questo: lo riceve perché l’editore ha deciso che il libro lo merita.
Nelle CE a pagamento spesso l’editing è minimo, o inesistente, o venduto come “extra”. E soprattutto non c’è alcun reale incentivo a farlo bene, perché gli incassi arrivano comunque.
4. La distribuzione non è quella che sembra
Molte CE a pagamento promettono “distribuzione nazionale”. La realtà? Spesso significa solo la possibilità di ordinare il libro su richiesta, non la reale presenza in libreria.
Un libro che entra davvero nelle librerie fisiche richiede un lavoro editoriale, promozionale e commerciale che nessuna CE senza rischio d’impresa può sostenere davvero.
5. Il rispetto del lettore e dell’autore
Credo profondamente che il lettore meriti libri selezionati per qualità, non per disponibilità economica dell’autore. E credo che gli autori meritino un percorso onesto, trasparente, basato sul merito.
Pubblicare deve essere un atto di coraggio, certo. Ma non dovrebbe mai essere un atto di pagamento.
6. La mia scelta: meritocrazia e professionalità
Negli ultimi mesi ho avuto la fortuna di firmare tre contratti editoriali importanti:
Bookabook
Saga Edizioni
Delos Digital
Ognuna di queste realtà ha scelto i miei testi per valore, non per un preventivo. Nessuna ha chiesto contributi economici. Nessuna ha promesso miracoli. Tutte hanno fatto ciò che un editore serio fa: valutano, selezionano, investono.
In conclusione
Le CE a pagamento non sono “il male”, e non voglio demonizzare nessuno. Ma non sono un modello in cui credo. Preferisco un percorso più lento, più difficile, ma basato sul merito: dove un libro viene scelto perché vale, e non perché l’autore può permettersi di finanziare la pubblicazione.
Dietro le quinte della revisione di Il Vangelo delle Ombre
Scrivere è evocare. Ma editare… è esorcizzare.
Nel momento in cui un romanzo viene terminato, l’autore si illude che l’opera sia finita. Ma non è che l’inizio. Come uno spirito inquieto appena evocato, il testo grezzo si agita, si contorce, si sporca di ripetizioni, incoerenze, e dettagli non necessari. È vivo, ma non è ancora “pronto”.
Ecco dove inizia l’arte oscura dell’editing.
Prima fase: L’autopsia
La prima lettura post-stesura dev’essere spietata. Nel mio caso, mentre rileggo Il Vangelo delle Ombre, evidenzio:
Ridondanze che spezzano il ritmo.
Dialoghi che possono essere resi più incisivi o realistici.
Descrizioni troppo astratte o non abbastanza sensoriali.
Temi da rafforzare in coerenza con la visione gotica generale.
A questo stadio, non correggo nulla. Mi limito a indagare il cadavere narrativo. Lo studio, lo analizzo. Lascio che mi parli.
Seconda fase: Il bisturi narrativo
Inizia poi il lavoro chirurgico:
Tagli netti di frasi che non aggiungono tensione.
Riformulazioni più forti in apertura di capitolo.
Aggiunta di “tracce sotterranee”, ovvero piccoli indizi disseminati per dare profondità alla trama e anticipare il colpo di scena.
Correzione di coerenza interna: luoghi, orari, atteggiamenti dei personaggi.
Il mio obiettivo? Non “abbellire”. Ma togliere il superfluo per lasciar emergere l’essenziale. Come uno scultore che libera la forma nascosta nel marmo.
Terza fase: L’editing è psicologia
Ogni personaggio ha una voce. L’editor (anche quando coincide con l’autore) deve entrare nella psiche di ciascuno:
Se Blackwood usa una certa forma di sarcasmo, deve farlo sempre.
Se Monroe ha un certo ritmo nei dialoghi, va rispettato.
Se un villain insinua il dubbio, lo fa in ogni scena, anche solo con uno sguardo o una pausa.
L’editing, a questo livello, diventa teatro invisibile.
Quarta fase: La lettura ad alta voce
Il passaggio più potente: leggere tutto a voce alta.
Se inciampo, c’è un problema di ritmo.
Se una frase “non suona”, vuol dire che è artificiale.
Se un paragrafo scorre troppo liscio… forse manca tensione.
Il gotico è ritmo, atmosfera, respiro. E la voce lo rivela.
Conclusione: Perché tutto questo?
Perché un libro, prima di essere pubblicato, deve passare attraverso il fuoco. L’editing non è una correzione: è un rito di purificazione. Serve a liberare il testo da ciò che non serve, per lasciar brillare ciò che conta davvero: il cuore della storia.
Ora, mentre continuo a revisionare Il Vangelo delle Ombre, so che ogni parola limata, ogni dialogo riscritto, ogni descrizione ripensata… non è tempo perso.
È parte del patto.
Stai scrivendo un libro anche tu? Stai cercando una valutazione editoriale del tuo manoscritto?
Chi pensa che basti “scrivere una frase” in un’app di intelligenza artificiale per ottenere una buona immagine, vive un’illusione. La realtà è molto diversa, soprattutto quando si ha un’estetica ben precisa da rispettare. Nel mio caso, ogni immagine che pubblico è il frutto di una precisa progettazione, di un codice visivo coerente con l’universo narrativo dell’Archivio Blackwood e delle regole grafiche che ho fissato nel tempo: gotico, realistico, atmosferico, senza toni verdi o filtri digitali innaturali. Ogni elemento conta.
La scelta dello stile: gotico Lovecraft, realistico, narrativo
Ogni immagine deve evocare un’atmosfera immersiva. Per i miei romanzi utilizzo uno stile gotico-lovecraftiano, con colori profondi, freddi, desaturati, spesso con elementi di nebbia, fumo, luce fioca, ambientazioni vittoriane (Londra, cripte, biblioteche, strade fangose) e una composizione cinematografica.
Le immagini non devono mai sembrare moderne o digitali. Odio le grafiche plasticose, cartoon, fantasy da videogioco: servono texture invecchiate, ombre naturali, superfici imperfette. Per questo, le app vanno guidate con attenzione chirurgica.
Prompt e linguaggio visuale
Creo ogni immagine a partire da prompt lunghi, dettagliati, scritti in inglese. Esempio:
“Victorian London at night, foggy street, gaslamps, dark shadows, carriages, gothic cathedral in the background, realistic style, old stone buildings, wet cobblestone, no modern elements, 19th century”
Aggiungo sempre specifiche su stile, epoca, atmosfera, palette cromatica, eliminando elementi indesiderati con frasi come: “no green filter, no blur, no cartoon, no text”.
Ogni prompt ha bisogno di almeno 4-5 tentativi per trovare il giusto equilibrio. Spesso correggo manualmente le versioni finali per uniformare luci, ombre, colori o ritoccare dettagli fuori tono.
Le app che uso: dalle AI alle rifiniture
Le piattaforme principali sono:
Leonardo AI: molto utile per le composizioni architettoniche e ambientazioni urbane complesse. Va calibrata bene per evitare distorsioni o estetica da fantasy moderno.
Midjourney: quando serve più atmosfera che dettaglio. Ottima per scene nebbiose, visioni oniriche, interni gotici.
Photoshop / Canva / Snapseed: le uso in fase di ritocco per inserire elementi manuali (come il mio LOGO ufficiale), regolare contrasto e saturazione, rimuovere errori evidenti.
Per le copertine dei libri, le immagini devono essere a 600 DPI se stampate, e in formato 7575×5400 px per Amazon. Controllo ogni dettaglio: allineamento, spaziature, centratura, posizione del logo, eventuali testi (solo se richiesti).
Il LOGO e la coerenza visiva
Ogni immagine ufficiale include il mio logo CB Claudio Bertolotti, in basso a destra. Deve essere coerente con l’immagine, ridimensionato ma ben visibile, senza mai essere invasivo. Serve a garantire l’autenticità delle immagini e costruire una firma visiva forte e riconoscibile.
La verità è che ogni immagine è progettata come una piccola scena narrativa. Deve raccontare qualcosa, evocare un dettaglio del libro, o amplificarne l’estetica. Non è un “contenuto da social”: è parte del mondo dell’Archivio Blackwood. E ogni mondo, per funzionare, ha bisogno di coerenza assoluta tra testo e immagine.
C’è un luogo, in Italia, dove l’editoria digitale ha saputo raccogliere ciò che molti consideravano disperso: voci fuori dal coro, racconti disturbanti, narrativa di genere che non chiede il permesso. Quel luogo ha un nome che gli appassionati del fantastico conoscono bene: Delos Digital.
Fondata come evoluzione naturale dell’universo narrativo di Delos Books, questa realtà editoriale ha saputo imporsi nel panorama italiano con un’offerta ricca, specializzata e sorprendentemente accessibile. Ebook agili, curati, in grado di spaziare dal thriller al dark fantasy, dall’horror alla fantascienza più visionaria.
Ma la forza di Delos Digital non è solo nella varietà di collane. È nella sua capacità di dare spazio ad autori con una voce forte, spesso spigolosa, a volte scomoda, ma sempre autentica. È l’unica casa editrice, nel suo genere, capace di pubblicare ebook seriali che costruiscono universi narrativi coerenti, come accade con le grandi collane anglosassoni. E di farlo senza snaturare l’identità dell’autore.
Per me, come autore, è un onore annunciare che una delle mie prossime opere vedrà la luce proprio all’interno di questo catalogo. Un libro che si addentra nei meandri più inquieti della mente umana. Ma per ora, non aggiungerò altro. Solo questo: restate sintonizzati.
Nel frattempo, vi invito a esplorare il mondo di Delos Digital: scoprirete antologie visionarie, saggi coraggiosi, racconti che lasciano cicatrici. Non è solo intrattenimento: è una forma di esplorazione del lato oscuro della letteratura.
Molti lettori mi chiedono quanto ci sia di vero nell’ambientazione dei miei romanzi. La risposta è semplice: tutto… e niente.
Sì, perché la Londra che incontrate tra le pagine dell’Archivio Blackwood nasce da una fusione accurata tra ricostruzione storica e immaginazione gotica. Passeggiare con Edgar Blackwood tra le nebbie di Limehouse, o attraversare i corridoi silenziosi di una casa signorile a Kensington, significa entrare in un mondo dove la documentazione e l’atmosfera si fondono senza soluzione di continuità.
Un tempo sospeso tra 1888 e l’eternità
La mia Londra è quella del 1888, ma non quella da cartolina. È una città che pulsa nel fango, nei vicoli dimenticati, nei sussurri dei quartieri dove la modernità fatica ad avanzare. Dove i lampioni rischiarano più ombre che volti, e il confine tra superstizione e verità è sottile come una lama.
Ogni luogo che descrivo esiste o potrebbe esistere. Ho letto vecchi giornali, mappe, atti ufficiali, ma anche testimonianze popolari, leggende urbane, documenti dell’epoca e lettere personali. Lì dove il documento tace, interviene l’immaginazione.
I luoghi che ritornano
Limehouse, con le sue lanterne giallastre, i moli nascosti e le voci confuse nelle bettole.
Kensington, elegante ma attraversato da silenzi troppo perfetti.
Soho, con il suo cuore doppio: mondano in superficie, inquieto nei sotterranei.
E poi le cripte, gli archivi, le chiese sconsacrate e le stanze dove il tempo sembra non passare mai.
Tutto è progettato per costruire un mondo coerente, dove ogni casa, ogni simbolo, ogni rituale ha una sua storia. Una mappa invisibile che si compone libro dopo libro.
Realtà o finzione?
La verità è che ogni elemento nasce da una domanda: e se fosse andata davvero così? È questa la forza del gotico: prendere la realtà e piegarla fino a farle sussurrare qualcosa di più oscuro, più inquietante… ma anche più profondo.
Se hai letto uno dei miei romanzi, forse ti sei già perso in questa Londra. Se non l’hai ancora fatto… i lampioni sono accesi. Ti aspetto tra le ombre.
Certe città sembrano fatte per il mistero. Londra, nel 1888, non era soltanto la metropoli più moderna del mondo: era anche un labirinto di fumo, sangue e superstizione. Una città bifronte, dove il progresso e l’oscurità camminavano a braccetto. Ecco dieci fatti storicamente verificati accaduti proprio in quell’anno, ognuno più inquietante del precedente.
1. Jack lo Squartatore firmava con lettere piene di odio
Nel 1888 la polizia ricevette diverse lettere firmate “Jack the Ripper”, ma una in particolare — la celebre “From Hell” — conteneva metà di un rene umano conservato in alcol. Il mittente sosteneva di averlo rimosso da una delle vittime. Non fu mai identificato.
2. I becchini rubavano cadaveri per venderli alle scuole mediche
Nonostante la legge del 1832, il commercio illegale di corpi restava attivo. Nel 1888 fu scoperta una rete sotterranea di “resurrezionisti” che dissotterravano salme fresche nei cimiteri di periferia.
3. L’invenzione dell’illuminazione elettrica fece esplodere l’industria degli specchi spiritici
Molti credevano che le prime lampade elettriche attirassero presenze ultraterrene. In quegli anni nacquero circoli esoterici che usavano specchi anneriti per evocare i morti, tra cui la Società degli Osservatori Notturni.
4. A Whitechapel esisteva davvero un “club del sangue”
Nei registri del 1888 si parla di un gruppo elitario chiamato Red Veil Society, che si riuniva in un bordello dismesso. I rituali prevedevano il consumo simbolico di sangue animale. La stampa lo ignorò, Scotland Yard no.
5. Gli ospedali avevano sale separate per i “posseduti”
Al London Hospital e al Bethlem Royal (il famigerato Bedlam) venivano segregati pazienti con disturbi dissociativi. Nei rapporti clinici, alcuni casi furono descritti come “infestazioni dell’anima”.
6. Un’intera famiglia scomparve a Limehouse senza lasciare traccia
I coniugi Lambert e i loro tre figli svanirono in pieno giorno. La casa fu ritrovata vuota, il tavolo apparecchiato. Nessun segno di effrazione. Nessuna spiegazione. Né allora, né oggi.
7. Una pioggia di vermi colpì Camberwell la notte del 2 novembre
Fenomeno meteorologico documentato: testimoni riferirono che il cielo notturno si oscurò, poi iniziarono a cadere vermi vivi dal nulla. I giornali locali parlarono di punizione divina. I naturalisti non seppero spiegare l’accaduto.
8. Il Club Diogenes non era solo invenzione di Conan Doyle
Una versione reale del “club per misantropi” esisteva davvero. Si trovava a Pall Mall, era frequentato da aristocratici e accademici, e i suoi membri firmavano un patto di silenzio. Letteralmente.
9. Londra aveva una fitta rete di tunnel sotto i cimiteri
In caso di epidemie future, si erano scavati tunnel sotto i camposanti per trasportare cadaveri senza passare in superficie. Alcuni vennero chiusi dopo strani “incidenti” con operai spariti nel nulla.
10. Nel 1888 fu ritrovato un libro rilegato in pelle umana
All’interno della biblioteca privata di un collezionista defunto, la polizia scoprì un tomo rilegato in dermatochiria. Conteneva trattati di stregoneria e annotazioni in latino. Il libro fu sequestrato e mai restituito.
Londra, in quell’anno, sembrava davvero il prologo di un romanzo gotico. Non stupisce che ancora oggi, per molti autori come me, sia la culla naturale dell’orrore.
Hai trovato affascinanti questi fatti storici? Scrivimi nei commenti quale ti ha inquietato di più… o quale vorresti leggere in un prossimo racconto dell’Archivio Blackwood.
Negli ultimi anni — e in particolare nell’ultimo — stiamo assistendo a un cambio di paradigma nel mondo dell’editoria italiana. Secondo dati aggiornati al 2024, l’autopubblicazione in Italia ha registrato una crescita del 6-7% rispetto all’anno precedente. Un dato tutt’altro che marginale, che evidenzia una tendenza ormai consolidata: gli autori cercano nuove strade per raccontare le proprie storie, senza più attendere i lunghi tempi, le logiche opache e le dinamiche a volte scoraggianti delle case editrici tradizionali.
Le dinamiche che stanno cambiando
Per molto tempo, pubblicare con una CE era l’unico modo per dare legittimità a un’opera. Ma oggi le cose sono cambiate. Troppe case editrici non offrono più un reale supporto all’autore:
Editing superficiale o assente.
Distribuzione limitata.
Nessun piano promozionale.
Nessuna comunicazione costante con l’autore.
Nessun investimento concreto nella costruzione di un’identità editoriale.
In molti casi, il libro viene lanciato con una semplice scheda su Amazon o IBS, magari con una copertina poco curata e senza un vero lancio. Spesso, gli stessi autori si ritrovano a dover fare tutto da soli: marketing, social media, contatti con blogger, eventi. Il tutto, senza neppure ricevere percentuali di guadagno dignitose.
L’autopubblicazione come scelta consapevole
Al contrario, l’autopubblicazione offre oggi strumenti sempre più evoluti:
Piattaforme come Amazon KDP, StreetLib, Youcanprint permettono una pubblicazione rapida, professionale e autonoma.
L’autore mantiene il pieno controllo del proprio libro, dall’impaginazione alla copertina, dai contenuti alle strategie di marketing.
È possibile creare una vera identità autoriale, coltivare una community, comunicare direttamente con i lettori e costruire nel tempo un catalogo personale di qualità.
Inoltre, l’autore guadagna di più per ogni copia venduta, e questo lo incentiva a promuovere attivamente il proprio lavoro. Il lettore, dal canto suo, percepisce spesso maggiore autenticità, e apprezza il legame diretto con chi ha scritto il libro.
Il problema delle CE che non valorizzano
Non tutte le CE sono uguali, questo è importante dirlo. Ma molte, purtroppo, funzionano ancora secondo schemi obsoleti, dove l’autore è visto come un “contenitore” da riempire e mettere in catalogo, senza una reale valorizzazione. Non c’è costruzione di brand attorno al nome dell’autore, non c’è progetto di lungo periodo, e la comunicazione spesso si ferma alla pubblicazione del libro. Il risultato? Libri invisibili, abbandonati a sé stessi dopo pochi mesi.
Verso il futuro: identità, libertà e consapevolezza
Credo che il futuro dell’editoria appartenga a chi ha una visione chiara, e il coraggio di portarla avanti. Che si tratti di autopubblicazione, crowdfunding o nuove forme ibride, il vero valore oggi risiede nella capacità dell’autore di credere nel proprio progetto.
Non si tratta più solo di “essere pubblicati”, ma di costruire qualcosa che abbia un’identità, una voce e una presenza concreta nel mondo. E chi meglio dell’autore stesso può guidare questo processo?
Ogni storia ha un inizio. Ma costruire un intero mondo… richiede molto di più.
Quando ho iniziato a scrivere Le Ombre di Whitechapel, non avevo ancora idea che stavo posando la prima pietra di qualcosa di più grande. Pensavo si trattasse di un racconto gotico, autoconclusivo, ambientato nella Londra vittoriana. Poi sono arrivati i dettagli: una pergamena scritta in latino, un culto antico, una figura enigmatica col cappotto scuro e il vizio del sigaro. Edgar Blackwood non era solo un personaggio: era una porta d’ingresso.
Un mondo che si espande… a colpi di ostinazione
La fatica di costruire un mondo narrativo non sta solo nella documentazione storica, anche se quella è fondamentale. Sta nel dare coerenza a ogni gesto, ogni parola, ogni ombra. Quando una saga si allarga, devi ricordare cosa è successo nel 1888, cosa accadrà nel 1889, e come ogni piccolo evento si ripercuote su quelli futuri.
Ho creato file, scalette, mappe mentali, cronologie interne ma spesso sono serviti solo a farmi capire che dovevo reimmaginare tutto da capo. Alcuni personaggi sono stati eliminati, altri sono morti perché così doveva andare. Blackwood ha perso compagni, ha trovato nuovi alleati, e io con lui ho perso e trovato la direzione.
Le idee scartate? Più numerose di quelle pubblicate
Ci sono interi capitoli mai scritti. Titoli accantonati. Idee che sembravano geniali e si sono rivelate vuote. Alcuni nemici non erano abbastanza potenti. Alcuni misteri non abbastanza oscuri. A volte sono stati proprio quei fallimenti a spingermi oltre.
Il Vangelo delle Ombre è nato da uno scarto. Era un frammento, un’idea gettata via… finché non ho deciso di esplorarla fino in fondo. La mia paura più grande si è trasformata nella chiave per raccontare un nuovo orrore, più profondo.
Quando arriva l’intuizione giusta
L’intuizione arriva tardi. A volte nel sonno. A volte mentre stai facendo tutt’altro. La figura del Viaggiatore, per esempio, è nata da un sogno disturbante. E quel sogno è diventato il cuore del secondo volume. Così come il personaggio di Monroe – un alleato nato quasi per caso – ha conquistato un posto fondamentale nella saga.
Blackwood stesso non doveva nemmeno essere protagonista. Ma la sua voce ha preso forza, e io ho dovuto ascoltarla.
Non è solo “scrivere una storia”. È costruire una mitologia
Ogni racconto della saga Archivio Blackwood è parte di qualcosa di più ampio. Una cronologia. Una tensione. Un mondo. Chi legge i miei libri trova riferimenti, simboli ricorrenti, nomi già uditi. Nulla è lasciato al caso, ma molto viene lasciato nel mistero, come è giusto che sia in una storia gotica.
Londra diventa un personaggio. I suoi vicoli, la sua nebbia, i suoi segreti. E ogni nuova pagina deve rispettare ciò che è stato scritto prima, ma anche osare qualcosa di nuovo.
In conclusione…
Costruire l’Archivio Blackwood è stato (ed è ancora) un lavoro duro. Fatica, ricerca, tagli, riscritture, dubbi. Ma è anche ciò che mi ha reso davvero autore. E ogni volta che un lettore mi scrive per dirmi che ha riconosciuto un simbolo o ha seguito un’indagine pagina dopo pagina… capisco che questa fatica ha senso.
Grazie per essere parte di questo viaggio nell’ombra. A lume di candela, continueremo a cercare la verità tra le pieghe del Velo.
La sofferenza non è un espediente narrativo. Non è nemmeno una punizione. È il prezzo da pagare per essere reali.
Nella mia saga L’Archivio Blackwood, ogni personaggio – che sia un detective, un sacerdote, una bambina o un assassino – attraversa il proprio inferno. Non perché io, come autore, voglia condannarli. Ma perché non credo nella salvezza senza l’ombra della caduta.
Declan O’Connor, ad esempio, non è morto per stupire il lettore. È morto perché quella era l’unica strada coerente con la sua storia, con la sua lealtà e con ciò che la sua presenza significava per Blackwood. E Blackwood stesso non è l’eroe invincibile. È il risultato di ciò che ha perso.
La sofferenza come verità
Viviamo in un’epoca in cui spesso si scrivono personaggi “giusti”, “forti”, “risolti”. Ma io credo che il dolore sia l’unico elemento narrativo in grado di dire la verità. Quando Elias Monroe sbaglia, quando Padre Quinn vacilla, quando la bambina de Il Vangelo delle Ombre pronuncia parole che non le appartengono… lì, in quei momenti, smettono di essere personaggi. Diventano persone.
La sofferenza li umanizza. Li spezza e li scolpisce. E se non soffrissero, sarebbero solo funzioni nella trama. Non anime.
Il dolore ha un prezzo. Anche per chi legge.
Chi legge i miei libri lo sa: nessuno è al sicuro. Non perché io voglia scioccare. Ma perché la vita vera non protegge chi amiamo, e quindi nemmeno la narrativa dovrebbe farlo, se vuole restare sincera. C’è chi ha pianto per la fine di un personaggio. Chi mi ha scritto di aver rivisto sé stesso in una crisi di fede. Chi ha sentito che, forse, anche lui stava lottando contro un “Viaggiatore”.
La sofferenza dei miei personaggi è un patto. Io la scrivo, tu la attraversi. Insieme ne usciamo un po’ più sporchi. Ma anche un po’ più vivi.
Soffrono. Ma non smettono di cercare la luce.
Questa è l’unica cosa che non tolgo mai. Una candela, una voce, un simbolo inciso nel legno. Un gesto piccolo, inutile forse. Ma umano.
Perché se è vero che i miei personaggi soffrono… è altrettanto vero che nessuno di loro accetta di spegnersi completamente.
Ed è in quella resistenza silenziosa che, forse, si trova l’unico spiraglio di salvezza. Per loro. E per noi che li leggiamo.