Gli oggetti del male: quando il potere è nelle mani sbagliate


Ci sono oggetti che nascono innocenti, creati per difendere, guarire o pregare.
Poi, un giorno, finiscono nelle mani sbagliate  e smettono di appartenere al mondo dei vivi.

Le croci, le reliquie, gli amuleti e gli strumenti di tortura non sono soltanto elementi del passato o simboli religiosi: nella storia dell’umanità hanno rappresentato la soglia tra fede e dominio, tra salvezza e dannazione. E nella narrativa gotica, quella soglia diventa spesso una trappola.


Croci che non proteggono

Nella saga de L’Archivio Blackwood, le croci sono un segno ambiguo: pendono dai colli dei fedeli e dei peccatori allo stesso modo.
Padre Quinn, nel Vangelo delle Ombre, impugna la croce come un’arma, ma ogni volta che la solleva lo fa con paura, come se temesse che Dio non rispondesse più.
Perché nel mondo di Blackwood non è la croce a proteggere l’uomo: è l’uomo a dare senso alla croce.
E quando la fede si spegne, resta solo il metallo freddo, incapace di distinguere il bene dal male.


Reliquie e inganni

La storia reale non è diversa.
Dal Medioevo fino all’età vittoriana, l’Europa fu invasa da reliquie, frammenti di ossa, schegge di croci, lacrime imbalsamate di santi.
Ogni reliquia era una promessa, un modo per vendere redenzione a chi non aveva più fede.
Nelle mani giuste, una reliquia è un simbolo di speranza; in quelle sbagliate, diventa uno strumento di potere.
Ed è proprio questo il nucleo oscuro di molte delle tue opere: il male non risiede nell’oggetto, ma in chi lo desidera.


Amuleti e superstizione

Nel XIX secolo, a Londra, non era raro trovare amuleti cuciti nei vestiti o nascosti nelle tasche dei defunti.
Servivano a proteggere l’anima durante il viaggio nell’aldilà, ma spesso erano oggetti intrisi di paura più che di fede.
In Il Carnefice del Silenzio, alcuni di questi amuleti riemergono dagli archivi di Scotland Yard, sporchi di sangue e di segreti: simboli cabalistici tracciati sul rame, occhi d’animale, piccoli ossi umani avvolti in nastri neri.
Ognuno racconta una storia, ognuno è il frammento di una disperazione.


Strumenti di tortura e volontà del potere

Dagli inquisitori ai medici alienisti, l’uomo ha sempre usato il dolore come metodo per conoscere, controllare, redimere.
Gli strumenti di tortura, nella storia come nella narrativa, sono la prova che la curiosità può diventare crudeltà quando si veste da scienza.

Perché a volte il male non vuole uccidere, vuole capire.


Il vero potere

Ogni oggetto maledetto nasce da un gesto umano:
Ecco perché nell’universo di Blackwood — come nella realtà — il male non è mai soprannaturale. È un’eco di ciò che abbiamo costruito noi.

Gli oggetti del male non ci scelgono.
Siamo noi a prenderli in mano, a dargli voce, e a credere che possano salvarci.


IL CARNEFICE DEL SILENZIO
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Tra Ombra e Follia: L’Alienista, la psichiatria nell’Ottocento e l’universo Blackwood

Nel panorama delle serie TV storiche a tinte oscure, “L’Alienista” si è imposto come un piccolo gioiello narrativo capace di fondere investigazione, psicologia e degrado urbano nella New York del XIX secolo. Tratta dai romanzi di Caleb Carr, la serie ci presenta il dottor Laszlo Kreizler, uno psichiatra ante litteram — anzi, un alienista, come venivano chiamati allora i medici che si occupavano di chi era “alienato dalla propria ragione”.

Con un’estetica cupa e decadente, ambientazioni gotiche e un forte impianto psicologico, “L’Alienista” dialoga perfettamente con l’universo narrativo dell’Archivio Blackwood, dove i confini tra male umano e male sovrannaturale si sfumano pericolosamente. Così come Kreizler scava nella mente dei mostri che camminano tra gli uomini, anche l’ispettore Edgar Blackwood si trova a confrontarsi con oscure verità, in bilico tra razionalità e orrore.

La psichiatria nel 1800: scienza o stregoneria borghese?

Nel XIX secolo, la nascente disciplina che oggi chiamiamo psichiatria era ancora un territorio incerto, spesso mescolato con l’occultismo, la frenologia, la teosofia e le prime teorie neurologiche. Il termine alienista nasce proprio in questo periodo, derivando dal concetto che i malati mentali fossero “alienati dalla loro natura”.

Gli alienisti erano medici, filosofi e a volte mistici. Si muovevano in istituzioni manicomiali opprimenti, tra camicie di forza, elettroshock sperimentali, ipnosi e studi sull’anatomia cerebrale. Le diagnosi erano primitive e spesso arbitrarie, ma cominciava a farsi strada l’idea che la mente potesse essere curata — o perlomeno compresa.

In Inghilterra, pionieri come John Conolly o Henry Maudsley gettarono le basi della psichiatria moderna, spesso in conflitto con la rigida morale vittoriana. Ma i manicomi dell’epoca erano anche luoghi di tortura “legalizzata”, e molti pazienti venivano internati per comportamenti ritenuti socialmente inappropriati più che per reali patologie.

Dall’Alienista a Blackwood: la follia come chiave narrativa

Nel mio ciclo narrativo gotico, in particolare in Il Vangelo delle Ombre, la psiche umana assume un ruolo centrale. I personaggi non affrontano soltanto mostri e culti oscuri, ma anche il trauma, l’allucinazione, il disturbo post-traumatico, la depressione, la possessione. In un’epoca in cui la psichiatria era una scienza incerta, la follia diventa spesso scusa o prova dell’intervento soprannaturale.

Edgar Blackwood non è un investigatore convenzionale. È tormentato, lucido e insieme sull’orlo dell’abisso. Proprio come l’Alienista, egli osserva i dettagli che sfuggono agli altri. Ma a differenza di Kreizler, Blackwood si muove in un mondo in cui il Male non si nasconde solo nella mente… ma spesso la possiede.

La Londra che racconto nei miei romanzi è sorella della New York di “L’Alienista”: entrambe città oppresse dalla nebbia, dalle grida soffocate e dalle verità non dette. In esse, la scienza medica è ancora giovane, fragile. E proprio per questo vulnerabile alle ombre.

Quando il Male veste il camice

“L’Alienista” ci ricorda che la nascita della psichiatria fu anche una lotta culturale: tra scienza e superstizione, tra etica e controllo. Nei miei romanzi, quella stessa lotta viene traslata nel gotico: chi cura la mente può scoprire l’inferno dentro di essa. E a volte… può restarne consumato.

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Alienista, manicomio gotico Londra 1800, persona con capouccio, persona forse malata di mente in ginocchio, casa di cura-ospedale sullo sfondo

L’alienista: medico della mente o custode della follia?

Quando ho cominciato a scrivere Il Vangelo delle Ombre, mi sono reso conto che, per parlare veramente del Male, dovevo parlare anche della mente.
Non del mostro fuori, ma di quello dentro.
E in una Londra del 1888, chi si occupava della mente umana era l’alienista.

Chi era davvero l’alienista?

Nel XIX secolo, la parola “alienista” derivava dal concetto di “alienazione mentale”: chi perdeva il senno era considerato alienato da sé stesso.
L’alienista era il medico incaricato di studiare, contenere — e a volte correggere — questa separazione.

Non era ancora uno psichiatra, almeno non nel senso moderno.
Era una figura ambigua, spesso chiusa tra pareti di manicomi, al confine tra il medico e il carceriere, tra lo studioso e il giudice.

E in molti casi, lui stesso viveva in bilico tra lucidità e ossessione.

Trattamento o tortura?

Nei manicomi vittoriani, “curare” poteva voler dire qualsiasi cosa:

tenere il paziente immerso per ore in vasche ghiacciate

incatenarlo al letto

costringerlo a subire il silenzio assoluto per settimane

o, al contrario, sovraccaricarlo di stimoli “per farlo crollare”

E poi c’erano gli strumenti più raffinati: ipnosi, morfina, disegni interpretativi, magnetismo.
L’alienista osservava tutto. E prendeva nota.

Nelle cartelle cliniche dell’epoca troviamo diagnosi come:

Melanconia isterica con tendenza al misticismo”
oppure
“Visioni ricorrenti legate alla colpa religiosa”

Mi è bastato leggere queste frasi per sapere che Padre Marcus Quinn e i suoi tormenti interiori non erano invenzioni. Solo traslazioni.

L’alienista nella mia narrativa

Nell’Archivio Blackwood, l’alienista non è mai un semplice medico.
È spesso il primo a sospettare il soprannaturale, ma l’ultimo ad ammetterlo.
A volte viene chiamato in causa da Scotland Yard quando il crimine è inspiegabile.
Altre volte… è lui stesso a diventare un caso. Ne Il Carnefice del Silenzio, l’alienista troverà posto per un caso molto particolare…

Ho immaginato che i dossier dell’alienista si mescolassero con i fascicoli della polizia.
Che un detective come Blackwood dovesse imparare a leggerli non come diagnosi, ma come segnali.
E che a volte — nei casi più oscuri — l’unico modo per guarire una mente…
fosse isolarla. O dimenticarla.

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