Londra 1888 – 10 fatti reali che sembrano usciti da un romanzo horror


Certe città sembrano fatte per il mistero. Londra, nel 1888, non era soltanto la metropoli più moderna del mondo: era anche un labirinto di fumo, sangue e superstizione. Una città bifronte, dove il progresso e l’oscurità camminavano a braccetto. Ecco dieci fatti storicamente verificati accaduti proprio in quell’anno, ognuno più inquietante del precedente.


1. Jack lo Squartatore firmava con lettere piene di odio

Nel 1888 la polizia ricevette diverse lettere firmate “Jack the Ripper”, ma una in particolare — la celebre “From Hell” — conteneva metà di un rene umano conservato in alcol. Il mittente sosteneva di averlo rimosso da una delle vittime. Non fu mai identificato.


2. I becchini rubavano cadaveri per venderli alle scuole mediche

Nonostante la legge del 1832, il commercio illegale di corpi restava attivo. Nel 1888 fu scoperta una rete sotterranea di “resurrezionisti” che dissotterravano salme fresche nei cimiteri di periferia.


3. L’invenzione dell’illuminazione elettrica fece esplodere l’industria degli specchi spiritici

Molti credevano che le prime lampade elettriche attirassero presenze ultraterrene. In quegli anni nacquero circoli esoterici che usavano specchi anneriti per evocare i morti, tra cui la Società degli Osservatori Notturni.


4. A Whitechapel esisteva davvero un “club del sangue”

Nei registri del 1888 si parla di un gruppo elitario chiamato Red Veil Society, che si riuniva in un bordello dismesso. I rituali prevedevano il consumo simbolico di sangue animale. La stampa lo ignorò, Scotland Yard no.


5. Gli ospedali avevano sale separate per i “posseduti”

Al London Hospital e al Bethlem Royal (il famigerato Bedlam) venivano segregati pazienti con disturbi dissociativi. Nei rapporti clinici, alcuni casi furono descritti come “infestazioni dell’anima”.


6. Un’intera famiglia scomparve a Limehouse senza lasciare traccia

I coniugi Lambert e i loro tre figli svanirono in pieno giorno. La casa fu ritrovata vuota, il tavolo apparecchiato. Nessun segno di effrazione. Nessuna spiegazione. Né allora, né oggi.


7. Una pioggia di vermi colpì Camberwell la notte del 2 novembre

Fenomeno meteorologico documentato: testimoni riferirono che il cielo notturno si oscurò, poi iniziarono a cadere vermi vivi dal nulla. I giornali locali parlarono di punizione divina. I naturalisti non seppero spiegare l’accaduto.


8. Il Club Diogenes non era solo invenzione di Conan Doyle

Una versione reale del “club per misantropi” esisteva davvero. Si trovava a Pall Mall, era frequentato da aristocratici e accademici, e i suoi membri firmavano un patto di silenzio. Letteralmente.


9. Londra aveva una fitta rete di tunnel sotto i cimiteri

In caso di epidemie future, si erano scavati tunnel sotto i camposanti per trasportare cadaveri senza passare in superficie. Alcuni vennero chiusi dopo strani “incidenti” con operai spariti nel nulla.


10. Nel 1888 fu ritrovato un libro rilegato in pelle umana

All’interno della biblioteca privata di un collezionista defunto, la polizia scoprì un tomo rilegato in dermatochiria. Conteneva trattati di stregoneria e annotazioni in latino. Il libro fu sequestrato e mai restituito.


Londra, in quell’anno, sembrava davvero il prologo di un romanzo gotico. Non stupisce che ancora oggi, per molti autori come me, sia la culla naturale dell’orrore.


Hai trovato affascinanti questi fatti storici?
Scrivimi nei commenti quale ti ha inquietato di più… o quale vorresti leggere in un prossimo racconto dell’Archivio Blackwood.


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Ed Gein: cosa ci racconta davvero la sua mente?


Psicopatologia e simbolismo tra realtà e abisso

“Non era pazzo. O almeno non nel modo in cui lo intendiamo.”
Questa è una delle frasi più inquietanti pronunciate da uno psichiatra chiamato a valutare Ed Gein, l’uomo che, con la sua follia rurale e il culto morboso per la madre, ha ispirato decine di figure dell’orrore moderno: Norman Bates, Leatherface, Buffalo Bill.

Ma al di là del sensazionalismo, chi era davvero Ed Gein?

Dissociazione e rituale

Secondo i referti psichiatrici redatti dopo il suo arresto nel 1957, Gein soffriva di schizofrenia paranoide con forti componenti dissociative. Ma ciò che colpì gli analisti non fu solo la patologia, bensì la struttura rituale che permeava ogni sua azione:

  • la scelta delle vittime
  • l’uso dei corpi per creare “oggetti” (maschere, abiti, arredi)
  • la conservazione ossessiva dei resti

Tutto in lui obbediva a una logica simbolica disturbata, non a un impulso caotico. Ed Gein non uccideva per godimento. Uccideva per ricostruire un altare alla madre. Perché lei tornasse.

La madre come centro del cosmo

Augusta Gein era tutto per lui: figura religiosa fanatica, ossessiva, manipolatrice. Le sue parole — “tutte le donne sono peccatrici” — si scolpirono nella mente del figlio come un dogma ineluttabile. Quando morì, Ed Gein restò solo con Dio e con i cadaveri.

Nel tempo, cominciò a ricostruire un mondo materno fatto di pelle, ossa, abiti ricuciti. Voleva rivestirsi della madre, diventare la madre.
In questo senso, il delitto per Gein non era fine a sé stesso, ma un mezzo per colmare un’assenza cosmica, una ferita metafisica.

Il significato profondo dell’orrore

Gein non è un semplice assassino. È un simbolo.
Un archetipo dell’uomo che, di fronte alla perdita, cerca di manipolare la morte attraverso riti, oggetti e simboli. Un uomo che, privato di identità, usa il corpo dell’altro per tentare di ritrovare sé stesso.

Nella sua follia, non c’è disordine. C’è struttura, c’è culto.
Un culto privato, oscuro, in cui la madre diventa divinità, e l’omicidio un’offerta sacra.

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Queste e altre riflessioni si trovano all’interno del mio Libro:
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Perché credo che l’autopubblicazione sarà sempre più centrale nel panorama editoriale


Negli ultimi anni — e in particolare nell’ultimo — stiamo assistendo a un cambio di paradigma nel mondo dell’editoria italiana. Secondo dati aggiornati al 2024, l’autopubblicazione in Italia ha registrato una crescita del 6-7% rispetto all’anno precedente. Un dato tutt’altro che marginale, che evidenzia una tendenza ormai consolidata: gli autori cercano nuove strade per raccontare le proprie storie, senza più attendere i lunghi tempi, le logiche opache e le dinamiche a volte scoraggianti delle case editrici tradizionali.

Le dinamiche che stanno cambiando

Per molto tempo, pubblicare con una CE era l’unico modo per dare legittimità a un’opera. Ma oggi le cose sono cambiate. Troppe case editrici non offrono più un reale supporto all’autore:

  • Editing superficiale o assente.
  • Distribuzione limitata.
  • Nessun piano promozionale.
  • Nessuna comunicazione costante con l’autore.
  • Nessun investimento concreto nella costruzione di un’identità editoriale.

In molti casi, il libro viene lanciato con una semplice scheda su Amazon o IBS, magari con una copertina poco curata e senza un vero lancio. Spesso, gli stessi autori si ritrovano a dover fare tutto da soli: marketing, social media, contatti con blogger, eventi. Il tutto, senza neppure ricevere percentuali di guadagno dignitose.

L’autopubblicazione come scelta consapevole

Al contrario, l’autopubblicazione offre oggi strumenti sempre più evoluti:

  • Piattaforme come Amazon KDP, StreetLib, Youcanprint permettono una pubblicazione rapida, professionale e autonoma.
  • L’autore mantiene il pieno controllo del proprio libro, dall’impaginazione alla copertina, dai contenuti alle strategie di marketing.
  • È possibile creare una vera identità autoriale, coltivare una community, comunicare direttamente con i lettori e costruire nel tempo un catalogo personale di qualità.

Inoltre, l’autore guadagna di più per ogni copia venduta, e questo lo incentiva a promuovere attivamente il proprio lavoro. Il lettore, dal canto suo, percepisce spesso maggiore autenticità, e apprezza il legame diretto con chi ha scritto il libro.

Il problema delle CE che non valorizzano

Non tutte le CE sono uguali, questo è importante dirlo. Ma molte, purtroppo, funzionano ancora secondo schemi obsoleti, dove l’autore è visto come un “contenitore” da riempire e mettere in catalogo, senza una reale valorizzazione.
Non c’è costruzione di brand attorno al nome dell’autore, non c’è progetto di lungo periodo, e la comunicazione spesso si ferma alla pubblicazione del libro. Il risultato? Libri invisibili, abbandonati a sé stessi dopo pochi mesi.

Verso il futuro: identità, libertà e consapevolezza

Credo che il futuro dell’editoria appartenga a chi ha una visione chiara, e il coraggio di portarla avanti. Che si tratti di autopubblicazione, crowdfunding o nuove forme ibride, il vero valore oggi risiede nella capacità dell’autore di credere nel proprio progetto.

Non si tratta più solo di “essere pubblicati”, ma di costruire qualcosa che abbia un’identità, una voce e una presenza concreta nel mondo.
E chi meglio dell’autore stesso può guidare questo processo?


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Mondi narrativi condivisi: come nasce un universo gotico coerente?


Dietro le quinte dell’Archivio Blackwood e delle future trilogie

Nel cuore di ogni saga gotica c’è un elemento invisibile, eppure fondamentale: la coerenza dell’universo narrativo.
Non basta creare atmosfere cupe, personaggi inquieti o misteri irrisolti. Serve una struttura invisibile ma solida, fatta di regole, riferimenti interni, luoghi ricorrenti e cronologie condivise.
Solo così il lettore potrà sentirsi dentro un mondo, non semplicemente davanti a una storia.

L’Archivio Blackwood: un mosaico di oscurità

Nato con Le Ombre di Whitechapel e sviluppato in Il Vangelo delle Ombre e Il Carnefice del Silenzio, l’Archivio Blackwood è molto più di una semplice trilogia.
È una rete di indagini, eventi, alleanze e segreti, distribuita su più anni, più casi e più livelli.
Ogni volume ha una sua autonomia, ma tutti contribuiscono a un quadro più ampio:

  • le apparizioni ricorrenti di determinati simboli
  • le connessioni sotterranee tra personaggi
  • gli eventi passati che tornano a tormentare il presente
  • i riferimenti a “dossier”, “documenti interdetti” e “interludi” che ampliano la narrazione

Ogni dettaglio — anche il più piccolo — viene archiviato, etichettato e ripreso al momento giusto.
Come in un vero archivio segreto.

Le nuove trilogie: espandere senza contraddirsi

L’universo si espande con nuove linee temporali, nuovi protagonisti, nuove derive del Male.
Ma la regola rimane: coerenza totale.
Ogni trilogia futura avrà una sua anima — epica, religiosa, medica, folklorica — ma resterà compatibile con l’atmosfera, lo stile e le implicazioni dell’universo Blackwood.

Ad esempio:

  • Il Sangue… (no spoiler!) esplorerà le origini del mito di Dracula, ma filtrate attraverso lo sguardo di un medico ossessionato, legato a un ordine segreto.
  • L’Abisso… sarà una spirale temporale in una casa “affamata di tempo”, con apparizioni e cronologie impazzite.
  • La Muta… tornerà indietro nel tempo per raccontare il primo caso mai affrontato da Edgar Blackwood, e i traumi che lo hanno segnato.

Il dietro le quinte: come si costruisce tutto questo?

  • Timeline centralizzata: ogni evento è collocato su una mappa temporale principale. Nulla è casuale.
  • Archivio dei personaggi: ogni figura, anche secondaria, ha una scheda evolutiva. Così può tornare (o scomparire) in modo credibile.
  • Lessico coerente: certi nomi, certi concetti, certi oggetti ricorrono. Sono le “parole chiave” di un mondo.
  • Simboli e mitologie originali: come nei miti antichi, il linguaggio del Male (e del Bene) ha codici visivi e rituali precisi. Viene creato a monte, e poi declinato nei romanzi.

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Hollowgate


Una saga gotica per ragazzi tra orfanotrofi, magia e ombre

Nel cuore di un’Inghilterra vittoriana ancora attraversata da nebbie, paure e misteri, nasce una nuova saga gotica pensata per lettori giovani ma curiosi. Hollowgate non è solo un luogo, ma una ferita, un passaggio, una promessa.

Un orfanotrofio abbandonato.
Un’antica biblioteca.
Una serie di segreti sepolti nel tempo.

Questi sono solo alcuni degli elementi che compongono il mondo di Hollowgate… primo volume di una Saga gotica per ragazzi ambientata nello stesso universo narrativo dell’Archivio Blackwood, ma con un tono più accessibile, formativo e avventuroso.

Gotico sì, ma per ragazzi

La sfida è stata proprio questa: mantenere l’atmosfera evocativa del gotico classico — nebbia, candele, antichi simboli, misteri da decifrare — ma con uno stile più fluido, personaggi giovani, relazioni forti e una magia concreta, tangibile… ma non senza conseguenze.

Ogni gesto magico ha un costo. Ogni scoperta porta con sé nuove domande.
Il sistema magico non è puro incanto: è conoscenza, sacrificio, responsabilità.

Tre protagonisti, tre chiavi

Al centro della saga ci sono tre ragazzi molto diversi tra loro, uniti da un legame che va oltre la semplice amicizia: li accomuna una perdita, ma anche una chiamata. Ciascuno di loro possiede un talento speciale e una ferita nascosta.
Il loro viaggio non sarà solo fisico, ma anche interiore.

Non c’è retorica. Non ci sono eroi perfetti.
Ci sono errori, dubbi, paure… ma anche coraggio, intelligenza, desiderio di capire e — soprattutto — di scegliere.

Un mondo narrativo interconnesso

Hollowgate è ambientato negli stessi anni e ambienti dell’Archivio Blackwood, ma può essere letto indipendentemente.
Tuttavia, chi ha già familiarità con i romanzi precedenti potrà cogliere piccoli dettagli, nomi e simboli che gettano ponti sotterranei tra le due saghe.

Un giorno, forse, i fili si incroceranno.


Se ami i libri dove la magia ha un prezzo, le biblioteche nascondono portali, e le amicizie salvano più delle profezie… benvenuto a Hollowgate.


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Un giorno nel 1888


Storia vera o invenzione? La rubrica che insinua dubbi nella nebbia

La rubrica “Un giorno nel 1888” nasce da una domanda semplice ma potente: e se ti raccontassi un fatto oscuro realmente accaduto… senza dirti se è vero o falso?

In una Londra vittoriana avvolta da fumo, pioggia e superstizione, le cronache nere erano spesso più inquietanti della narrativa. Negli archivi si nascondono notizie di bambini scomparsi, bare riesumate, sonnambuli incatenati, volti senza nome riemersi dal Tamigi. Episodi accaduti in realtà… oppure no?

Ed è proprio qui che si inserisce il cuore di questa rubrica: giocare sul confine.


Una realtà più inquietante della fantasia

Nell’autunno del 1888, la città era già piegata dal terrore per gli omicidi dello Squartatore. Ma parallelamente, i giornali riportavano storie incredibili:

  • Un becchino colto a parlare con un teschio.
  • Un ospedale che bruciò dall’interno, senza segni d’incendio esterno.
  • Un bambino ritrovato vivo in una bara da riesumazione.

Molti di questi casi sono documentati, altri sono leggenda urbana, tramandata nei sobborghi più poveri. Ma in un tempo dove la cronaca si mescolava facilmente alla superstizione, cosa può dirsi davvero falso?


Come nascono gli episodi

Ogni episodio della rubrica viene costruito partendo da:

  1. Un fatto reale (tratto da giornali, atti, diari o processi dell’epoca).
  2. Un dettaglio anomalo che rimane inspiegato nei documenti.
  3. Un innesto narrativo che lo rende ancora più inquietante, lasciando il dubbio se sia autentico o manipolato.

Il testo viene scritto in stile evocativo e gotico, volutamente ambiguo. Alla fine, viene sempre posta la domanda: “È vero o falso?”

Questo coinvolge il lettore, stimolando curiosità, interazione e ricerca personale.


Perché il 1888?

Perché è l’anno chiave della saga di Edgar Blackwood. È l’anno dello Squartatore, certo, ma anche del declino di molte illusioni vittoriane:

  • Crolla la fiducia cieca nella scienza.
  • La città esplode di contraddizioni sociali.
  • E il Male assume volti sempre più quotidiani.

“Un giorno nel 1888” non è solo una rubrica: è un progetto narrativo trasversale, che alimenta l’universo dell’Archivio Blackwood e prepara il terreno per nuovi casi, nuovi indizi e nuovi incubi.


Prossimi episodi

La rubrica continua ogni settimana sui social. A volte saranno veri, a volte falsi, a volte… semplicemente dimenticati dalla storia.

Hai già letto gli episodi precedenti? Scoprili e prova a indovinare:

👉 Archivio completo – clicca qui


Vuoi proporre una storia?
Se hai trovato un fatto oscuro dell’epoca vittoriana (o anche italiana) che merita di essere trasformato in un episodio, scrivimi nei commenti o su Facebook. Potrebbe diventare il prossimo mistero pubblicato.


“La storia è fatta di ciò che viene ricordato… ma i suoi echi più oscuri abitano ciò che è stato dimenticato.”


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Spiriti e superstizioni inglesi: cosa credevano davvero nel 1800?


In un’epoca in cui la scienza muoveva i primi passi verso la modernità, Londra era ancora un luogo di nebbia, superstizione e terrore quotidiano.

Non si trattava solo di paura dell’ignoto: nella Londra vittoriana, l’invisibile era ovunque. In ogni scricchiolio del pavimento, in ogni finestra illuminata dopo la mezzanotte, in ogni croce appesa nelle stanze dei poveri, c’era la sensazione concreta che qualcosa — o qualcuno — potesse osservare da un’altra dimensione.

La casa infestata non era un mito

Nel XIX secolo, centinaia di case londinesi erano ufficialmente considerate “infestate”, tanto da influenzare il valore degli immobili. Le cronache dell’epoca parlano di ombre nei corridoi, oggetti che si muovevano da soli e, soprattutto, “colpi alle pareti senza causa apparente”. Molti appartamenti venivano benedetti da preti o svuotati dopo notti troppo lunghe.

Alcune famiglie arrivavano a murare le stanze, pur di non sentire più le voci.

Il fazzoletto nero sullo specchio

Una delle superstizioni più diffuse riguardava gli specchi: quando qualcuno moriva in casa, lo specchio veniva coperto o voltato verso il muro. Si credeva che l’anima potesse restarvi imprigionata, oppure che l’entità della morte potesse “passare” attraverso il riflesso.

Un gesto semplice, quotidiano, ma profondamente simbolico.

Il sangue dei morti parlava

Nel folklore inglese, il sangue delle vittime di omicidio non giaceva mai in silenzio. Secondo una credenza popolare, se l’assassino si avvicinava al corpo, il sangue avrebbe “ribollito”, emettendo un suono sordo. In alcuni villaggi, questo era sufficiente per accusare qualcuno, ben prima dell’arrivo della polizia scientifica.

Candele, sali e protezioni

In molte abitazioni, venivano lasciate candele accese alle finestre per “illuminare la via ai defunti”, soprattutto in novembre. Altre famiglie spargevano sale agli angoli della casa o sotto il letto, convinte che potesse fermare spiriti erranti o entità maligne. In certi casi, si dormiva con una Bibbia sotto il cuscino o una chiave d’argento al collo.


Ancora oggi, nei romanzi gotici ambientati nell’Inghilterra ottocentesca — come L’Archivio Blackwoodqueste credenze non sono solo dettagli d’epoca: sono il cuore pulsante della paura. Perché l’orrore più potente nasce quando il passato non smette di parlare.


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La mia prima recensione ufficiale – Un nuovo inizio tra letture e condivisione


Oggi nasce qualcosa di nuovo.
Dopo anni trascorsi a scrivere, pubblicare e promuovere le mie storie, ho deciso di fare un passo ulteriore: iniziare a recensire, con sincerità e passione, i libri degli altri.

Non sarà una rubrica fissa, ma ogni tanto sento il bisogno di restituire qualcosa al mondo della lettura. Perché scrivere è un atto solitario, ma leggere è un gesto di comunità.
Ed è proprio questo spirito che mi ha spinto a pubblicare la mia prima recensione ufficiale su un libro che mi è stato gentilmente inviato da Barbara Derro.
Una lettura coinvolgente, personale, che mi ha colpito per stile, atmosfere e sincerità narrativa.

Puoi guardare/leggere la recensione video su Facebook al link qui sotto:
https://www.facebook.com/share/v/17K5vbLFK2/

E anche in formato reel su Instagram:
https://www.instagram.com/reel/DQ4UibsjRyE/?igsh=ZHUxbTZxcmtueXpv

È solo l’inizio, ma sono felice di aver aperto questa nuova porta.
Se sei un autore o un’autrice e vuoi inviarmi il tuo libro per una possibile lettura e opinione, scrivimi pure in privato: valuterò con piacere!

Grazie a chi mi segue, a chi legge, e a chi – ogni giorno – tiene viva la fiamma della narrazione.

A presto con nuove storie.
Claudio


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Nasce il Canale WhatsApp ufficiale di Claudio Bertolotti


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Come nasce un mostro: infanzia, isolamento e delirio nella mente di un assassino


Non basta un crimine efferato per creare un mostro. A volte, il mostro non nasce: si costruisce nel silenzio di una casa isolata, tra parole sussurrate all’orecchio da una madre possessiva e il lento disfacimento della realtà.

Questa è la premessa inquietante da cui prende vita il viaggio psicologico e narrativo de Il Culto della Madre – Ed Gein e l’orrore nella mente umana. Ma al di là del caso Gein, resta aperta una domanda che continua ad affascinare e inquietare lettori, criminologi e narratori: come si arriva a compiere l’orrore?

Il mostro non nasce: si plasma

Ogni serial killer ha una storia. Ma non tutte le storie portano al sangue.

Nel caso di Ed Gein, l’origine del male sembra annidarsi in un ambiente familiare chiuso, claustrofobico, dove la religione veniva usata come strumento di colpa e controllo, e dove il mondo esterno era considerato impuro. È l’infanzia il terreno fertile in cui attecchisce la radice del delirio: quando il legame con la madre diventa assoluto, totalizzante, insostituibile.

Il bambino Ed cresce in un mondo dove tutto è peccato, tranne la devozione a colei che ha il potere di benedire o maledire. Un mondo in cui le emozioni vengono represse, la sessualità demonizzata, la libertà annientata.

Isolamento e rimozione

La fattoria dei Gein non è solo un luogo fisico, ma una prigione mentale. Il progressivo isolamento da tutto e da tutti genera una frattura interiore. La realtà diventa elastica, sostituibile. La morte non è più un limite, ma un’interruzione temporanea del legame.

È così che, nel tempo, la mente può arrivare a colmare l’assenza con il rituale, il delirio, la ricostruzione dell’amato perduto. Non per sadismo, non per crudeltà, ma per necessità simbolica.

Il delirio come unico linguaggio

Ciò che per l’osservatore è follia, per chi la vive può diventare coerenza. Nel caso di Gein, il culto della madre si trasforma in azione concreta: non per uccidere, ma per “riportare ordine” nella propria visione distorta del mondo.

Questo meccanismo di rielaborazione patologica della perdita, unito a disturbi psicotici gravi e all’assenza di qualsiasi rete sociale o affettiva, porta alla costruzione del “mostro” che la cronaca ha reso famoso. Ma il vero orrore non è nel sangue: è nella logica contorta ma perfetta che guida la sua mente.

Una domanda senza risposta

Alla fine, resta l’interrogativo che accompagna ogni lettura di true crime: può succedere ancora? E può succedere ovunque?
Finché esisteranno solitudini, silenzi e infanzie negate, forse sì.

Il Culto della Madre non offre risposte, ma accompagna il lettore in un viaggio disturbante dove l’orrore non è solo nel crimine… ma nel contesto che lo ha generato.


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