Jack lo Squartatore: i dettagli meno noti del caso che terrorizzò Londra

Londra, 1888. Tra le nebbie di Whitechapel e i vicoli oscuri dell’East End, un’ombra affilata come un bisturi seminava terrore, morte e mistero. Jack lo Squartatore è il nome che tutti conoscono, ma non tutti sanno quanto fossero intricati – e spesso contraddittori – i dettagli che emersero nel cuore delle indagini.

Le lettere: scherzi macabri o messaggi autentici?

Durante i mesi degli omicidi, decine di lettere furono recapitate a Scotland Yard e ai giornali. Alcune firmate “Jack the Ripper”, altre con toni ironici, blasfemi o deliranti. Tra tutte, la più celebre fu la “Dear Boss”, in cui il presunto assassino annunciava nuove uccisioni. Ma gli storici ritengono che la maggior parte fossero false, scritte da mitomani o giornalisti in cerca di clamore.

Eppure, una in particolare – la cosiddetta “From Hell”, recapitata con metà di un rene umano – rimane ancora oggi un inquietante mistero.

I sospetti insospettabili

Molti dei principali sospetti erano figure insospettabili: medici, nobili decaduti, artisti. Alcuni nomi erano coperti da protezione istituzionale, alimentando teorie su insabbiamenti e coperture. Un sospetto ricorrente fu il pittore Walter Sickert; un altro, il medico Montague Druitt, morto suicida poche settimane dopo l’ultimo omicidio.

E poi c’era chi accusava personaggi del mondo ecclesiastico, o membri della famiglia reale. Ma senza prove, tutto rimase avvolto nel silenzio.

Gli errori della polizia

La polizia dell’epoca era mal equipaggiata per affrontare un serial killer. Nessun profilo psicologico, nessuna banca dati, poche fotografie. La scena del crimine veniva contaminata, i testimoni lasciati andare senza registrazione formale, e i quartieri venivano pattugliati solo dopo che il sangue era già stato versato.

Uno degli indizi più clamorosi – una scritta su un muro accanto a un grembiule insanguinato – fu cancellato d’urgenza per non “offendere la comunità ebraica”, privando l’indagine di una possibile traccia fondamentale.


Un caso aperto anche per la narrativa

Jack lo Squartatore è ormai un’icona del Male nella cultura moderna, ma fu anche – e soprattutto – il simbolo di una Londra che aveva paura del proprio lato oscuro. Ed è proprio in questo solco che si inserisce l’universo dell’Archivio Blackwood.

Chi ama l’atmosfera cupa, i misteri non risolti e i dossier sepolti nei sotterranei di Scotland Yard, troverà nelle pagine de Le Ombre di Whitechapel un riflesso inquietante di quella storia. Un omaggio narrativo che profuma di sangue, nebbia e segreti non ancora svelati. Anche se, in questo volume, Jack lo Squartatore non compare.

Il fascino delle lettere perdute: perché amo inserire documenti nei miei romanzi

C’è qualcosa di magnetico in una lettera dimenticata, in una pagina ingiallita nascosta tra le pieghe del tempo. Nei romanzi dell’Archivio Blackwood, non è raro imbattersi in una corrispondenza segreta, in appunti logori o in simboli annotati in fretta, con la paura di essere scoperti. Non si tratta solo di espedienti narrativi: sono ponti verso un passato che torna a vivere.

Quando ho iniziato a scrivere Le Ombre di Whitechapel, ho capito subito che non volevo una narrazione lineare. Volevo stratificare il mistero, lasciare che i lettori scoprissero la verità un frammento alla volta, proprio come fa Blackwood. Le lettere, i diari, le pagine strappate da manoscritti proibiti servono a costruire un mondo che sembra respirare da solo, dove il lettore si trasforma in investigatore.

Ne Il Vangelo delle Ombre, i documenti sparsi diventano ancora più centrali. Ci sono confessioni scritte con la mano tremante, pagine in latino macchiate di cera, disegni inquietanti. Non sono solo “pezzi di trama”. Sono voci. Echi. Tracce che raccontano più di quanto possano fare le azioni. In alcuni casi, quei documenti dicono verità che i personaggi non ammetterebbero mai ad alta voce.

Il mio obiettivo è semplice: far sì che ogni lettore senta di tenere tra le mani un frammento di storia maledetta. Come se ogni pagina potesse celare un enigma, un avvertimento, o il testamento di chi non ha mai potuto raccontare la verità. Perché in fondo, anche le ombre hanno una memoria. Basta saperla leggere.


La solitudine degli investigatori: Blackwood e la sua lotta interiore

Chi ha letto i romanzi dell’Archivio Blackwood sa che Edgar non è il classico detective infallibile. Sotto il cappello logoro e il mantello scuro si nasconde un uomo tormentato, segnato dalle perdite, dai dubbi e da una persistente solitudine.

Blackwood è un uomo che ha perso molto. L’amico Declan O’Connor, i legami familiari, la fiducia in un mondo razionale. Insegue il Male, ma sa di non poterlo mai estirpare del tutto. Eppure non si ferma. Non può farlo.

In Il Vangelo delle Ombre, questo lato emerge con più forza. Lo vediamo isolarsi, dubitare persino di chi gli è vicino. Non perché non voglia legami, ma perché sa che chi si avvicina a lui rischia di essere inghiottito dalle stesse tenebre che lui combatte ogni giorno.

Questa solitudine non è debolezza. È un peso che sceglie di portare, una forma di sacrificio. E in questo, credo, risiede la sua umanità. Blackwood non è un eroe. È un uomo che continua a cercare risposte, anche quando sa che potrebbero distruggerlo. E forse è proprio per questo che continuiamo a seguirlo. Perché nella sua lotta, rivediamo un po’ anche la nostra.

Un passo in più: il viaggio con Bookabook sta per cominciare

Come vi ho annunciato ieri, ho firmato ufficialmente con la casa editrice bookabook.
Oggi voglio solo ribadirlo con forza: non vedo l’ora di cominciare davvero.

Si tratta di un progetto editoriale diverso, coraggioso, basato sulla partecipazione dei lettori. A breve partirà la campagna di crowdfunding, e saranno necessari 200 preordini per poter stampare il libro e distribuirlo nelle librerie italiane.

Per questo avrò bisogno di tutto il vostro supporto.
Chi mi ha seguito fino a qui, chi ha letto Le Ombre di Whitechapel, chi si è addentrato ne Il Vangelo delle Ombre, ora può aiutare queste storie (Il Vangelo delle Ombre, nello specifico) a fare il salto che meritano.

Sono profondamente motivato.
Questo è un nuovo capitolo, una nuova soglia da attraversare. E come sempre, non sarà Blackwood ad attraversarla da solo.

Vi aggiornerò non appena la campagna sarà online.
Nel frattempo… grazie. Per esserci. Per restare. Per credere.

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@autoreclaudiobertolotti | @archivio_blackwood

Lettere perdute, voci ritrovate: il potere degli scritti nell’Archivio Blackwood

C’è qualcosa di eternamente inquietante nei messaggi scritti a mano. Un’ombra lasciata dall’inchiostro, una parola cancellata, una firma che sembra tremare: ogni lettera, ogni appunto, ogni diario racchiude una voce. E nell’universo dell’Archivio Blackwood, queste voci non tacciono mai.

Ne Le Ombre di Whitechapel e ne Il Vangelo delle Ombre, le parole scritte diventano testimoni muti di eventi oscuri. Frammenti di diario, annotazioni marginali, missive sbiadite: sono questi a guidare l’ispettore Blackwood nella sua indagine attraverso il tempo, la nebbia e la memoria.

Le lettere non sono solo indizi, ma strumenti di evocazione. Portano con sé il peso di ciò che è stato taciuto, la tensione di ciò che sta per accadere. In un mondo dove l’occulto si nasconde tra le pieghe della realtà, la parola scritta assume una forza sacrale, quasi rituale.

Ogni foglio sgualcito, ogni passaggio sottolineato, ogni simbolo tracciato su un bordo è un ponte tra vivi e morti, tra colpevoli e innocenti, tra il razionale e l’ignoto.

Scrivere significa, in fondo, tentare di fermare l’oblio. Nell’universo di Blackwood, però, non tutto ciò che viene scritto è destinato a rimanere silenzioso. Alcuni messaggi, una volta letti, non possono più essere dimenticati.

Vuoi vedere con i tuoi occhi gli scritti dell’Archivio?
Scopri i romanzi:

Le Ombre di Whitechapel
Cartaceo
eBook

Il Vangelo delle Ombre
eBook

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Una lettera antica scritta a mano, appoggiata su una scrivania in legno, accanto a una candela accesa e a una lente d’ingrandimento. Atmosfera gotica e silenziosa, in stile vittoriano.

Una nuova avventura per l’Archivio Blackwood

Con grande emozione vi annuncio che da oggi Il Vangelo delle Ombre e L’Archivio Blackwood – Volume I: Le Origini non saranno più disponibili in versione cartacea su Amazon.

Questo perché inizia per me un nuovo percorso editoriale: una collaborazione con la casa editrice bookabook, una realtà che promuove libri attraverso il sostegno diretto dei lettori, grazie a un sistema di crowdfunding culturale.

Cosa significa?

A breve partirà una campagna ufficiale durante la quale sarà possibile preordinare il libro.

L’obiettivo da raggiungere è di almeno 200 copie preordinate. Se verrà raggiunto, il romanzo sarà pubblicato e distribuito nelle librerie di tutta Italia.

Perché questa scelta?

Perché credo nella forza del progetto Blackwood.

Perché voglio dare a questa storia, ai suoi misteri, ai suoi simboli, ai suoi personaggi… una casa più ampia. Un orizzonte più grande.

E perché molti di voi, in questi mesi, mi hanno chiesto se un giorno mi avrebbero trovato in libreria.

La risposta è: ora può accadere davvero.

Quando la campagna partirà, vi aggiornerò con tutti i dettagli. E, se vorrete essere parte di questa avventura, il vostro supporto sarà fondamentale.

Grazie per essere arrivati fin qui.

Il Viaggiatore dell’Ombra non è l’unico a lasciare tracce.

Blackwood è tornato. E non è più solo.

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Progetto con casa editrice BookaBook, uomo di spalle, londra gotica

Dietro la copertina: come nasce l’estetica di Blackwood

Ogni storia ha un volto. E per L’Archivio Blackwood, quel volto è fatto di nebbia, ombre e silenzi.
Molti lettori mi hanno chiesto com’è nata la copertina del primo volume, quali scelte ci sono state dietro e cosa rappresentano davvero le immagini e i colori. Questo articolo vuole raccontarvelo — senza filtri, ma con tutta la cura che merita un lavoro gotico e visivo come il mio.

Niente verde, niente filtri digitali

Fin dall’inizio ho stabilito alcune regole inderogabili per lo stile visivo:

No ai toni verdi, spesso associati a filtri digitali freddi e artificiali.

No alla grafica piatta o digitale eccessiva: l’atmosfera doveva essere tangibile, quasi materica.

Sì a una palette profonda, naturale, con colori realistici e ombre pesanti.

L’obiettivo era creare copertine che sembrassero uscite da un archivio polveroso dell’epoca vittoriana, non da un software di grafica moderno. Le immagini dovevano avere anima — e imperfezione.

La figura di spalle, sotto il lampione

Nella copertina di “Le Ombre di Whitechapel” e de “Il Vangelo delle Ombre”, la figura maschile di spalle — probabilmente Edgar Blackwood stesso — non mostra mai il volto.
Perché?
Perché il mistero non si rivela mai tutto. E perché il lettore deve avere lo spazio per proiettare se stesso nell’indagine. La luce del lampione, unica fonte in mezzo alla nebbia, rappresenta l’intuizione, la verità che tenta di farsi largo nel buio.

Brossura o copertina rigida? Due anime dello stesso libro

La versione in brossura è sobria, elegante, perfetta per chi ama leggere ovunque.
La copertina rigida, invece, è un oggetto da collezione. La prima tiratura, arrivata in questi giorni, aveva un piccolo difetto sul bordo, ma il risultato estetico è stato sorprendente: sembrava un diario maledetto ritrovato in una biblioteca dimenticata.

Quella versione rischia di diventare rarissima: presto, con l’avvio di una nuova strada editoriale, potrei dover sospendere la produzione indipendente di questi formati.

Un libro che deve anche farsi guardare

Credo che una copertina non debba solo “piacere”. Deve evocare. Deve fare domande, non dare risposte.
L’Archivio Blackwood non è solo una saga gotica: è un viaggio tra ombre, colpe e verità sepolte. E ogni immagine, ogni sfumatura della copertina, vuole suggerirlo senza mai gridarlo.

Se non avete ancora tra le mani una copia, ecco i link diretti:

Brossura:
Copertina rigida:

A presto con nuovi dossier, nuove immagini e forsenuovi segreti dall’Archivio.
Restate nell’ombra.
– Claudio Bertolotti

Dietro la nebbia: perché ambientare tutto nel 1888

Nel cuore della Londra vittoriana, l’anno 1888 non è soltanto una data: è un simbolo. Una ferita aperta nel tessuto della Storia, un’epoca sospesa tra rivoluzione industriale, superstizione e tenebra. L’Archivio Blackwood nasce proprio lì, tra le ombre fitte di vicoli nebbiosi e il crepitio dei lampioni a gas.

Ma perché scegliere proprio il 1888 come sfondo narrativo?

Un’epoca sull’orlo del collasso

La fine dell’Ottocento è un periodo di transizione brutale. La scienza avanza, la medicina evolve, la psicanalisi muove i primi passi. Eppure, accanto ai laboratori e agli ospedali, resistono ancora gli esorcisti, le sette, le credenze popolari. È un’epoca in bilico: perfetta per far emergere il dubbio, il mistero, l’ignoto.

Il 1888 è l’anno in cui le strade di Whitechapel si macchiano del sangue lasciato da Jack lo Squartatore. È l’anno del terrore, della stampa sensazionalista, della paura che entra in ogni casa. Ambientare Il Vangelo delle Ombre e Le Ombre di Whitechapel in questo preciso momento storico permette di esplorare un’umanità lacerata, pronta a credere all’oscurità perché ha perso fiducia nella luce.

La Londra del crimine

Un mondo in cui tutto è possibile

La Londra del 1888 è un palcoscenico perfetto per il gotico: nebbia, pioggia, carrozze cigolanti, orfanotrofi dimenticati, chiese in rovina e case infestate dai ricordi. Un mondo dove ogni rumore è un presagio e ogni simbolo inciso nel muro può essere l’inizio di un rituale antico.

Una scelta narrativa, ma anche atmosferica

La scelta dell’epoca non è solo un omaggio al gotico classico. È un modo per immergere il lettore in un tempo che sa di polvere, incenso e pioggia. Ogni elemento – dal linguaggio alle indagini – nasce da questo contesto, rendendo le vicende di Edgar Blackwood più autentiche e inevitabili.

L’Archivio Blackwood non racconta semplicemente una storia ambientata nel passato. Costruisce un mondo che, pur ancorato alla realtà storica, ha le porte aperte sull’Altrove.

Se vuoi perderti in quella Londra, i due volumi sono disponibili su Amazon.
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Un uomo visto di spalle cammina in una via nebbiosa della Londra del 1888, illuminata da lampioni a gas. Davanti a lui, una chiesa gotica svetta tra la nebbia. Atmosfera oscura, realistica e vittoriana.

Lettere dall’Archivio – La voce dell’ombra

A volte scrivo non per ricordare, ma per non impazzire.”
— annotazione marginale, archivio privato dell’Ispettore Blackwood

Tra le pagine consumate dall’inchiostro e dal silenzio, esiste un archivio che nessun protocollo riconosce, nessuna procedura ufficiale contempla.
È lì che Edgar Blackwood affida ciò che non può essere detto, ciò che resta quando l’indagine si ferma e i fantasmi rimangono.

Un diario. Una lettera mai spedita. Una frase scritta di notte sul retro di un biglietto d’indagine.

L’Archivio Blackwood non è solo una raccolta di casi. È anche un luogo interiore, fatto di tracce, sospetti, sogni, rimorsi e segreti. Non tutto ciò che viene scoperto può essere spiegato. Non tutto ciò che si combatte ha un nome.

Un frammento (inedito):

Questa notte ho sentito tre passi sulle scale. Il pavimento della canonica era freddo, eppure mi sembrava di percepire un respiro nell’aria, come se qualcosa trattenesse fiato.
Ho acceso la candela, ma nessuno era lì.
Soltanto un segno tracciato sul muro. Lo stesso che trovammo a Limehouse. Lo stesso che Declan disegnava senza accorgersene, nei suoi appunti.
Mi sto perdendo, oppure mi stanno osservando.”

Queste note, frammenti non ordinati, costituiscono una dimensione parallela ai romanzi: non raccontano i fatti, ma l’inquietudine. Non chiariscono i casi, ma lasciano filtrare le crepe dell’uomo dietro l’ispettore.

Per ora restano inedite, come una corrente sotterranea che attraversa la saga.
Ma forse, un giorno, emergeranno alla luce.
Con le loro macchie, le contraddizioni, e il peso dell’oscurità.

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Una lettera antica scritta a mano su un tavolo in legno scuro, con macchie d'inchiostro, cera colata e ombre profonde. Atmosfera gotica, come un frammento dal diario dell’ispettore Blackwood.

Memorie dall’Ombra – Il diario segreto dell’Ispettore Blackwood

Ci sono storie che si raccontano tra le righe.
E altre, più oscure, che non vengono mai scritte davvero.

Chi conosce L’Archivio Blackwood sa che ogni caso è molto più di un’indagine: è una discesa nel cuore dell’oscurità, un confronto con i limiti della ragione e la presenza costante dell’invisibile. Ma cosa accade dietro le indagini? Cosa pensa davvero Edgar Blackwood nei momenti in cui nessuno lo osserva?

Ecco dove nasce l’idea del diario segreto dell’Ispettore.

Un taccuino immaginario – eppure fin troppo reale – in cui l’ispettore annota appunti, riflessioni, simboli, lettere mai spedite, deduzioni incomplete. Un vero e proprio dossier privato dell’anima. Non ci sono resoconti ufficiali, né testimonianze da verbale: solo ciò che resta quando cala il silenzio, e la nebbia avvolge anche il pensiero.

Nel diario non si troveranno spiegazioni o rivelazioni dirette. Ma si percepisce l’usura della mente, il peso dei casi irrisolti, l’eco delle voci che tornano a tormentarlo. Ed è proprio questa la forza del progetto: uno spazio narrativo che espande l’universo di Blackwood senza anticipare nulla, ma che dona profondità e intimità a ciò che è già stato raccontato.

Per il momento, queste pagine restano inedite, custodite nell’ombra.
Ma un giorno, forse, saranno parte di qualcosa di più grande.
E allora il lettore potrà entrare davvero nell’abisso con lui.
Con un sigaro tra le dita, e la coscienza più pesante di quanto vorrebbe.

Un diario antico aperto su un tavolo in legno, circondato da ombre, cera colata e penna d’oca. Atmosfera gotica e misteriosa, come se appartenesse all’ispettore Blackwood.