Chi scrive gotico lo sa: non basta un’idea. Serve un’ombra. Un dettaglio sfuocato. Un’immagine che inquieta senza spiegare.
Nel mio processo creativo, la fotografia è una delle prime scintille che accendono la fiamma. Ma non parlo delle immagini moderne e patinate: il mio archivio è fatto di dagherrotipi, ritratti sgranati, lastre annerite dal tempo. Sono volti che non guardano più, stanze che sembrano aver trattenuto qualcosa.
La forza del dettaglio disturbante
Un guanto lasciato su un tavolo.
Un diario aperto con l’ultima parola strappata.
Una bambola impolverata seduta in un angolo.
Non c’è bisogno di mostrare il mostro: l’atmosfera gotica nasce nel non detto, nel fuori campo visivo. È lì che si insinua la paura.
Molti dei racconti dell’Archivio Blackwood nascono proprio da una fotografia malata di tempo. Le immagini che condivido sui miei profili Instagram sono lo specchio di quel mondo: realistico, ma sfalsato. Storico, ma fittizio. Gotico, ma credibile.
Ispirazioni visive ricorrenti
Cimiteri avvolti nella nebbia
Vicoli ciechi con impronte nel fango
Lanterna accesa accanto a una lapide
Interni vittoriani con oggetti rituali
Statue angeliche corrose e segnate
Ogni immagine non è solo estetica: è parte del racconto. A volte anticipa una scena, a volte ne è il residuo. E altre volte… è tutto ciò che resta.
Scrivere per immagini
Oggi più che mai, anche la letteratura si fa visiva. Ma non si tratta di “semplificare”. Si tratta di evocare.
Un’immagine può dire molto più di una sinossi. Può attirare il lettore giusto. Può insinuare un dubbio, una domanda, una suggestione.
E allora sì, continuerò a scrivere. Ma anche a fotografare l’ombra, ogni volta che passa.
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