In un’epoca in cui l’attenzione è frammentata e i ritmi frenetici lasciano poco spazio alla contemplazione, i racconti brevi tornano ad avere una potenza narrativa straordinaria. Ma non si tratta solo di forma. Quando si sceglie lo stile gotico, e soprattutto si guarda a un maestro come Edgar Allan Poe, l’obiettivo diventa qualcosa di più profondo: sondare gli abissi dell’animo umano, tra follia, mistero e verità inconfessabili.
Scrivere una raccolta di racconti brevi gotici oggi è un atto di resistenza e memoria. È un modo per rendere omaggio a una tradizione letteraria oscura ma raffinata, fatta di simbolismi, ambientazioni claustrofobiche, case decadenti, orrori psicologici e presenze impalpabili. Ma è anche un laboratorio creativo: ogni racconto è un microcosmo, una lente deformante attraverso cui esplorare le mille sfaccettature dell’ignoto.
Lo stile alla Poe non si limita a narrare l’orrore. Lo seziona, lo rende razionale, lo osserva con lucidità clinica. La mente del protagonista spesso coincide con quella del lettore, trascinandolo in un vortice di dubbi e percezioni distorte. In questa forma breve, la tensione non si diluisce: si comprime, si concentra, esplode.
Scegliere la forma del racconto breve gotico, oggi, significa offrire al lettore un’esperienza intensa, densa, disturbante. È un invito a leggere con lentezza, ad ascoltare il silenzio fra le righe, a temere ciò che non viene detto. In ogni pagina, un’eco del passato. In ogni storia, un interrogativo che resta sospeso.
Ecco perché scriverne ancora. Perché il gotico non muore mai: cambia forma, ma continua a sussurrare dietro le porte chiuse della nostra coscienza.
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