Quando il sacro si spezza: le croci rovesciate nell’immaginario gotico

C’è un’immagine ricorrente nei miei romanzi.
Non è un mostro, né un omicidio. È qualcosa di più sottile, più disturbante.
Una croce rovesciata su una parete scrostata, in una canonica dimenticata o sopra un letto vuoto.
E ogni volta che la descrivo, so di toccare un nervo scoperto del lettore. Perché quella croce non urla. Non sanguina. Ma parla. E quello che dice… non è rassicurante.

Una storia più antica del Male stesso

Paradossalmente, la croce rovesciata non nasce come simbolo blasfemo.
Nella tradizione cristiana antica, era il simbolo di San Pietro, che — secondo la leggenda — chiese di essere crocifisso a testa in giù, ritenendosi indegno di morire come Cristo.

Ma come spesso accade, i simboli vengono risucchiati dalla paura.
Nel tempo, quella croce capovolta è diventata il marchio dell’opposto: del sacrilego, dell’occulto, del profanato.
Un gesto semplice — ribaltare l’orientamento di una fede — è diventato una dichiarazione: qui Dio non protegge.

Nelle mie storie: un segno silenzioso ma definitivo

In Il Vangelo delle Ombre, nelle canoniche, negli orfanotrofi, sulle pareti delle camere da letto… le croci rovesciate compaiono come segni lasciati da chi ha abbandonato la luce, o da qualcosa che ha reclamato quel luogo.

Non sono mai “decorazione” o shock visivo.
Sono l’annuncio che qualcosa è stato interrotto.
Una fede, una protezione, un equilibrio.

Scrivere con un simbolo

Mi affascina molto l’idea che basti un piccolo gesto — ruotare un oggetto — per cambiare la sua natura.
Nel gotico, questo è potentissimo.
Prendi qualcosa di familiare e lo pieghi. Lo neghi. Lo distorci.
E il lettore lo sente, lo intuisce, prima ancora che lo capisca.

Quando descrivo una croce rovesciata non sto solo mostrando un luogo maledetto.
Sto dicendo: qualcuno ha sfidato Dio qui dentro.

E forse ha vinto.

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