Personaggi spezzati: i tormenti interiori nella saga Blackwood

In ogni storia che scrivo, cerco la verità. Ma non quella rassicurante dei tribunali o dei dogmi. Mi interessa la verità che abita nei frammenti, nei vuoti, nei dolori non detti. Per questo, l’Archivio Blackwood non è solo un luogo di indagini: è un teatro dell’anima. Ogni personaggio che vi entra — Edgar, Declan, Monroe, padre Quinn — porta dentro una ferita che lo definisce.

Edgar Blackwood: la logica contro l’abisso

Blackwood è razionale, freddo, metodico. Ma questa non è forza: è una corazza. Dentro, Edgar ha paura. Paura di perdere il controllo, di affrontare ciò che la ragione non riesce a spiegare. Dopo Declan, dopo ogni sconfitta, ogni nuova indagine lo scava più a fondo.
Scrivendolo, mi accorgo che il suo vero nemico è l’idea di diventare simile a ciò che combatte.

Declan O’Connor: l’uomo che credeva ancora

Declan era diverso. Nonostante il buio che lo circondava, manteneva una fiducia profonda nell’amicizia, nella lealtà, nella giustizia. Ma questo lo ha reso vulnerabile.
Declan è morto non perché fosse debole, ma perché era umano in un mondo che punisce la luce. La sua assenza, ancora adesso, pesa su ogni riga che scrivo.

Monroe: la rabbia come scudo

Elias Monroe è giovane, impulsivo, con un’ironia ruvida che usa per difendersi dal dolore. È leale, ma ha paura di mostrare cosa sente davvero.
Nel terzo volume, Il Carnefice del Silenzio, vedrete un Monroe più profondo, a tratti spaesato, che comincia a rendersi conto che non tutto si risolve con una battuta o con la pistola in pugno.

Padre Marcus Quinn: la fede ferita

Quinn è stato per me un personaggio difficile. Un prete che ha visto troppo, che ha perso la purezza della sua vocazione ma continua a combattere.
La sua fede è diventata dolore, ostinazione, bisogno di redenzione. Quando ha deciso di tornare in azione, sapeva di andare incontro alla morte. Eppure, ha scelto di farlo lo stesso.
Perché per chi ha conosciuto il Male, la salvezza non è più personale: è missione.


Perché scrivo personaggi così?

Perché credo che il vero orrore non venga dai mostri, ma da ciò che ci portiamo dentro. L’oscurità esterna — vampiri, possessioni, culti — è solo il riflesso dell’oscurità che i miei personaggi cercano di contenere.
E a volte, non ci riescono.


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