Una lettera mai inviata

Dal fondo di un dossier impolverato, è riemersa una lettera che non fu mai spedita. Non è firmata, né datata, ma il tono e la calligrafia appartengono a Edgar Blackwood. Destinatario: Declan O’Connor. Contenuto: una confessione.

Declan,

scrivere il tuo nome è come scalfire il ghiaccio con le dita nude. Fa male.
Non perché non voglia ricordarti, ma perché ogni sillaba che ti riguarda sembra ferire la pelle più sottile che mi resta: quella dell’anima, quella della colpa.

Ti sei sempre fatto carico del peso degli altri. Hai scherzato anche nel fango, hai stretto mani che io non avrei mai toccato, hai seguito la mia ombra nei vicoli peggiori di Londra senza chiedermi mai “perché”.
E io, maledetto me, ti ho lasciato fare. Ti ho tenuto accanto come si tiene una lanterna accesa in un corridoio buio: non per affetto, ma per non inciampare. E ora, senza di te, ogni passo è un colpo secco contro il pavimento.

Non c’eri alla mia destra quando ho aperto il fascicolo successivo. Non c’eri a stringere il sigaro tra le dita, a borbottare che “questo caso puzza peggio del Tamigi”. Non c’eri, ed è lì che ho capito quanto fossi necessario.
Non per il lavoro.
Per me.

Mi è rimasta la tua voce nelle orecchie. Il tuo modo di chiamarmi, con quel tono che non era né rispetto né scherno, ma una via di mezzo perfetta che solo tu sapevi usare.
Mi è rimasto il tuo sangue sulle mani, e non riesco a lavarlo. Non ancora.

Ti prometto una cosa, vecchio amico: non dimenticherò.
E non perdonerò.
Il Viaggiatore pagherà.

Con o senza Dio, con o senza redenzione, verrà il momento in cui la tua morte sarà vendicata.
E allora potrai finalmente riposare.

E io forse… respirare.

— E.B.

Lascia un commento