Il Viaggiatore: specchio o abisso?

Riflessioni su un’entità che non si fa vedere… ma lascia tracce ovunque

Non ha un volto.
Non ha una voce.

Eppure, nel mondo dell’Archivio Blackwood, il Viaggiatore è una presenza che inquieta, deforma, attraversa.

Non si manifesta con apparizioni plateali.
Non lascia dietro di sé sangue o urla — lascia silenzio, sogni disturbati, parole scritte da mani che non ricordano di aver scritto.
E forse, proprio per questo, è ancora più pericoloso.

Non è un demone. È una forma

Chi cerca di catalogarlo cade subito in errore.
Il Viaggiatore non è una “figura malvagia” nel senso classico.
Non ha uno scopo lineare, non vuole distruggere il mondo.
È qualcosa che attraversa: corpi, luoghi, epoche, ordini religiosi, simboli liturgici corrotti.
È movimento senza pace.
Come una preghiera interrotta che continua a risuonare.

Specchio dell’umano

Ma ciò che lo rende più inquietante è che non viene da fuori.
Non arriva “da un altro mondo” nel senso tradizionale.
Il Viaggiatore si nutre di ciò che già esiste nel nostro.
Del dolore non espresso.
Della colpa non confessata.

Del silenzio rituale usato come scudo.
È un riflesso. Uno specchio.
E guardarlo troppo a lungo significa rischiare di vedere se stessi, ma privati di ogni maschera.

Abisso narrativo

Dal punto di vista della scrittura, il Viaggiatore è un “non-personaggio” che però plasma tutto.
La sua forza narrativa sta nella sottrazione: non compare, ma lascia segni.
Simboli. Sussurri. Distorsioni della realtà.
È un abisso che si allarga a ogni volume.
Più i personaggi cercano risposte, più lui si frammenta, si divide, si annida dove non dovrebbe.

Una minaccia che ci riguarda

Nel cuore della saga non c’è un nemico da sconfiggere.
C’è una domanda che ritorna, sempre uguale:
che cosa siamo disposti a sacrificare pur di restare razionali?

Il Viaggiatore non uccide.
Ma chi lo ospita… spesso non torna più lo stesso.

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