Quando la notte non è un rifugio
Nessun uomo attraversa l’oscurità senza portarsela dentro.
Edgar Blackwood è un investigatore, sì.
Ma anche un sopravvissuto.
Ogni caso che affronta lascia una traccia.
Ogni incontro con l’ignoto produce qualcosa che non si dissolve con la luce del mattino.
Blackwood non racconta i suoi incubi.
Ma li scrive.
O almeno, li annota a margine dei suoi taccuini, come se volesse decifrarli.
Come se temesse che ignorarli significhi lasciare qualcosa in sospeso.
Ecco alcuni estratti, ritrovati tra le ultime pagine di un dossier non protocollato.
1. “Il letto era vuoto. Ma il cuscino era affondato.”
Ho sognato di entrare nella mia stanza. C’era silenzio. La finestra era chiusa.
Il letto rifatto.
Eppure… il cuscino mostrava ancora la forma della testa.
E nel mio cassetto c’erano pagine scritte da una mano che non era la mia.”
Un incubo ricorrente nei giorni successivi al caso Fairweather.
Blackwood non è certo che fosse solo un sogno.
2. “L’organo della chiesa suonava, ma non c’erano mani.”
Una melodia lenta, sbagliata, suonava nell’aria.
Entravo, e vedevo solo il vento muovere le tende.
E poi, un frammento di carne sulla tastiera.Mi svegliavo sempre con le dita irrigidite.
Questo sogno appare nel taccuino datato dicembre 1888.
Padre Quinn lo aveva definito “un sogno guida”. Ma Blackwood non ne ha mai parlato apertamente.
3. “Non parlavano. Ma le bocche erano aperte.”
Un sogno senza suono.
Volti immobili, occhi sbarrati, bocche spalancate.
Tutti rivolti verso di me. Nessuno emetteva un suono.
Ma sentivo le parole nella testa: “Tu sei l’eco.”
Forse il più disturbante.
Annotato all’alba, su una pagina strappata, ritrovata con segni di inchiostro cancellato a forza.
Incubi come indizi
Per Blackwood, i sogni non sono solo frutti della mente.
Sono residui di qualcosa che ha visto, ma che non riesce ancora ad accettare.
Sono spazi dove l’ordine cede il passo al simbolo, dove l’indagine razionale deve cedere alla visione.
E forse è proprio nei suoi incubi che si trova la chiave per comprendere davvero i casi più oscuri dell’Archivio.
