Dietro le quinte de Il Carnefice del Silenzio: ispirazioni e processo creativo

Scrivere Il Carnefice del Silenzio è stato, più che mai, un viaggio nelle profondità del buio.
Non solo quello che si annida tra le mura dei monasteri abbandonati o sotto le torri di Londra, ma quello che si nasconde nella mente, nei ricordi e nei silenzi degli uomini.

L’idea di partenza: il male che non ha bisogno di voce

Il titolo è nato prima della trama.
“Il Carnefice del Silenzio” mi è apparso come un’immagine: un boia incappucciato che non urla, non minaccia, non esiste nei proclami — ma agisce, e lascia dietro di sé il vuoto.

Da lì, ho cominciato a costruire una storia in cui il male non si manifesta con fragore, ma con assenza.
Non c’è un’esplosione. C’è un’eco.
Non c’è un colpevole da smascherare. C’è una verità da decifrare, strato dopo strato.

Le fonti d’ispirazione: tra cronaca, archivi e silenzi storici

Come per i volumi precedenti, ho studiato documenti, testimonianze e ambientazioni reali.

Le antiche istituzioni ecclesiastiche inglesi e i loro archivi inaccessibili.

Le strutture manicomiali e orfanotrofi chiusi nel tardo Ottocento.

La psicologia del silenzio nei casi di trauma e colpa collettiva.

Mi interessava soprattutto il concetto di ciò che viene taciuto per troppo tempo. Di quelle “parole sepolte” che, quando riemergono, lo fanno con violenza.

Un Blackwood diverso

In questo romanzo, Edgar Blackwood cambia.
Non stravolge il suo metodo, ma inizia a perdere qualcosa. O forse a scoprire qualcosa che non avrebbe voluto.
Il dolore e il dubbio, accumulati nei casi precedenti, iniziano a logorarlo.
Non ho voluto forzare nulla: ho lasciato che fosse la storia a guidare la sua trasformazione. E credo che, proprio per questo, sia il suo caso più cupo.

Una scrittura più viscerale

Scrivere Il Carnefice del Silenzio sta richiedendo tempo e immersione. Ho rallentato, ho osservato.
Ogni scena è costruita per trasmettere non solo un evento, ma un’atmosfera.
Ogni oggetto, ogni suono, ogni assenza ha un peso narrativo.
Volevo che il lettore sentisse il freddo delle pietre, l’odore della carta bruciata, la tensione di una stanza muta.

Un viaggio che è appena iniziato

Anche se Il Carnefice del Silenzio è il terzo volume della saga, l’Archivio Blackwood è ancora lontano dall’essere completato.
Anzi, potrei dire che qui inizia davvero.

Con questo libro, si apre una nuova fase narrativa: più intima, più simbolica, più spietata.
Le ombre che Blackwood affronta non sono più solo riflessi di culti nascosti o minacce soprannaturali.
Sono lo specchio del bisogno umano di credere, a ogni costo. Anche quando credere significa voltare lo sguardo davanti all’orrore.

Conclusione

Il Carnefice del Silenzio è un romanzo che parla di silenzi e memoria, di verità mutilate e luoghi dimenticati.
Ma soprattutto, è un altro tassello nell’anatomia di un uomo che continua a cercare risposte…
…senza sapere se il prezzo della verità sia davvero sopportabile.

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